recensione di Vincenzo D’Alessio
Gladys Basagoitia Dazza ha pubblicato presso l’Editore Fara di Rimini nella Collana “Il filo dei versi” la raccolta di poesie Aurora del renacer / Aurora del rinascere, divisa in diverse sezioni: “Salir del dolor / Uscire dal dolore , “Antipoesía / Antipoesia” , “Momentos / Momenti” (tanka), “Centellas / Scintille” (haiku), “La vida de mi tiempo / La vita del mio tempo”.
Il lettore che avrà tra le mani questo intensissimo lavoro poetico dovrà faticare abbastanza per giungere a calcare la vetta che compare in copertina (Passo Rolle, in Trentino) similitudine delle alte vette andine che emergono dallo spirito inquieto dell’Autrice. Una fatica giusta per comprendere il bilinguismo che regna nella mente e nell’anima di colei che scrive. Per esperienza il traduttore, poeta esso stesso, ha la preziosa capacità di immergersi nella scrittura dei testi di altri autori riportandone la più fedele delle traduzioni che rendono accessibile a un pubblico attento la Poesia di terre ed esperienze diverse.
Basagoitia Dazza traduce la sua poesia dalla lingua natale (Peru) in italiano e quella dei poeti scelti come guida: dai contemporanei Nicanor Parra, Deng Ming-Dao e Murakami Haruki, al poeta turco Nazim Hikmet. Sceglie di comporre “tanka” e “haiku” oltre a poesie in versi liberi, tutte intrise di un dialogo personale, quasi un omogeneo racconto della propria esistenza, delle dolorosissime perdite famigliari, dei drammi mondiali riversi nella sua anima, del costante emergere della donna forte di fronte a tutto il tormento dell’esistenza, protesa ad innalzarsi oltre la carne / el sueño che imprigiona lo spirito. La poetica evoca il volo del condor, uccello tipico andino, dall’immensa apertura alare che nel sentire religioso del popolo Inca avvicinava il mondo degli Dei (Hanan Pacha a quello degli esseri viventi (Key Pacha).
La rinascita della quale scrive la Nostra è veramente un cammino verso la cima del monte interiore nascosta dalle nebbie dell’esistenza, oppressa alla base dal chiasso della quotidianità, minata dalle malattie e dal dolore fisico, raggiunta veramente da pochissimi esseri umani. I versi inziali danno indicazioni precise: “primitivo fondamentale misterioso / magico e profondo sei tu / unita a te / da me accorata per la morte di mio figlio / sorgerà l’energia che darà più forza / all’amore per ogni creatura della terra / (…) continuerò la lenta esplorazione / dei tesori dell’anima / (…) farò il vuoto necessario / perché possa colmarsi / di fede di bellezza di speranza ” (Tesoros del alma / Tesori dell’anima, pag.15).
Quel verso: “unita a te” è l’estensione magica dell’energia contenuta nell’esistenza terrena e ultraterrena, la dimensione appagante degli affetti che non scompaiono definitivamente ma per quella forza instancabile che è l’Amore superano le barriere oscure dell’oblio e sopravvivono: “stravolta / per non turbarti / con timidezza ho baciato le tue mani / (…) avrei voluto abbracciarti / abbracciare / l’universo ” (Hijo / Figlio, pag. 19). Il verso tutto personale che si incatena a quello universale della Poesia. A qualsiasi latitudine, in qualsiasi lingua o formula poetica, anche sotto forma di pitture su frammenti di stoffa (i tanka buddisti) l’estenuante lotta tra lingua e dolore si incarna nell’unico esercito capace di apportare momenti di pace: i versi, la preghiera.
Sublime testamento dell’Umanità, la Poesia, nel corso di milioni di anni ha aiutato l’essere umano a sollevarsi sulle plaghe di “quest’atomo opaco del male ” e contemplare la continuità vera della chiamata dell’uomo sul pianeta: amare la Memoria che è Speranza, Fede, Umanità. Le prime raffigurazioni che ci giungono dalla Preistoria sono le statuette in argilla e avorio delle “madri ”, conosciute oggi con il termine di “veneri steatopige”, senza le quali il genere umano sarebbe scomparso dalla faccia del pianeta Terra. La madre è il rifugio per i figli, per il marito, per la comunità.
Nei versi di Gladys Basagoitia Dazza la presenza materna costituisce il porto sicuro dove ritrovare l’armonia antica con le origini e il vissuto presente, in attesa degli eventi futuri: “mia madre presente / sempre viva nei miei sogni / protezione e amore / (…) “stato di poesia / stato di grazia” (Hermandad / Sorellanza, pag. 21). Ritorna questa forza centripeta nella poesia Madre Helada / Madre Gelata a pag. 181, una delle più belle poesie della raccolta libera dagli impedimenti imposti dal dolore per la perdita recente del figlio Edwin: “madre gelata silenziosa nell’attesa / sicura delle tue grazie / che placheranno le ansie / (…) e forse nel cammino inevitabile / minerale e fantastico / nell’ignoto della mia carne fatta tenui frammenti / sciolti petali / rosa di piume gialle e terree / con la vita già fredda di fili impalpabili / forse madre gelata / formerai prodigiosa nuova galassia”.
La terra fredda della poesia Pianto antico di Giosuè Carducci somiglia alla madre gelata della Nostra ma la trascendenza della coscienza eterna sottratta al singolo vive nel prodigio di una nuova dimensione universale dopo la scomposizione “minerale” della carne che appartiene al mistero/magico del divenire. L’auspicio invocato in questi versi si rinnova nella poesia Mi memoria / Il mio ricordo a pag. 185: “(…) solo così in voi rimanga il mio ricordo / quasi senza esserci / oppure / diventare solo oblio”. L’amicizia è un altro grande tema portante nella raccolta con le dediche alla poetessa brasiliana Lúcia Vera de Oliveira e alla poetessa Brunella Bruschi; amici come Cristina, Massimo e zia Giulia; la memoria del fratello Francisco Elio, la figura severa del padre amante della purezza nella figlia.
Le pagine di questa raccolta vanno lette con attenzione, senza la forzata ricerca di figure retoriche, analogie con altre fonti poetiche. I versi che la compongono formano il raggiungimento di una vasta maturità letteraria illuminata da una saggezza antica, per noi europei di difficile comprensione, che promana dal lungo cammino delle civiltà migranti che si dissetano alla sorgente poetica di Gladys Basagoitia Dazza.
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