domenica 3 febbraio 2013

News da Adele Desideri

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vi segnalo alcuni eventi


*Recensione di Adele Desideri a Lidia Sella, Eros, il dio lontano. Visioni sull’amore in Occidente (La Vita Felice, 2012). Infra

*Recensione di Adele Desideri a
Ciro Vitiello, L'opera poetica, V. I (Guida, 2012). Infra

*Consigli di lettura:

**Ida Travi, Il mio nome è Inna, Moretti&Vitali, 2012
“Se con la sua precedente raccolta poetica, Tà. Poesie dello spiraglio e della neve (Moretti&Vitali, 2011), l’autrice ci ha ammonito sull’esistenza di sopravviventi un futuribile post, ne Il mio nome è Inna ci consegna la visione gravida e miracolosa di una resistenza consapevole e sorprendente, giacché “Siamo baciati dallo spirito del tempo/ ci bacia sulla testa lo spirito del tempo/ è così che ci pettina, ci inchina”.
(Dalla quarta di copertina, Nota critica di Alessandra Pigliaru)

*Margherita Rimi, Era farsi. Autoantologia 1974-2011, prefazione di Daniela Marcheschi, Marsilio, 2012
“In questi versi trentennali della Rimi, in un linguaggio poetico che colpisce con la sua agile semplicità e verità disarmante, per la prima volta risuonano non solo gli echi rassicuranti di ogni infanzia serena ma anche la voce dolente e inquietante dei bambini che hanno subito abusi (…) L’autrice guarda e vede il mondo dagli occhi stessi dei bambini, un mondo a volte feroce e cinico (…) Eppure dei bambini violati l’autrice sa cogliere anche tutta la purezza e l’innocenza (…)”.
(Dalla quarta di copertina, prefazione di Daniela Marcheschi).

*Dieter Schelak, Vivetta Valacca, La luce dell’anima. Zeit Los brennt dieses Licht hier, Edizioni ETS&ALLEO, 2011.
“Hierogamica, astrale ma insieme potentemente sensuale la parola-a-due di Dieter Schlesak e Vivetta Valacca è filo di una trama d’amore che intesse l’intreccio di due anime, nell’inesausto ordito dell’eros cosmico: éroti batheî, «d’abissale amore», per dirla con il frammento degli Oracula Chaldaica: amore come abisso di luce in cui le anime incontrandosi a due si incontrano con la quintessenza luminosa e numinosa del cosmo”.
(Dalla prefazione di Angelo Tonelli)

*Ugo Piscopo, Idilli napoletani. Il possibile che diventa impossibile. Guida,2012
Raccolta di brani scritti dall’autore tra il 2009 e il 2012 - “gridi in aperta piazza, sia pure composti ma perciò tanto più inquietanti, del napoletano male di vivere”.
(Dalla prefazione di Aldo Masullo, pag. 8)
“in fatto di libri, mi piace il libro materiale e concreto, fatto di carta che io posso toccare, girare, tenere a portata di mano, di matita, di pastello. Che mi dà riscontro alla mia esistenza qui e ora, che mi rassicura con sue parole, che io certamente posso interpretare in maniera continuamente nuova e varia, ma che sono scritte sempre con quel carattere con cui mi si è presentato alla lettura a cominciare dalla prima volta”.
(Da Crossing book e sue strozzature a Napoli, pag. 76).

Lieta con voi

Adele Desideri


Lidia Sella, Eros, il dio lontano. Visioni sull’amore in Occidente, La Vita Felice, 2012, pag. 92, euro 12

