lunedì 24 agosto 2015

Un serrato gioco di specchi sprigiona l'energia delle parole: su Orme intangibili

recensione di Guido Benzi


Da qualche tempo, oltre ad un certo generale ritorno della poesia, si assiste anche al fenomeno non meno interpellante dell’uso della poesia all’interno della riflessione teologica, come attestano – ad esempio – le raccolte del biblista e teologo gesuita Jean-Pierre Sonnet (Il canto del viaggio, Qiqajon 2009; La scorciatoia divina, Ancora 2013). È in questa linea che si colloca il breve, ma significativo poema di Alessandro Ramberti Orme intangibili (Fara editore, 2015).

Raccontami di te, del tuo cammino,
di ciò che opprime il cuore o lo dilata
del senso che ti sembra incomprensibile
della felicità legata al vivere.


Se l’esistenza umana è un cammino, una inesausta ricerca di senso, Orme intangibili racconta al lettore di questo pellegrinaggio non solo attraverso la voce poetica narrante, ma anche con l’intreccio non banale di ulteriori voci: citazioni di autori, ideogrammi cinesi, raffigurazioni a tratteggio che puntualmente accompagnano senza appesantire il dialogo interiore. Sì un dialogo, non un monologo: la scelta di una particolare metrica (quartine di endecasillabi, intercalate da versetti unici posti tra parentesi e legati in rima) esprime proprio questa duplicità in cui il soggetto dà corpo al suo pensiero e contemporaneamente ne considera il contrario, in un serrato gioco di specchi in cui si riflette una forma ed il suo opposto.

Ho detto poche cose e ciò che ho fatto
può essere riassunto in un vocabolo
che esprima la tensione dell’arciere
il cui bersaglio è interno ed inesatto.

(C’è un’utopia che sana.)

Nell’intimo Agostino trova pace
facendosi obbediente alle Scritture
io mi risulto trasparentemente
mancante in molti sensi e pervicace

(la confessione è piana)


Ma la forma non soffoca il pensiero, anzi gli dà forza, lo struttura, ne mostra le mille sfaccettature, rendendolo appunto, poetico. Si avverte, nei versi di Ramberti tutto il dibattito degli ultimi duecento anni, tra scienza e fede, tra le ragioni della mente e del cuore, tra la rappresentazione oggettiva della realtà e le sue interpretazioni fenomenologiche. Si viene così trasportati ad assistere a quel solitario dialogo che è in ogni credente, ed anche in ogni non credente, tra le ragioni della fede e quelle della sua negazione, tra le ragioni della speranza e quelle del nichilismo. Un dialogo al quale tutti possono partecipare senza censure e senza pregiudizi.

Il vero e il falso sembrano reali
solo per realizzare gli algoritmi
dei mondi digitali. I sentimenti
si perdono e non scavano i fondali 

(le superfici brillano)

per correnti feconde. I palcoscenici
hanno tavole deserte. Lo spirito
del tempo sembra un nano inconsapevole…
Si ascoltano messaggi schizofrenici


Va sottolineato come l’esito di questa ricerca non sia il relativismo dolciastro ed eclettico di tanta letteratura contemporanea. Il discorso poetico di Ramberti, che rimane all’interno di un raffinato lirismo, nutre il suo vigore più che attraverso la pedante ripresentazione di concetti e teorie, con la forza delle singole parole e con l’energia che sprigiona dal loro accostamento (probabilmente qui si vede la sua non comune conoscenza della lingua e della letteratura cinese e dell’oriente estremo) per cui vicino ad un lessico esistenziale ed affettivo, vengono senza timore accostati termini desunti dal linguaggio tecnico e scientifico:

Il pensiero è memoria dei neuroni
attivi nel cervello o porta in sé
la traccia sorprendente dello spirito
di una destinazione oltre gli eoni?


Si coglie nell’opera di Ramberti la promessa di lavori più ampi e ancor più maturi, una sorta di moderne Confessioni sulla inesausta ed inesauribile ricerca di senso che di nuovo sfondi la nebbia del dubbio con il coraggio e la forza delle domande importanti.

Nessun commento: