recensione di Marcello Tosi
Un “piccolo viaggio nell’anima poetica tedesca di Carla De Angelis”, scrive nella prefazione Stefano Martello, ovvero il medesimo aggiunge citando Coleridge: “le migliori parole possibili nel miglior ordine possibile”… A suo giudizio “poesie scolpite nella quotidianità composte su una curva della Portuense, mentre stava pagando il pane…”. È come un atto di certificazione che consente a questi versi di diventare: “concreti, spendibili, condivisibili”. Come nelle “poesie di tentata conquista” della precedente raccolta A dieci minuiti da Urano, sempre edita da Fara, l’affermata poetessa romana traccia le linee di un viaggio esistenziale, fino ad uscire “a riveder le stelle” in cui la scoperta della dimensione primigenia di una genesi universale disegna una cosmogonia che lascia le sue tracce nella dimensione del quotidiano. Anche muovendo dalla lettura del De Rerum Natura di Tito Lucrezio Caro: “Quando leviamo lo sguardo agli spazi celesti…”. “La collina scava un solco nell’anima… in cerca di un lampo nel temporale”…”Le stagioni passano / immutato resta il tempo… / guardo te senza sapere / impotente piango / piange anche Dio”. Senso di smarrimento legato a una profonda esigenza di un luogo interiore in cui ritrovare essenza di vita: “Non ho radici / sono dove sto bene…/ affido al vento ciò che ho dato / poi continuo a nuotare”. Indagine quindi sulla natura delle cose, che significa accingersi a ripercorrere il segno di un cammino, di un altro sogno sulla strada per riconoscere la vita, e inseguire la coppa del segreto rubata al tempo. È la dimensione del tempo “imperfetto”, quello dilatato nel tempo e nello spazio del ricordo, che si fa scrittura. Preziosa, sottile la scoperta che poiché è il quotidiano che ci rincorre, che “Ogni giorno presente / non ci perdona di esistere?“, valicare “il muro ogni notte” è montaliamente: “preparare la parola che non offende / impastare il messaggio utile / a riparare la crepa sulla strada”. Il quotidiano è, per Carla De Angelis, una scena su cui si rincorre la vita, in cui un solo gesto, un solo tocco può bastare per la scintilla, per far scaturire la consapevolezza che è il desiderio, l’attesa del supremo amato volto che colma il vuoto: “e lui / ha un aspetto divino…”. La ricerca di sé, anche se vissuta in modo surreale, si fa impulso a cercare la bellezza: “il poeta sa / farsi pastore del destino / non si ostina ogni giorno / sulla bilancia…”. Il poeta è un profeta che vive con dolorosa consapevolezza il senso della perdita di sé: “Un touch e scompare un volto / rotolano nel cestino lettere messaggi… quel battito dal volto invisibile / perso nello spavento del file”…ma “forse il computer conserverà memoria” e “un sortilegio inatteso / produce l’impulso / a cercare la bellezza…” Attraversando un mosaico di “mandrie di immagini” che si muovono, lungo giorni e strade, il suo riordinare con perizia le cose, è cercare: “l’ordine morale / in un tempo senza bellezza” quando “si tornerà a riabbracciare la sapienza / della natura / ascoltare il Silenzio delle Sirene”. “Senza conoscere il segreto” non ci si salva...”devo trovare lo stile / l’arte e l’intarsio…
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