sabato 24 gennaio 2015

La lingua-sguardo di Mario Fresa





Mario Fresa




Recensione di Luigi Fontanella


Uno stupore quieto (Edizioni Stampa 2009, "La collana", prefazione di Maurizio Cucchi) è un libro straordinariamente vitale pubblicato da Mario Fresa. Dico “vitale” perché una delle caratteristiche essenziali della sua versificazione è costituita da una sorta di pullulante “monologo interiore” nel corso del quale l’autore entra ed esce di continuo da se stesso. La sua diventa, così, una poesia narrativa e (auto)interrogativa insieme, quasi un volersi tuffare in uno grande specchio nel quale egli è soggetto riflesso e soggetto riflettente, mentre, tutt’intorno a lui, va scorrendo la realtà (o irrealtà quotidiana, come avrebbe ben detto la Ortese).
Di questa franta quotidianità Fresa va afferrando e sciorinando spezzoni e brandelli testimonianti l’insensatezza che pur tuttavia costituisce quel ronzare reale e incessante che si dirama (d)all’interno dei continui mini-eventi di cui lui si trova a essere attento spettatore e attore. Fortemente emblematiche, in tal senso, soprattutto la prima sezione (Storia di G.) e l’ultima, non a caso titolata Romanzi. Ché, in effetti, i suoi poemetti zigzaganti assomigliano proprio a mini-romanzi, nei quali, tra l’altro, ogni tanto Fresa inserisce segmenti direttamente in prosa, in un felice connubio che a me ha fatto ricordare il Cucchi de Il disperso. A lettura ultima di Uno stupore quieto, libro davvero notevole, è esattamente questo brusìo continuo della lingua-sguardo di Fresa a sedimentare nella mente del lettore, uno sguardo che come un “terzo occhio” va perlustrando, tra l’onirico e il tangibile, le tante sfaccettature della Realtà, con una sua adesione verso le scombinatezze della vita, che solo la vera poesia analitica e osservativa può felicemente squadernare al suo lettore, con un meraviglioso quanto orizzontale, sereno sbalordimento.




(in «Gradiva. International Journal of Italian Poetry», n. 46, 2014)