giovedì 14 luglio 2016

Poesie nello stile del 1940

Massimo Sannelli, Poesie nello stile del 1940, Lotta di Classico, 2016

recensione di Vincenzo D'Alessio


“(…) Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuoreStando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.”
(Primo Levi)

L’arte della parola del maestro Massimo Sannelli si compone, dopo una lunghissima produzione teatrale, in dieci poesie scritte in questi giorni. Simili ai Dieci Comandamenti ispirati dalla nuvola di fuoco sulla montagna al padre Mosè, tornato in mezzo agli uomini.
Dieci poesie lapidarie, otto sottomesse all’endecasillabo e due al settenario, ispirate ai difficili eventi che questa terra, la nostra Italia, ha vissuto negli anni Quaranta del Novecento. L’epigrafe introduttiva alla raccolta, scelta da una dichiarazione del poeta contemporaneo Marco Giovenale, è la chiave di accesso all’opera: “In Italia la poesia contemporanea, come si diceva qualche tempo fa , è in linea di massima contemporanea al 1940.”
L’accanito commentatore della divina poesia dell’Alighieri ha usato la metrica per raggiungere il lettore e avvicinarlo a quella lezione della Storia che nella Scienza Nuova ha le sue radici e nella schiera dei poeti ermetici la dinamica della rivolta esistenziale.
I versi generati da Sannelli in questo déka poiesis sono realmente sospesi in un’aura rarefatta, mistica, eppure conforme ai nostri tempi e, forse, a quelli che verranno.
Egli scrive: “Un’empietà è graziata / solo dall’ironia. / Regista, ti ho voluto / non perfetto, ma abile, / regista, non perfetto, / ma ti ho dato il mio viso” (ottava). La trasfigurazione è nell’ampiezza della parola sulla scena del tempo. Il poeta è il profeta, porta un diverso ordine nella società che ascolta e, quasi sempre, quest’ultima non comprende e rifiuta.
“(…) La posa da sibilla non è dialogo / ma io non sono ordine e non parlo” (quinta). Ancora: “ (…) Ma vedere chi mangia è dissonante / e poi sapere che la Primavera / è come noi, malata, è come noi / ma borghese e anche lei ebbe il suo lager.” 

I versi scavano nell’animo umana, turbano il senso statico dei raggiungimenti, inviano segnali di un disordine ravvisato, oggi , come ordine sociale: “Al vivo i colpi nella carne, sùbito, / fare questo, ma sùbito, educarne / uno solo, quel vivo, sé, non cento” (nona).
L’antinomia del mondo in cui viviamo risale dai versi inziali che il Nostro ha disposto , agli occhi del lettore, come l’eternità di quel suono che ha dato inizio alla Civiltà degli uomini: “Se veramente il suono è dei sospiri / il suono è nato già. / L’età matura / è il grande cave canem dove il cane / è l’anima animale che conosce / l’anno quaranta del secolo venti” (prima).
Come nel libro maggiormente conosciuto, I Vangeli, l’apostolo Giovanni riporta nel Prologo l’espressione In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il verbo era Dio, così Sannelli conduce per mano il lettore alla comprensione del “sé” e del fuori di sé attraverso l’immagine del suono, proprio come la rappresentazione del mosaico cave canem disposto all’ingresso della ricca domus nell’antica via dell’Abbondanza a Pompei. Un avvertimento (imperativo) prima di varcare la soglia. L’impossibilità di tirarsi indietro dopo averla attraversata.
Il Nostro spinge l’ironia nell’ordine del tempo, proprio su questo argomento, nei versi che seguono: “(…) Solo una lacrima serve a restare / fedeli al cane morto, e questa lacrima / io nego al cane morto e a chi lo amò. ” (sesta)


Molti altri spunti coglierà il lettore in questo stupendo dialogo del poeta, solitario e alla ricerca della poesia pura, che invita i contemporanei e li avverte della presenza delle ombre del passato che trascinano inesorabilmente verso la potenza del “ non pensare” e abbandonare la “maestà della fantasia”: (…) Il mondo è tutto occhi, / il mondo è tutto bocca / che parla ed un gigante / è il campione, e il campione / è un gigante e una povera / cosa piena di sensi” (decima).

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