Recensione di Luigi Fontanella
Uno stupore quieto (Edizioni Stampa 2009, "La collana", prefazione di Maurizio Cucchi) è un libro
straordinariamente vitale pubblicato da Mario Fresa. Dico “vitale” perché una
delle caratteristiche essenziali della sua versificazione è costituita da una
sorta di pullulante “monologo interiore” nel corso del quale l’autore entra ed
esce di continuo da se stesso. La sua diventa, così, una poesia narrativa e
(auto)interrogativa insieme, quasi un volersi tuffare in uno grande specchio
nel quale egli è soggetto riflesso e soggetto riflettente, mentre, tutt’intorno
a lui, va scorrendo la realtà (o irrealtà quotidiana, come
avrebbe ben detto la Ortese).
Di
questa franta quotidianità Fresa va afferrando e sciorinando spezzoni e
brandelli testimonianti l’insensatezza che pur tuttavia costituisce quel
ronzare reale e incessante che si dirama (d)all’interno dei continui
mini-eventi di cui lui si trova a essere attento spettatore e attore.
Fortemente emblematiche, in tal senso, soprattutto la prima sezione (Storia di G.) e l’ultima, non a caso titolata Romanzi. Ché, in effetti, i suoi poemetti zigzaganti assomigliano proprio
a mini-romanzi, nei quali, tra l’altro, ogni tanto Fresa inserisce segmenti
direttamente in prosa, in un felice connubio che a me ha fatto ricordare il Cucchi
de Il
disperso. A lettura ultima di Uno stupore
quieto, libro davvero notevole, è esattamente
questo brusìo continuo della lingua-sguardo di Fresa a sedimentare nella mente
del lettore, uno sguardo che come un “terzo occhio” va perlustrando, tra l’onirico
e il tangibile, le tante sfaccettature della Realtà, con una sua adesione verso
le scombinatezze della vita, che solo la vera poesia analitica e osservativa
può felicemente squadernare al suo lettore, con un meraviglioso quanto
orizzontale, sereno sbalordimento.
(in
«Gradiva. International Journal
of Italian Poetry», n. 46, 2014)