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Poesie di Andrea Parato
Lo spazio della luce
Insegnami a ritrovar la luce
nel pozzo buio della mia coscienza
E dalla tasca delle mie miserie
estrarre doni inattesi
non le solite conoscenza e scienza.
Ascoltami con gli occhi tu
che prima di me hai sofferto l'Assenza.
Insegnami a riveder la luce
quando sale il buio
agli occhi e al cuore
e la tomba è chiusa e ferma la porta.
Tu non puoi passare. Ma passerò...
Lascia che ognuno vada
a riprendere il suo mestiere:
il tempo pure, a ritornare a sperare.
Quando ero piccolo, ragionavo da bambino:
pensavo il male non ci potesse toccare,
nascosti nel capanno del giardino.
Ora son uomo, e lo sono per te,
sarò il tuo campo, la strada resta fuori
tu sarai seme che muore.
Attendo di ritrovarti
tra pampini in fiore.
La tenda
Nel profondo della tenda illuminata
batte un cuore impalpabile ma intenso,
il suo ritmo nel canto
degli uccelli, nel soffio
del vento, nel tormento degli uomini.
Pochi vegliano alla luce tremula
mossi da diverso sentire
tra dubbi in divenire.
Calmo, batte immobile.
Portale del tempo nel tempo,
luce fuori dal quadro,
orologio senza lance
di una guerra perduta.
Attende.
Non più il mistero
del farsi o disfare
segreto di vita. Attende.
Senza di te, quanto è vuoto l'agire,
quanto effimera la strada, inutile la mensa.
Eppure tace. Attende.
Temo di scegliere se perdermi
nella tu Parola o in quello che sei:
immemore vicinanza.
Altrove, corrono...
ma qui, oltre le crepe,
la pietra prende carne,
l'attesa pare speranza.
Dalla vuota dimora piena di te
vedi la madre sola e il figlio perduto
come un tempo,
vedi chi cerca e sopravvive sperduto!
Tu sai quale vento sacro
puoi donare, che lenisca
le croste del dolore.
Luce perfetta!
Rimani nel cuore di chi accetta
- come grembo materno
fuori dalla porta di marmo
al gelo del giorno venturo -
questo piccolo essere
su un sentiero più vero.
Non servon promesse:
siamo animali affamati
basta levarci a portare carezze
inariditi al sole dei doni della ragione
siamo scatole vuote di certezze
nutrìti alla mangiatoia dell'amore.
Quando abbiamo perso la felicità?
“Quando abbiamo perso la felicità?”
Tutto il nostro sapere
racchiuso in simulacri
di malcelata insofferenza.
Splendidi frutti da porgere
con mani sporche di letame.
“Quando abbiamo perso la felicità?”
Dita tenere a scalare un muro
e cuore duro, spostato,
un grado di troppo,
dai paralleli dell'esistenza.
Nostra medicina è la cura della vite:
tagliare fronde superflue.
“Ma quando abbiamo perso la felicità?”
Tra noi
l'indifferenza
è il male peggiore.
Se un giorno non sapremo più
alzare occhi al cielo,
capire quanto vale un sorriso,
tu continua a starci accanto,
a stringerci le mani.
Forse saranno grinzose
per il troppo lavoro:
non temere di toccarle.
Forse ti sembreranno fredde
per l'ultima paura:
non le abbandonare.
“Dove troveremo la felicità?”
Siamo figli della terra,
nostro destino è tornare.
Come il tiglio che rinasce
nel giardino vecchio,
il bruco sull'anice
non pensa a volare,
il seme nel coccio
aspetta di crescere,
l'uovo attende la cova.
Siamo felicità potenziale.
Il nostro dolore, così piccolo
di notte sotto Orione,
è lo stesso della ghianda che cade,
della quercia che cresce
quando perde le foglie
e cede all'inverno.
Ma ci sarà un risveglio!
La stessa radice
avrà nuova forma
Poesie di Andrea Parato
provata dal gelo
e saremo pronti ad alzare
rami nuovi a nuovo cielo.
Torneranno le rondini
“Torneranno le rondini?”
Se le guardi danzare
scure stelle cadenti
nel tempo serale
dell'addio, paion piangenti
lanciate da questi alberi sopravvissuti.
Occhi di case, vuote di genti,
le spiano attoniti
verso un cielo striato
di merletti bianchi
incrociati e tinti.
Stanno lì, e noi stùpidi,
stupìti a guardare quell'immenso
vagare, sempre pronte a partire.
“Dove saremo domani?”
ecco d'un fiato il grido!
Freccia alla stessa meta,
turbine su nero sciabordare!
“Torneranno?”
A ricordarci che oltre,
c'è sempre, sempre altro mare.
Vorrei partire con voi,
col vostro frullo
di vele bianche e nere
perso nel vento,
mentre cala questo splendido
mio ultimo sole.
Un coccio raccolto sulla spiaggia
Come quel coccio di mare.
Forgiato da mani d'uomo
e frantumato
alla deriva, giunto sulla riva,
dalle immense profondità levigato,
angoli smussati
non più netti confini,
non più parte d'un tutto
memoria di ciò che è stato
frammento in divenire.
Anche le pozze hanno le loro onde
ed è lo stesso Vento a carezzarle
che turba il flutto e oltraggia gli scogli.
Persino le conchiglie lasciano un guscio.
E noi?
Dono all'umano, morte, breve confine
tra l'amore per il senso che voglio
e la passione di cercare
oltre la fine.
Web: andreaparato.wordpress.com
www.faraeditore.it
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