recensione di AR
Questa raccolta che presenta poesie anche in inglese e
polacco, si apre con le famose parole di Pasolini: “Solo l’amare, solo il
conoscere / conta, non l’aver amato, / …” ed è dedicata al padre dell’autore.
Il primo verso (p. 10) recita: «Non accendete luci per favore», e il quarto:
«Mi basta la memoria, quel fermo immagine». A pagina 12 troviamo questa
descrizione-ricordo vitale e malinconica: «Posato ho la tua voce sul cuscino. /
Mi terrà compagnia in questa notte / scura. La tua voce roca, severa. / Emanava
decreti, ma leggeva / poesia. E amava. A modo suo, ma amava.»
Tutto il libro è una tensione fra il desiderio di fare
memoria degli affetti che per tutti sono fondamentali e che pure sono destinati
a lasciarci o a trasformarsi e la consapevolezza della sofferenza che tale
ricordo comporta; un dolore che nel bene e nel male ci cambia e cambia la
nostra percezione del mondo («… È la vita di dentro / che dipinge il mondo.»,
p. 36), per cui lo stesso: «Ulisse, già a Itaca, è perplesso: / è quella la sua
terra? / Quelle le bianche pietre, quelle / le sabbie, asciutte, calde, nelle
unghie, / a grani nella congiuntiva?» (p. 16).
Tante le immagini che costellano come punti-luce di forza e
bellezza questa silloge: «Di ore donami un container.» (p. 20); «Con le manine
giunte dicevamo / preghiere che non capivamo / come dialetto d’un paese /
straniero. E alle parole legavamo / pensieri liberi, lingua del cuore.» (p.
25); «Hai il potere dell’innocente fare, / la virtù del non detto che fa male.» (p. 29)
Già da queste brevi citazioni, si rileva la musicalità
sobria dei versi (spesso endecasillabi e settenari, anche doppi come a pagina
32: «Bussare alla tua porta come bussarmi dentro.») e l’auspicio di trovare
nelle parole poetiche quegli strumenti potenti e proteiformi che ci permettono
di leggere la realtà nel suo tessuto complessivo (e sorprendentemente bello
nonostante tutto): «Sì ai colori diversi, ma le tessere / rimangano a posto e
tutto quadri.» (p. 38); «Raggi del sole che rincasa / sfuggono alla serrata
delle nubi. / Io mi ci aggrappo e mi ci impiglio / sì come fa mio figlio al
parco giochi / tra reti e corde dell’arrampicata» (p. 40); «… Ops, dimenticavo /
di mettere il coperchio sulla pasta / che riprenda l’acqua il suo bollore. //
Meglio se lascio scoperchiato il cuore.» (p. 48); «Se scrivo nel buio, la mano
è più libera / sul foglio, dove le righe non tengono / e il campo s’apre senza
confini, / come se tutto bianco.» (p. 52).
In fondo il poeta è un agricoltore che ha raccolto e
selezionato con cura i semi per spargerli con sapienza e amore lungo il solchi
del silenzio… il campo bianco che a loro permette di dar frutto e a chi lo
“ascolta” di far vibrare la propria anima in empatica e amorosa sintonia: «Da
dove nasce questo mio tacere / se non dal mio guadare l’inatteso. / Resta la
mia parola / (…) / … Perdonate, / senza capire, per amore.» (p. 54).
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