TRA DUE PARENTESI
Tra il secco e il fiorito
la scia di un dinamismo: il transito della vita
– e ciò che lento muore
muore contento
se dall’ultima finestra
il rumore dell’erba che cresce –
tra le due parentesi
il senso
vena pulsante
arteriosa
servirà un crinale per trovarlo
e scoprire la parte più ventosa di sé
confinata
recalcitrante di incoscienza
sarà un gioco, poi, appiccare la miccia
e scardinarne la porta
dietro il Suo Mare
- aspettava
silenzioso e calmo-
da allora
sarà come navigare senza stelle
fiduciosi nella sola brezza
riposti i remi in barca
non avrà più importanza
l’arrivo
la rotta.
Tra il secco e il fiorito
la scia di un dinamismo: il transito della vita
– e ciò che lento muore
muore contento
se dall’ultima finestra
il rumore dell’erba che cresce –
tra le due parentesi
il senso
vena pulsante
arteriosa
servirà un crinale per trovarlo
e scoprire la parte più ventosa di sé
confinata
recalcitrante di incoscienza
sarà un gioco, poi, appiccare la miccia
e scardinarne la porta
dietro il Suo Mare
- aspettava
silenzioso e calmo-
da allora
sarà come navigare senza stelle
fiduciosi nella sola brezza
riposti i remi in barca
non avrà più importanza
l’arrivo
la rotta.
Notte stellata sul Rodano (Vincent van Gogh) |
PARADOSSO
Non amo gli aggettivi in poesia, tracce di rossetto sbilenco su labbra già spesse di sostantivo – quasi due righi e ne ho già inseriti due, ed era a rischio il terzo!…
Il nome non può reggere una specifica realtà senza connotazioni: sarebbe come trovarsi di fronte un vicolo chiuso dopo una curva inattesa e stretta o, al contrario, in un enorme spazio un senso di agorafobia.
Eppure non amo gli aggettivi, spiantano ferocemente i cirri che il nome irraggia e preserva da venti di certezze, assiomi tiranni, vedute confezionate e ristrette.
Così prensili al nome, sono foglie che insecchiscono presto, si impiccano da sole allo stelo e deformano quanto prima era parte di un corredo che identificava, restringendo il campo ad un particolare che, anche se non lo ripudia, sacrifica l’universale.
Per quanto strano, credo che l’aggettivo stia alla ragione quanto il nome all’istintiva creatività. È lei, la ragione, la deputata a fare le pulci e sottocatalogare, nessuna come lei, ad esempio, sa immiserire nella parola cielo il suo connaturato alone – l’infinto –, imbellettandolo di attributi.
Si dovrebbe avere la forza di metterla in ginocchio quando s’affaccia un pigolio di poesia, tacitare quella pentola colma d’acqua in ebollizione: pensieri che confabulano tra loro per decidere chi innalzare a monumento del giorno attraverso gli aggettivi.
Io amo le stelle
pistilli senza più petali, prive di sottocategorie, così essenziali in una bellezza che sta tutta in un rimando, una sorta di alone (peraltro – paradosso – si tratta del sostantivo più aggettivato): fiore.
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