Associazione Culturale LucaniArt, 2012
recensione di Vincenzo D’Alessio
Nei “Quaderni” dell’Associazione Culturale LucaniArt vede la luce la raccolta di poesie della scrittrice Ida Iannella dal titolo Briciole nel tempo. La scrittrice, insieme all’amica Teresa Armenti che ha curato l’introduzione alla raccolta, ha realizzato diversi lavori storici e di ricerca sul territorio lucano da circa un trentennio, in particolare sulla comunità di Castelsaraceno (PZ).
Le poesie chiuse in un cassetto, come è indicato nell’introduzione, vedono la luce oggi perché il tempo della Poesia è diventata un’urgenza per coloro che leggono e dalla lettura traggono la forza migrante, in questi momenti in cui il deserto morale si fa strada sempre di più. Non a caso queste “briciole di tempo” affondano le loro radici in un terreno carico di speranze, a volte realizzate altre volte andate perse lungo la strada dell’esistenza.
Gli anni dell’infanzia, dopo una guerra catastrofica, affiorano nei versi dedicati al padre umile contadino che ha permesso alla figlia lo studio e la carriera scolastica. Una figura forte e dolorante, il simbolo dei Padri della terra dei versi di Rocco Scotellaro e di Leonardo Sinisgalli: “tornare dalla campagna / silenzioso e stanco / con la solitudine / della malattia” (pag. 4). Quanto tempo è trascorso da questo racconto ancora adesso non sapremmo definirlo se non con l’aiuto del pensiero e degli scritti di Pier Paolo Pasolini che, da ultimo profeta dell’umanità del Secolo Breve, ne preconizzava la fine.
I versi di Iannella sono semplici, brevi nel taglio, affidati alla luce flebile della memoria lucana: fatta da gente forte ma tradita da una terra imperfetta e spesso inospitale. Lo racconta in modo solenne e in forma di idillio la Nostra nei versi della poesia Cilento a pag. 9: “Mi appare a volte aspro / a volte dolce / l’orizzonte delle tue colline./ La nuda terra di sterpaglie / intrisa di rocce affioranti. / (…) Opaco e nascosto / come il tuo cuore / che batte / al ritmo di una nenia antica / sepolta e dimenticata./”. In questi versi c’è la maledizione di questa terra e l’energia che batte in quel cuore che non sa arrendersi e lascia queste plaghe per affidare il proprio destino ad altri lidi.
C’è in questa poesia tutta la passione, la generosità, la sincera umanità di una parte di persone che potremmo definire un popolo perché sa riconoscersi nel compaesano come in un fratello, che non nutre odio per chi ha di più e solleva con forza chi ha di meno, che di fronte ad una Natura angusta da secoli si prodiga ad educare i giovani, a sostenerli nei loro sogni e a condurli alla mèta del lavoro.
Ha ragione Iannella: “una nenia antica” che, per noi che leggiamo, ha il sapore del rimorso di avere perso un bene prezioso: il “novellare del suo bel tempo” che il grande Leopardi ci consegna nei versi del Sabato del villaggio. La purezza di consegnarci al nostro riposo con la consapevole debolezza che i “Troppi orrori / (che) colpiscono i nostri occhi./” potranno essere sconfitti dalla esclamazione della poetessa: “Sì! Finché c’è cuore / l’umanità non è perduta!” (pag.7).
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