Lidia Sella, giornalista e scrittrice, ha da poco pubblicato - con la postfazione di Armando Torno - il suo quarto libro, Eros, il dio lontano. Visioni sull’amore in Occidente: una raccolta in versi posizionati, sulla pagina, con una centratura tanto misurata, quanto lo è l’intento riflessivo che li anima.
Un vocabolario gravido di nozioni scientifiche; uno stile, talvolta, quasi algido, e all’improvviso carico di toni nostalgici; oppure, ancora, digressioni sociologiche attraversate da ombre di passionalità timida e al tempo stesso dilagante; con queste armoniose discrasie, Sella affronta il tema spinoso di una malattia molto diffusa, purtroppo, nei nostri insidiosi giorni: la paura di amare.
Si avvale, Sella, di numerosi e dettagliati riferimenti al mito, non solo greco e latino; tra i quali, appunto, primeggia il dio Eros.
Riferimenti, però, che sembrano sovvenirle quale mero ausilio linguistico ed epistemologico, utile a indicare un modo di interpretare i fatti all’interno di una precisa cornice storica di derivazione classica.
Sella non si affida al mito come universo semantico ancestrale, come archetipo misterioso - junghiano - dell’inconscio umano. Non si affida alla psicoanalisi, e lo dichiara - sincera e determinata - con un pizzico di aggraziata disinvoltura.
Eros è essenzialmente - per l’autrice - una finzione narrativa posta fra se stessa e il lettore. Una finzione necessaria per non declinare nella malinconia: per non rivelare del tutto una sensibilità incombente, accesa, ferita.
Sella critica - con dolore, con tenacia, con arguzia - la società contemporanea, che più non conosce la strada del sentimento, che confonde l’erotismo con la pornografia, l’emancipazione femminile con la volgarità, le promesse di fedeltà assoluta con patti bilaterali reiterati, e poi dimenticati in un istante:  “l’empatia amorosa/ cigola, stagna, impallidisce/ e nel turbinio dei giorni/ i piaceri si fanno così flebili/ friabili/ rugosi/ da mutarsi/ al vespro/ in foglie d’autunno.//”.
I timori denunciati, e forse, in parte, sperimentati dalla scrittrice medesima, sono molti; il timore della trascendenza, dell’eterno, e della tremenda superbia tecnologica. Il timore che l’ironia sfoci nel cinismo, che l’idealismo si traduca in pericolose forme di ideologia: “Prudenza innata/ empirica saggezza/ miele millenario di cui noi/ - saccenti passeggeri/ del ventunesimo secolo -/ ignoriamo la dolcezza.//”.
Il timore che il mal di vivere significhi follia - e la consapevolezza, d’altronde, che l’inquietudine esistenziale lambisce gli spiriti nobili: “palindroma/ la cifra della sofferenza/ che si esamini la trama/ dal principio/ o a ritroso/ si proceda dall’epilogo/ il tracciato/ si ripresenta identico/”.
Il timore di amare - sì - però anche l’anelito a una profonda, solida relazione con l’altro: “Transitoria follia/ Amore/ flagella corpo mente cuore/ provoca ansia insonnia inappetenza/ attacchi di panico/ altera la vista/ offusca il giudizio/ rende infantili/ e incoscienti./ Ma anche entusiasti/ fiduciosi./ E creativi.//”.
L’autrice mostra uno sguardo conservatore, elitario, che si posa fugacemente sugli abissi della povertà, dell’emarginazione. Uno sguardo, in fondo, mancante di una puntuale, partecipe attenzione agli attuali drammi sociali.
Eppure, qualcosa colpisce. Qualcosa, delle intense intuizioni poetiche di Sella, convince: la sua maniera, audace e a tratti scontrosa, di identificare gli individui dell’occidente - al di là del ceto culturale ed economico a cui appartengono - nel segno del bisogno.
Bisogno di empatia, bisogno di affetti, bisogno di concreta tenerezza: “Tutti smaniosi di scalare l’Olimpo/ con funi fabbricate nei sogni/ mentre cadaveri di amori ideali/ si ammucchiano in fondo ai dirupi.// Da lassù, gli dèi/ non si perdono una puntata/ dei nostri insuccessi./ E ridono/ di tanta fatica sprecata.// Per noi infatti non hanno riservato/ che (…)/ brevi orgasmi/ crude illuminazioni.//”.
Si comprende, quindi, che Eros è, per Sella, un dio davvero lontano.
Lontano da quel cosmo infinito che è il cuore dell’uomo.
Il cuore dell’uomo: è salvifico riscoprirlo, interrogarlo, accudirlo, vezzeggiarlo, per rendere lo stile di vita occidentale meno autoreferenziale, meno rapace, infine, più degno.
Il cuore dell’uomo, oggi tragicamente - proprio come Eros - ancora absconditus: “Ma se la sua Euridice/ Orfeo rapisse all’Ade/ e il loro volo di gabbiani riprendesse/ ala contro ala/ verso la sfolgorante meta/ potremmo infine ricordare/ quant’era dolce morire per amore/ vivere per amare/ disciogliere la morte/ nell’eternità d’un bacio?//”.

Pubblicata ne Il Quotidiano della Calabria, rubrica Idee e società, 4 settembre 2012, pag. 45

Adele Desideri
  


 
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Ciro Vitiello, L'opera poetica, V. I, Guida, 2012, pag.400, euro 30

