Adalgisa Zanotto: Sussurri e respiri, FaraEditore 2017
recensione di Vincenzo D'Alessio
La raccolta di
Adalgisa Zanotto: Sussurri e respiri, è un’altra delle premiate del Concorso Versi con-giurati, bandito lo scorso anno dall’Editore Fara di Rimini. Il
premio consiste nella pubblicazione della raccolta scelta dalla Giuria, con l’aggiunta
dei versi dedicati dal giurato che
ha sancito con il suo voto il risultato.
Il racconto in
versi della Nostra è un viaggio lungo il fiume dell’esistenza, l’inesplorato
senso del vivere, del fine vita, dell’abbandono alla quotidianità, alle voci
che giungono dagli argini dove l’acqua scorre: panta rei!
L’antico
aforisma della scuola eleatica bene si coniuga al percorso in versi deliberato
dalla poeta: “la parola fissa fragile /
la nostalgia dell’opaco:
/ l’imperfetto segno
mancante / sa di bellezza / dietro luccica qualcosa
/ che giunge da altro ” (pag. 21). Eccoci di fronte al
risultato della ricerca voluta dalla Zanotto per il lettore.
La fragilità
della parola della Nostra, richiama i versi montaliani di Non chiederci la
parola: l’impossibilità di raggiungere il vero motivo per cui noi siamo
attori e spettatori del mondo naturale e spirituale che ci circonda. Attori
presi dal panico della memoria nei respiri, spettatori avvinti dai sussurri
spietati del futuro che crediamo amico.
Il lucore alle
spalle richiamato nei versi (a pag. 21 ) è inafferrabile, avvertito come senso
olfattivo non visivo, è “la bellezza” dai confini delicati, inesprimibili,
energia alla quale tende la parola/verso
spia del Creato: “imperfetto segno mancante”. Aspiriamo a congiungere la fonte al corso del fiume
interiore attraverso l’uso del
verso.
Vengono alla
mente, in questa lotta dei sensi, le parole dello scrittore Paulo COELHO nel
libro: Manuale del guerriero di luce: “(…) Il guerriero non si lascia
scoraggiare. E continua a stimolare il prossimo, perché è una maniera di
spronare sé stesso.”
Ritrovo
concordanza di materia poetica nei versi della Zanotto a pag. 44 e in quelli del
componente della Giuria, Edoardo Gazzoni a pag. 66: in entrambi i corpi lirici
il tema dominante del padre terreno, genio fondante, coincide con la mancanza
di risposte di fronte all’incognita del: “Non avere, non avere parole / è la costante di chi muore.”
(pag. 66).
Stupenda è l’aderenza
al tema della raccolta nell’anafora della Zanotto: “(…) se lasci al cuore /
disse mio padre / fame di tempo e d’amore /
le ore s’affidano al cielo che cade / per essere cibo” (pag. 44).
Infinitamente
poetico il testamento paterno scritto nei versi del Gazzoni: “(...) Io
piangevo, tu smaniavi / nel dialogo muto di due sordi / che non pensano che a dire. / Perché dire illude la memoria / che ci sia senso, un minimo di senso
/ nelle ultime ore che fanno da
firma agli anni.” (pag. 66)
Due voci una
sola colpa: essere poeti dell’irraggiungibile felicità.
Porgere al
lettore l’esperienza compiuta sul campo di battaglia della vita: “un passo
alla volta, / borbottando – è
da bestia che vivi / e che bevi –
per smorzare il tepore formale / del buongiorno alle scale. Non cadere, / non cadere!” (Scendo piano, Gazzoni, pag. 71).
Nessun commento:
Posta un commento