lunedì 30 gennaio 2017

Quasi partita di Alberto Mori: l'uso elastico della parola

Alberto MoriQuasi partita, FaraEditore, 2016
recensione di Vincenzo D'Alessio

https://www.faraeditore.it/nefesh/quasipartita.html

Roger Federer, vincitore quest’anno degli Australian Open di tennis, ha dichiarato: “È da vent’anni che mi diverto.”

L’analogia con Alberto Mori ne viene di conseguenza: poeta da più di vent’anni ha sempre giocato le sue partite con la Poesia in modo eccellente, tanto che ai reading letterari, ai quali sovente prende parte, si concludono con tutto il calore del pubblico.

Quest’ultima raccolta, Quasi partita, si muove in nove set tutti giocati sull’uso elastico della parola quale strumento, similitudine della racchetta da tennis, per condurre  il lettore (il suo avversario) sul campo dell’attenzione.

Non sono facili le composizioni. Sono ricche di oggetti, di richiami al gioco reale del tennis, versi brevi, poche figure retoriche e solo qualche volta compare l’umano: “braccio aperto” (pag. 17); “sguardi / mani / sudore” (pag. 22) e pochi altri casi. Il resto è affidato agli oggetti, ai gesti, al campo.

In definitiva l’ironia giocosa di Mori provoca il lettore a sudare: lui che ha scritto e lo sguardo di chi scopre la parola/verso cercando la trama, il racconto, la partita.

La partita è l’esistenza di ogni essere vivente. La fatica, la pressione della poca Civiltà a cui apparteniamo per immagini percepite non più per contenuti reali, di fede, di contributi offerti ai propri miglioramenti e opere per agli altri.

Ogni set ha la sua funzione: “Sempre pressione / Gli sguardi acuti nel sudore / La salvietta tornata in altre mani / La fronte contro il sole spella abbrivi / Batte incipit e sfida sforzo” (pag. 22).

Meravigliosamente sincretica la parola dà il senso del tutto nel gioco, metafora pungente della quotidianità singola e universale.

“Incipit” come a dire “creare”, realizzare ogni momento in poesia, mimesi dell’anima umana avvertita nelle cose visibili, nell’ancestrale partita giocata sul campo dell’esistenza con un giocatore che non si stanca mai di agitare la sua racchetta: “Senza chiusura del campo aperto / Scivolando indietro /Allungato a ribattere ancora in avanti / nell’altra prospettiva laterale del colpo / concluso violento sulla barriera elastica / dove impatti assordati /  raddoppiano e muoiono attutiti” (pag. 46).

Bella similitudine trascendentale che realizza Quasi partita, non conclusa poiché la ricerca poetica è continua, costante, febbricitante in Alberto Mori.

Concordo pienamente con la postfazione di Franco GALLO in merito alla raccolta quando scrive: “(…) Alla lotta contro la fuga rovinosa nel nulla della percezione, e alla ricerca di una misura contro il plus godere visivo offerto dallo spettacolo del tennis, lavora infatti questo Quasi partita che, sia detto subito,  è sforzo estremamente originale e insieme esito di una poetica severa e consapevole, che ha astratto dalla sua materia un distillato formale sorprendente” (pag. 49).

Al lettore continuare la partita!

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