
Vincenzo
D’Alessio con il suo sapere ci pone di fronte allo sguardo limpido di una
memoria che brucia sia che riguardi la terra sia che si rivolga al figlio: “sotto il cielo spero che da
padre / mi ridonerai la vita” (pag. 40).
Nostalgia
e verità si uniscono nei versi a pag. 21: “È morta la terra da arare e / mille
fabbriche hanno stretto d’assedio / le macchie di aceri e querce”.
Non
c’è da meravigliarsi se il viaggio è faticoso e la valigia è pesante: dentro
c’è un mondo che reclama vita onesta, reclama la dignità di un Sud che i poeti
Irpini inseguono da sempre, con meno cemento, meno “schiavi”; ci sono i volti e
le passioni di chi è scomparso troppo presto, c’è soprattutto la poesia che insegue
giustizia e bellezza, ma c’è anche la speranza “che il paesaggio incanti ancora
il viaggiatore anche sull’alta velocità”.
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