martedì 3 settembre 2013

Mario Fresa. Ritratti di poesia (31)




Daniele Santoro




La poesia non può avere alcun legame con la cerimoniosa rettorica della comunicazione quotidiana, né coi suoi lambiccati stratagemmi, né con la rete vischiosa dei suoi calcolati, minuti imbrogli. No. La poesia parla con durezza e con vigore, senza nessuna astuzia accomodante, senza nessuna finta cortesia: non gioca ad attenuare il fuoco ultimo dei più indicibili segreti; mai si nasconde, la poesia, dietro l’opaco mascheramento di una preterizione: e invece assedia e stringe le parole, e finalmente le conduce alla meta sottile del silenzio, al suo stupore dilatato ed estremo.
La poesia è una lingua forte: ci ricorda che un granello di verità si mostra a noi soltanto nella viva, tremenda coincidenza di un urto, di una scossa, di un improvviso sommovimento che ci scuote e che ci turba. La verità è violenta: corre su di un filo tormentoso che ci riserva spine, accecamenti, dirupi.
Daniele Santoro si è affidato alla lingua forte della poesia per rappresentare lo strazio infinito della Shoah, della sua disumana e ordinata follia, del suo orrore incomprensibile. Sulla strada per Leobschütz, pubblicato nel 2012 presso La Vita Felice, è un libro dotato di straordinaria densità espressiva, e di una energia terribile, formidabile, in cui l’altissima tensione è prodotta da un uso asciutto ed essenziale della parola poetica. Santoro toglie, elimina, sottrae. I suoi versi sono aguzzi e penetranti, respirano con l’agra meraviglia di chi è sopravvissuto a un evento abissale e intestimoniabile. E in questo inesorabile svestire la parola, in questo denudarla, scioglierla, diminuirla, sospenderla nell’ansia di una secchezza spigolosa, si vede bene che il dramma narrato si rafforza e si ravviva, si potenzia e si dilata grandiosamente.
I versi di Santoro sono misurati e sconvolgenti. In essi, nel loro buio e stretto corridoio, il poeta si defila e si nasconde, e lascia parlare gli stessi protagonisti dell’orrore, e il linguaggio è allora ossuto e disperato, scarnificato e duro, violento e diretto come violenta e dura è la tragedia inconfessabile che si è compiuta nei campi dello sterminio.
Il lettore si trova di fronte al diario di un’allarmata stupefazione e di una irresoluta, ansiosa interrogazione: e nella scrittura non vi è giudizio alcuno, né alberga l’ipotesi di una superiore commiserazione o di una letteraria catarsi purificatrice ed esorcistica: giacché a parlare sono gli eventi stessi, le medesime vittime, il loro affilato e indicibile dolore.
Qui la poesia rinunzia alla belluria dell’edonismo, rifugge dal “bel” suono, e parla invece con una lingua ruvida e gelata, aspra e rigorosa. Ma è anche una poesia che diventa dolcemente transitiva, che si consegna all’ascolto di qualcuno che possa registrare gli avvenimenti e tramandarli (nell’acqua fredda, nera, della sua pena, la lingua cerca un’eco pietosa che fotografi il suo strazio, che documenti l’arsura del suo grido).

Così leggiamo un libro gonfio di speranza e di disperazione, nel quale la poesia non assolve né chiarisce, né salva, né consola: ma si offre ai suoi lettori con una sua crudele determinazione, e col sapore feroce di un inatteso colpo, di un attrito indelebile ed eterno.





 La conta

sta per cadere, guardalo, barcolla
gli occhi gli si strabuzzano di brutto
il teschio gli si piega a manico di ombrello
crollerà, è inutile, non puoi farci niente
e a nulla servirà tentare rianimarlo
a piccoli calcetti, noi da dietro
a richiamarlo muti, se ne accorgeranno
ordineranno di portarlo via, per colpa sua
dovranno nuovamente contarci







La poesia è tratta da Sulla strada per Leobschütz (La Vita Felice, 2012). 
La prefazione al volume è firmata da Giuseppe Conte.






Daniele Santoro è nato nel 1972 a Salerno, dove si è laureato in Lettere classiche, e vive a Roma, dove svolge attività di docente nei licei. Collabora con testi poetici e di critica letteraria a riviste di settore, tra cui «Caffè Michelangiolo», «Capoverso», «Erba d’Arno», «Hebenon», «Il Monte Analogo», «La Mosca di Milano», «Sincronie» e le statunitensi «Gradiva» e «IPR Italian Poetry Review». Ha esordito con la plaquette Diario del disertore alle Termopili (Nuova Frontiera, 2006).