giovedì 19 gennaio 2017

Un corpo a corpo con la Sapienza che perdona



nota di lettura di Anna Maria Tamburini



Come potere esprimere in breve la sensazione che suscita questa riflessione in versi? Non si possono spendere infatti troppe parole per restituire una nota di lettura minimamente adeguata a fronte di un testo così essenziale e pulito qual è Lo spazio e la luce. Scevro da ogni artificio retorico, ma prezioso nel nitore della selezione lessicale, il testo Lo spazio e la luce scaturisce da un corpo a corpo con il libro biblico di Sapienza nel tempo di grazia dell'anno giubilare, Anno Santo della Misericordia che si è appena concluso con il gesto di chiusura delle porte sante per affermare, del resto, che nessuna porta si chiude. 
Il tempo della luce è tempo del perdono e il libro di Sapienza lo richiama con alcune argomentazioni di rara saggezza: «hai compassione di tutti perché tutto puoi, chiudi gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento» (Sap 11,23). Soprattutto nella terza parte di questa pericope biblica, che è quella da cui l'autrice cita, è l'esperienza di un popolo consapevole della propria elezione, nel conforto di una familiarità con il proprio Custode, che, insieme al riconoscimento delle proprie colpe, fa dire ancora al saggio israelita: «La tua forza è principio di giustizia, e il tuo dominio universale ti rende tollerante verso tutti. Tu, padrone della forza, giudichi con mitezza e ci governi con molta indulgenza. In tal modo hai insegnato al tuo popolo che il giusto deve amare gli uomini. Inoltre hai reso i tuoi figli pieni di dolce speranza, perché tu concedi dopo i peccati la possibilità di pentirsi» (Sap 12,16-19).

Così questo libro greco che è il più recente dei testi veterotestamentari e che ci è tramandato come opera di Salomone, il più saggio dei re di Israele, colui che ha chiesto a Dio la sapienza nel governare, profetizza l'universale giustizia dell'amore. E tenendo fede alla modalità del confronto con la parola della Sacra Scrittura, riportato come testo a fronte, che è divenuta la modalità peculiare della poesia di Ardea Montebelli, questo dialogare in forma di preghiera con il libro di Sapienza raccoglie le considerazioni più acute del testo biblico al tempo stesso in cui esprime quelle più necessarie per il proprio personale vissuto come per il nostro tempo:  Plasmi i nostri progetti / scavalchi frammenti di esistenza / ad ogni passaggio / insegui e consoli / il lamento della terra. 

Tutto muta nella scena di questo mondo, tutto ci è donato e sottratto, anche gli affetti più cari. Anche a questo allude la poesia in soli due versi: Quanto è più caro / muta all’invito folle / che dirige il nostro vivere / al termine del viaggio.

Il folle viaggio dell'Ulisse dantesco rischia di essere infatti il viaggio di ognuno. Solo in forma di preghiera può mettersi a nudo l'anima, riconoscere la propria povertà, la propria mancanza, la propria creaturalità… Solo in forma di preghiera può svolgersi persino un vero dialogo – in questo caso con la parola di Sapienza ma al tempo stesso – in una profondità capace di autentico ascolto – con il creato tutto con cui l'uomo è strutturalmente solidale – capace di riconoscere che il lamento dell'uomo è lamento della terra stessa perché il nostro male intacca e contamina tutto “l'ambiente umano” e quindi il creato tutto.

Eppure il male che ci affligge / nella quotidiana cura / conduce a Te / inconsapevolmente.

Non occorre pensare alle grandi vicende o alle grandi colpe nella storia dell'umanità per credere che c'è bisogno di salvezza intesa in primo luogo come perdono: è nella quotidianità che in primo luogo va continuamente tenuta a riferimento la rotta. Al quotidiano richiama con insistenza il testo. L'immagine del viaggio non è più nemmeno metafora, ma più che metafora, giacché un mistero / scuote e provoca / le impronte inconfondibili / dei passi. Ogni nostro passo, giorno per giorno, contato, unico, irrevocabile: passi “inconfondibili”  come le impronte digitali; ma di passi compiuti si parla nel testo, non solo della unicità di ogni creatura. E quindi della storia si dice… personale e collettiva. Dunque solo la speranza di un perdono può meritare il tempo del vivere, solo una familiarità con un Tu che ha a cuore la vita – Tu,  indulgente con tutte le cose, perché tue, Signore, amante della vita (Sap 11, 26). 

Abbiamo bisogno di superare le cadute.  Ne avvertiamo l'urgenza: ci interpella l’abbraccio / del tuo cuore innamorato /recupera la voce / ogni vivente. Così si fa spazio la preghiera, l'invocazione del perdono… e la speranza.

«Per questo tu correggi a poco a poco quelli che sbagliano e li ammonisci ricordando loro in che cosa hanno peccato, perché, messa da parte ogni malizia, credano in te, Signore» (Sap 12,2). Così la preghiera si fa attesa, grande attesa, e supplica: Un poco ancora / e un preludio di luce / plasmerà l’universo intero.

La speranza messianica si dilata in senso escatologico, ma come da una vicinanza: Mi attendi? / Lo stupore in un attimo / si allarga. //  Il perdono /è come una grande festa. / Facendomi obbediente / mi adagio / e Ti chiedo /il senso della vita.

Una fiduciosa lieta consegna.



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