recensione di Narda Fattori
Perché si scrivono poesie,
atti in perdita finanziaria, che chiedono attenzione, tempo, impongono di
sciorinare l’interno dolore, di perdere pudori, di perdere i percorsi sicuri,
di abbandonare i salvagente, i corrimani…?
Credo che nessuno abbia mai
risposto in modo esaustivo e convincente a questa domanda; un poeta scrive come
l’innamorato ama e non c’è ragione, non esiste nessun paradigma logico,
filosofico, sintattico… ma l’uomo da millenni sceglie parole per dire di sé
e del mondo, dei fatti e delle percezioni, e ha scritto tomi teoretici, ha
raffinato la retorica, ha sgravato di oneri i poeti coronandoli di onori. Altri
tempi, altri costumi…
Penso ad un filo che lega
nesso, Nasso, abbandono, dolore, profezia: povera Arianna abbandonata in Nasso
per l’opportunismo di Teseo, nesso fra il mito e il potere che profetizza lo
stretto legame fra i poteri ( politico, mercenario, muscolare); la poesia è
spesso profezia: immagino un bambino che gioca sulla sabbia del mare e
seleziona valve e gusci, poi tira su un edificio beffardo, che sfida ogni
regola di fisica ma che lo incanta anche se la cernita gli ha procurato qualche
piccolo taglio sulle dita.
Carla, che ha pubblicato solo
tre libri, non è poetessa avara, è donna a cui i bisogni degli altri rubano il
tempo. E i bisogni degli altri non rivaleggiano con i suoi, semmai li fa
rivivere come propri.
Il titolo ha una sua
consistenza semantica: i giorni che tramano il tempo e che ci fanno scoprire un ieri diverso,
minuscolmente diverso dall’oggi, e la trama delle strade che ci portano a
deviazioni, a rettifiche, a procedere e a recedere, a tessere comunque sempre
la tela che la sorte ci ha dato, a provare ad amarla nel dolore che trafigge,
nello spiraglio che ci illumina, raramente. E non c’è risposta alla domanda sul
motivo di esserci su questa terra: l’amore ci fece, per amore sopravviviamo.
Se la vita non fosse un
fatto privato
ti donerei metà del mio respiro
da stringere nel pugno
quando la bestia ringhia
libera la mano e continua
a volare
(…)
Tu puoi solo scagliare la
freccia
mani insieme a tendere
l’arco
L’amore non è oblativo,
esiste e non mette steccati, non ha imbarazzi, non si svuota, è testardo,
persiste e muta l’amante. L’amato è poco più di un pretesto.
In questo libretto di poesie, Carla si rivela ancora più scarna, ancora più incisa e incisiva; a lei non
interessa la forma, delle parole cerca la forza, la coerenza con il suo stato
d’animo.
Il suo dire duole, in esso si
specchia il suo stare contuso e lieve per quel sogno che sopravvive:
…
sette gatti un coniglio due
papere
scriverò due lettere
solo due lettere
qualche numero di telefono
La vita che ci strangola fra
le lancette del tempo sa fornire pause
come quelle sole: sono gli animali nel suo giardino, sono vita semplice,
creaturale, sono l’essenziale.
Se dovessi definire queste
poesie direi che sono un breviario per un dio che non intercede ma talvolta
interviene leggero come
un’intuizione; a Carla basta poco, quasi nulla, pure sulle sue gracili spalle
si annida un Prometeo che per amore degli altri accetta di rinnovare ogni notte la
sua tortura felice dei fuochi che ardono qua e là per le campagne.
Come premesso dalla poetessa
stessa, le poesia seguono l’ordine cronologico della loro creazione nel
rispetto dell’emozione che le ha fatte emergere.
Sono poesie di sostantivi,
puntute e poco giocano con la metrica; il linguaggio è moderno, però non
sperimentale. Riflettono i ritagli di tempo che ha permesso loro di esistere.
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