recensione di Mara Zanotti
Incidentali, le occasioni per “fare poesia” possono esserlo. Anzi lo sono,per lo più: “Stavo sgomberando il garage, guardo un badile, un secchio. Nel vuoto i piani visuali e il rapporto con gli oggetti cambia. Da qui è nata l’idea di scrivere Piano”. È Alberto Mori a chiarire i retroscena che lo hanno portato a comporre le poesie di Piano, titolo della sua ultima raccolta edita da FaraEditore. Ancora un lavoro sul linguaggio e sulle sue dinamiche interne di relazione, sempre in cerca di un concetto espressivo che riaffiora su diversi piani, che attraversa “senza identità” propria per riaffiorare dove questo venga collocato: “Lo schema visivo compone / tace nella misura equilibrata / l’iperbole si lancia ed intercetta / la litote appena asciugata / raffredda l’ombra del timbro sonoro.”
Ecco dunque che l’impianto linguistico si scardina e si ricompone appunto in piani diversi. Ma può essere questo un buon approccio per interpretare la realtà, o piuttosto è necessario per la poesia così addentro alle regole elastiche del contemporaneo, interpretarla? Mori nella sua costante ricerca “incappa” costantemente nella realtà che solo all’apparenza è estranea al linguaggio poetico (secchio e badile). In realtà, i luoghi, come gli oggetti, come i piani di lettura si intersecano con l’essere e la sua memoria, anche artistica (molti i testi che fanno riferimento alla storia dell’arte). Anche per Piano il reading che accompagna la raccolta fa parte dell’atto creativo; non basta dunque più la lettura per la poesia di Alberto Mori; ad esso va affiancato un sempre più ampio coinvolgimento sensoriale. E i piani craetivi come quelli ricettivi crescono. La prefazione è a cura di Maria Grazia Martina, esperta d’arte. Il libro ha già avuto due presentazioni a Villafranca (VR) nel festival La primavera del libro e all’Associazione La Conta di Milano. Si candidano lettori / uditori per Crema.
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