La nuova silloge poetica di Maria di Lorenzo, Ma sempre ti perdo, mia vita ci pone
subito, fin dal titolo e dalla lirica d’apertura, di fronte al limite
ontologico di ciascuno di noi, la morte, avvertita nella sua realtà di continuum che agisce poco per volta
durante l’umana esistenza, fino a determinarne lo spegnersi. Ma questa
consapevolezza che «Ogni crescita è
morte, è morte ogni nascita» è pervasa e sostenuta nella lirica di Maria di
Lorenzo da un’incrollabile certezza, quella fissata dal destino, per cui «Ed è
solo morte / che rende eterna / la vita» (Ananke).
In quest’ottica non solo di speranza, ma di certezza
per fede profonda, quelli che veramente vivono sono i defunti, in quanto “già
conoscono il rovescio / dell’arazzo inesplicabile”, avendo valicato il limite
dell’esperienza terrena e potendo ormai spaziare nell’immensità e nella
certezza della Verità.
Ma tra il nascere e il morire, nell’ansia dubbiosa
dell’attesa dello svelamento, c’è la vita, con gli eventi, i fatti, le
situazioni, i luoghi, le persone, le esperienze, le gioie, i dolori e tutto
quello che connota le giornate del vivere individuale e collettivo, presente e
storico: schegge di vita, molte delle quali si perdono nella nebbia indistinta
dei giorni, altre, poche, si configgono nella mente e nel cuore, sopravvivono
maturando nella memoria; in quanto fonte di ispirazione diventano parole e,
attraverso la pulsione creativa, si fanno versi e liriche.
Ad innervare e a dare corpo alla poesia di Maria Di
Lorenzo sono esperienze di
vita, incontri personali e letterari,
nonché memorie storiche su cui aleggia l’anelito spirituale sorretto dalla
fiducia nell’incontro personale con Dio.
Così le difficoltà dei rapporti interpersonali, tra
slanci gratificanti e cadute delle illusioni (Incontrarti), trovano riscatto nella consapevolezza del superiore
valore dell’amore in quanto tale («L’amore non esiste per essere condiviso»).
Nell’ambito affettivo determinante diventa la saldezza dell’amore paterno (Gli occhi del padre) che si disegna
nella memoria con «quella mano nell’aria / che punisce / e che rasserena», capace
di indirizzare ed orientare verso «un altro Padre» di fronte al quale «chiara
la fronte si curva / sopra il suo mistero» (Come
cercano i nidi al tramonto). Di conseguenza più facile in questa linea di tensione verticale
diventa per la poetessa il rapporto con Dio, «– non despota / ma Padre» (Vero come tu sei), «il Signore dei cuori», «l’Altro /che abbraccia tutto intero / il
mio essere e lo lascia / libero nell’amore» (Il tuo nome è Fedeltà).
La vita, oltre che nella dimensione ultraterrena,
continua però anche nella storia, come abbiamo imparato dai classici e da
Foscolo, tramite il ricordo di chi ha lasciato negli altri memoria e rimpianto,
ma soprattutto ricchezza di valori. A questo nucleo tematico è ispirata la
sezione Tra i vivi, in cui la poetessa
rievoca l’esperienza esistenziale del poeta Elio Fiore, a lei particolarmente
caro e da lei molto apprezzato, come dimostra l’interessante saggio critico che
gli ha recentemente dedicato. Fiore fu coinvolto in un triste giorno della sua infanzia
nel bombardamento del ghetto di Roma («Più
di tremila / i morti, le case sono rase / al suolo»), dove rimase sepolto per
alcune ore sotto le macerie insieme alla madre. Anche se si salvò, quella
drammatica esperienza segnò indelebilmente la sua sensibilità di uomo e fu
determinante nella sua creazione poetica, perché «Nell’arcipelago della memoria / i ricordi sono isolotti / lucenti che
il tempo / non erode». La rievocazione di questi fatti storici in cui si
sono inserite tragicamente tante esperienze personali, diventa anche occasione
di riflessione sull’imperscrutabilità del destino («Così doveva essere. / Non lui, un altro bambino. / Così doveva
essere.»), sulla forza dell’amore materno («Figlio!
/ Respira, figlio mio… / respira / insieme a me!»), nonché sull’acquisizione
di consapevolezza e di maturità che può derivare dalle esperienze più dolorose («Scoprì la forza delle idee / parole scavate / in fondo
all’anima / per essere restituite / infine alla luce, ancora / vive»), come ci
hanno insegnato gli antichi con i versi incisivi sul páthos/máthos dei tragici greci.
Dal punto di vista espressivo la poesia di
Maria Di Lorenzo si realizza in uno scontro di toni e di registri linguistici
con parole di campi semantici diversi capaci di produrre una dissonanza che si
fa metafora delle asprezze e delle difficoltà della vita, ma che riesce anche a
dire la fiducia nell’esistere stesso con il suo ricomporsi in una superiore unitarietà
di ritmo.
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