giovedì 2 ottobre 2014

Su Ma sempre ti perdo, mia vita

recensione di Rosa Elisa Giangoia


La nuova silloge poetica di Maria di Lorenzo, Ma sempre ti perdo, mia vita ci pone subito, fin dal titolo e dalla lirica d’apertura, di fronte al limite ontologico di ciascuno di noi, la morte, avvertita nella sua realtà di continuum che agisce poco per volta durante l’umana esistenza, fino a determinarne lo spegnersi. Ma questa consapevolezza che «Ogni crescita è morte, è morte ogni nascita» è pervasa e sostenuta nella lirica di Maria di Lorenzo da un’incrollabile certezza, quella fissata dal destino, per cui «Ed è solo morte / che rende eterna / la vita» (Ananke).
In quest’ottica non solo di speranza, ma di certezza per fede profonda, quelli che veramente vivono sono i defunti, in quanto “già conoscono il rovescio / dell’arazzo inesplicabile”, avendo valicato il limite dell’esperienza terrena e potendo ormai spaziare nell’immensità e nella certezza della Verità.
Ma tra il nascere e il morire, nell’ansia dubbiosa dell’attesa dello svelamento, c’è la vita, con gli eventi, i fatti, le situazioni, i luoghi, le persone, le esperienze, le gioie, i dolori e tutto quello che connota le giornate del vivere individuale e collettivo, presente e storico: schegge di vita, molte delle quali si perdono nella nebbia indistinta dei giorni, altre, poche, si configgono nella mente e nel cuore, sopravvivono maturando nella memoria; in quanto fonte di ispirazione diventano parole e, attraverso la pulsione creativa, si fanno versi e liriche.
Ad innervare e a dare corpo alla poesia di Maria Di Lorenzo sono  esperienze di vita,  incontri personali e letterari, nonché memorie storiche su cui aleggia l’anelito spirituale sorretto dalla fiducia nell’incontro personale con Dio.
Così le difficoltà dei rapporti interpersonali, tra slanci gratificanti e cadute delle illusioni (Incontrarti), trovano riscatto nella consapevolezza del superiore valore dell’amore in quanto tale («L’amore non esiste per essere condiviso»). Nell’ambito affettivo determinante diventa la saldezza dell’amore paterno (Gli occhi del padre) che si disegna nella memoria con «quella mano nell’aria / che punisce / e che rasserena», capace di indirizzare ed orientare verso «un altro Padre» di fronte al quale «chiara la fronte si curva / sopra il suo mistero» (Come cercano i nidi al tramonto).  Di conseguenza più facile in questa linea di tensione verticale diventa per la poetessa il rapporto con Dio, «– non despota / ma Padre» (Vero come tu sei), «il Signore dei cuori», «l’Altro /che abbraccia tutto intero / il mio essere e lo lascia / libero nell’amore» (Il tuo nome è Fedeltà).
La vita, oltre che nella dimensione ultraterrena, continua però anche nella storia, come abbiamo imparato dai classici e da Foscolo, tramite il ricordo di chi ha lasciato negli altri memoria e rimpianto, ma soprattutto ricchezza di valori. A questo nucleo tematico è ispirata la sezione Tra i vivi, in cui la poetessa rievoca l’esperienza esistenziale del poeta Elio Fiore, a lei particolarmente caro e da lei molto apprezzato, come dimostra l’interessante saggio critico che gli ha recentemente dedicato. Fiore fu coinvolto in un triste giorno della sua infanzia nel bombardamento del ghetto di Roma («Più di tremila / i morti, le case sono rase / al suolo»), dove rimase sepolto per alcune ore sotto le macerie insieme alla madre. Anche se si salvò, quella drammatica esperienza segnò indelebilmente la sua sensibilità di uomo e fu determinante nella sua creazione poetica, perché «Nell’arcipelago della memoria / i ricordi sono isolotti / lucenti che il tempo / non erode». La rievocazione di questi fatti storici in cui si sono inserite tragicamente tante esperienze personali, diventa anche occasione di riflessione sull’imperscrutabilità del destino («Così doveva essere. / Non lui, un altro bambino. / Così doveva essere.»), sulla forza dell’amore materno («Figlio! / Respira, figlio mio… / respira / insieme a me!»), nonché sull’acquisizione di consapevolezza e di maturità che può derivare dalle esperienze più dolorose («Scoprì la forza delle idee / parole scavate / in fondo all’anima / per essere restituite / infine alla luce, ancora / vive»), come ci hanno insegnato gli antichi con i versi incisivi sul páthos/máthos dei tragici greci.
Dal punto di vista espressivo la poesia di Maria Di Lorenzo si realizza in uno scontro di toni e di registri linguistici con parole di campi semantici diversi capaci di produrre una dissonanza che si fa metafora delle asprezze e delle difficoltà della vita, ma che riesce anche a dire la fiducia nell’esistere stesso con il suo ricomporsi in una superiore unitarietà di ritmo.

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