Ciro Vitiello, scrittore e critico filosofico-letterario, giunto all’età della maturità, ha avviato la pubblicazione, in sette tomi, di una copiosa selezione della sua opera omnia.
Il tomo primo, L’opera poetica (vol. I) - vincitore del Premio Internazionale di Poesia Alfonso Gatto (2012) - è introdotto da tre pregiati saggi di Giorgio Bàrberi Squarotti, Stefano Verdino e Carlo Di Lieto, e da un’intervista a Vitiello, a cura di Alessandro Caradente, titolata Iniziazione alla poesia.
Il volume contiene - raccolte in diciotto libri - numerosissime poesie inedite ed edite, rielaborate da Vitiello con “appassionata inquietudine”, con “una spasmodica revisione- semantica, iconica, stilistica”.
Poesie oniriche, pregne di sorprendenti evocazioni, di surreali allucinazioni, di complessi deliri creativi; o impreziosite da nitide descrizioni naturalistiche e da veementi riflessioni filosofico-sociali; spesso ritmicamente in analogia con il verso biblico, armoniose e, però, trafitte da suggestive cesure esclamative; o, altrove, permeate da tonalità sapienziali che si alternano a momenti di furore apocalittico: “È gelida merce la Nigeriana, che assapora nell’anima l’odore// del Sahara, mancanza che ossessiona ai fuochi della notte,/ (…)// (…) Fischiano i venti tra le frane./ Il tramonto, tra la ferrovia e il duomo,/ scema, limpido sugli stracci di bimbi/ che non conoscono i padri.//”.
I temi trattati sono quelli classici della letteratura: l’angoscia esistenziale, la denuncia civica, la passione amorosa, la malattia, la morte, la religiosità, e, non ultima, la colpa: “Nelle ore contrite, mi è vigile la coscienza d’essere/ particola di pietà.//”.
Temi che si propongono a più riprese, impellenti, con forti tensioni antitetiche, segnati da un impegno etico vivace e determinato, generoso e severo, perché Vitiello è consapevole che la parola “è chiamata a farsi fossile del vissuto”.
Vitiello attinge ai meandri oscuri dell’inconscio, con le cui magmatiche densità dialoga - ostinato e reattivo; poi se ne distacca, trovando, nel verso, una poliedricità di significati che alludono agli aspetti umili - e forse umilianti - della realtà, e che, infine sfiorano, all’improvviso, i cieli alti, limpidi, della trascendenza: “(…) Siamo liuti,/ occhi e teste seducenti a galla vanno, nascendo/ il giorno. Rischiamo ogni istante il cappio// delatore, oh, seguiamo la voce della fede, desiderosi/ di rivelazioni. Scoppia il fulmine ad annunziare/ tempeste siderali, e tu dormi nella più/ assoluta nudità.//”.
Il soggetto lirico è pluriforme: il tu, l’io, il noi appaiono come smembrati, in sacrificio, sull’altare della memoria personale e collettiva: “io dicente, tra azioni e dissoluzioni, sempre con esito di sottrazione”, scrive Verdino.
E la civiltà contemporanea, ma in primis la metropoli - passate al vaglio ammonitore di un rigoroso criterio mnestico - sono sanguinanti, prive di dignità, di salvezza. La voce del poeta è dura nel condannare vanità e furberie, false bandiere e sopraffazioni, viltà e ipocrisie: “C’è la rosa e il gelsomino, il pascolo e l’erba novella-/ come sugheri nell’onda torrenziale stanno le nostre/ anime timorose. La rivoluzione è sublimata// dalla pienezza della piazza osannante. Eppure era odoroso/ il bordello dell’ebbra gioventù, tutte le labbra/ erano di fuoco e si volava sui cieli innocenti- sulle vette// urbane per il mutato clima le anitre selvatiche non/ si posano più, langue il cestino delle mele sul tavolo/ insieme alla brocca blu./ La creatura, dove è andata.//”.
Risalta anche, nei differenti testi di Vitiello, la specifica sensualità del linguaggio simbolico del Cantico biblico - molto corporeo e, tuttavia, intensamente spirituale; una sensualità che, in Vitiello, si avvicina, però, ai conturbanti colori della calda luce del Sud Italia.
E, in originale sintonia con tale suadente morbidezza, tipica del Meridione, riemerge, reiterata, la nuda domanda di fede.
Domanda disincantata e fulminea - di qoeletiana reminiscenza - laddove dal dubbio metodologico e pervasivo sorge, comunque, una delicata, eppure vividissima, scintilla divina: “Sul taglio della tenebra la speranza- se non credi-/ si riduce a ortica.//”.
Sconcertante e imperativa, dolente e solerte, silenziosa e dialogante, la presenza di Dio appare simile a quella materna: “(…) Poggio l’orecchio a terra/ per sentirti, Madre, come da ragazzo sentivo sui binari/ il treno lontano, e accolgo cibo dalla tua calda effige/ mentre il corvo in alto stagna, su questo bordo/ declinante il vento assale, e sbrana l’asciutto arbusto:/ tra loggia e pino reca la carrucola il tempo/ dissidente, e oltre i tetti la luce verginale/ mi forma immagine di sale…non bramo,/ rido, piango, col sasso amico/ incido sulla creta/ segni della resa.//”.
Insomma, dietro ogni parola - o verso, o strofa - al di là di ogni immagine; oltre, forse, le più intime intenzioni dell’autore, traspare, ineluttabile, una pacata, ironica malinconia, che inquieta, commuove, fa sorridere.
E intenerisce, mentre induce al sogno: “(…) non arma mi piega, non furie, non marosi/ o ire, ma la dolce voce, le parole colorate…/ tu, perché non torni nei campi/ di margherite gialle?...//”.

Adele Desideri


Pubblicata ne Il Quotidiano della Calabria, rubrica Weekend, 5 ottobre 2012, pag. 43



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