La pastellare saldatura tra poesia e prosa che Mario Fresa sapientemente scaletta nelle pagine, è una scelta di campo convinta e responsabile
per conquistare lo scettro di complesso della realtà vissuta costringendo la
mente a muoversi con scorrevole scioltezza nell’organizzata somma di vicende
sparse, composizione e forme di persone, rapporti causali e misurabili, piani inclinati
di voci e accadimenti. E per comprendere la natura occorre leonardianamente tornare
all’esperienza- sembra suggerirci Uno
stupore quieto- sotto la scorta dal manto screziato di azioni e gesti
quotidiani che cercano i fondamenti supremi e ultimativi nell’ontologico
sostrato scricchiolante del finito e del condizionato. L’osservazione di Fresa,
umoristica e impietosa, scroscia furiosamente nelle pianure di un’onestà
descrittiva scrupolosa e analitica che punta a scrutare, imbastendo un discorso
del tutto personale, l’invalicabile profondità dei limiti umani. L’anello
congiunzionale tra istante ed eternità, immanenza e assoluto, è ravvisabile
forse in un linguaggio volutamente sliricato che richiede al lettore un certo
periodo di sedimentazione appercettiva prima di poter approdare nel pannìcolo
adiposo di un Tempo-Spazio che non ha nulla di logicamente programmato, ma che
si fa selvaggia, proliferante attività produttrice di vizi, bellezza, paure e
tradimenti: “Faceva così anche il tuo
amico, G; te lo ricordi?-v.pag.16- Quello
che apre, ogni mattina, con esasperante/ lentezza,/ il negozio di occhiali di
finto lusso,/ poco faticosamente ereditato da suo padre;/ e, visti gli sparuti
clienti, apre a stento il suo piccolo/ diario per lasciare una breve/ traccia
di sé. Non parla quasi di niente.../Perciò indirizza i suoi discorsi sul vago:
tentenna,/ ridendo ottusamente, e alzando un poco, solo un/ poco, le sue misere
spalle: chiede un conforto silenzioso a/ sua moglie,/che gli rivolge, quasi
sempre, uno sguardo/ di rattristata commiserazione.../” E ancora a pag.70: “ Ma chi mi salverà, pensavo, quasi
piangendo;/ chi mai mi salverà da queste mani/ che hanno smesso di capire, da
queste mani che si/ fanno più fragili/ e più esperte, più dolci e più cattive?”
Eppure, se gli altari del sereno appagamento, ma anche di un più universale
senso di armonia con l’altro, vengono continuamente profanati, l’imperativo
proibitivo “non arrendersi” prolunga le proprie rampicanti vibrazioni col
pronto rimedio di un riparo dalla pronuncia netta che pare migrare, quanto
risolversi, in un pacificato dissidio interiore: “ In una casa dagli ampi spazi bianchi, bada, ci/ riconosceremo -v.
pag.37- subito, d’istinto (facendo
niente, però)./ Sì, dolce impresa, sì. Forse sapremo./ Per quell’inverno ingombro
di curiosi/ avvistamenti – poco dormire, lavare continuamente;/ pulire il già
pulito – pensando solo a sé;/ oppure, infantilmente,/ carezzare il delicato,
finissimo tessuto...//Dopo tutto ho visto te, perfino in questa/ gonfia, buia
discesa” cui seguono i felicissimi versi (v. pag.51): “La sua risposta è pronta, disarmante: la voce querula,/ ma colma di
delizia./ Eppure càlmati, mi dice. Le nostre camere/ saranno ben sicure, perfettamente/
sigillate./ Ma tu non farmi attendere./ Curami, curami ancora...// Tu morbida,
preziosa forma.../ Tu, piccola cara...” È vero per il poeta che Anche scendere dal letto è un’incredibile
sfida agli eventi (v. pag.72), ma è altrettanto vero che l’ironia, srotolata
un po’ dovunque nelle pagine, erige un palco di sbuffante leggerezza, sorretto
da un preciso e puntuale meccanismo formale teso a una rifondazione in chiave
alternativa e attualizzante di un codice comunicativo più colloquiale e non per
questo, meno alto, germinativo o fecondo.
In questo
libro il polso della vita non batte sempre euritmicamente, ma si affida pure
all’esemplare estro di certi scatti improvvisi e imprevisti, alle fiamme
estuanti dell’erompente divenire, al filo elastico di estemporanee implicazioni,
per cui, la riuscita operazione poetica di Mario Fresa, sta nel non nascondere
le cose e la loro άλήθεια sotto l’equivoca etichetta di un dire edulcorato o
diluito: un’entrata in carica di un eclatante percorso di dissimulazione,
capace di diteggiare sull’enigmatica varietà di toni, echeggi, sviluppi ed
effusioni dell’animo.
Mario Fresa, Uno stupore quieto
“La collana”, edizioni Stampa 2009
Prefazione di Maurizio Cucchi
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