collana poetica itinerante n. 14, Thauma edizioni, Pesaro, 2012
Sebastiano Adernò ha una voce e uno stile potenti e riconoscibili. Questa nuova raccolta ce ne offre bellissimi esempi. Se a volte qualche poesia rischia di essere un po’ troppo legata all’attualità e alla storia con un tono da impegno civile e indignato (es. Io soldato, Guernica, Luglio nero del 1995, Migranti…) più giornalistico che poetico strictu sensu; se in qualche caso qualche limatura avrebbe giovato alla compatezza di un messaggio e di una visione senz’altro autentici e veri (cfr. Antefatto, Utopia. L’Atelier sul mare…); troviamo in queste pagine numerose perle che ci confermano la maestria del Nostro. Consideriamo la poesia che apre il libro che riproduco integralmente:
La situazione
Sono un albero
sono anni
i miei rami sono andati
il frutto pende oltre
fuori
qualcuno se ne accorto.
Pochi versi intensi, visivi, sobriamente ricchi di sensi, che sono anche un vero e proprio autoritratto. C’è anche in questo Luogo una sotteranea ricerca di una situazione trascendente: al posto dei punti fermi il poeta si pone spesso delle domande (magari indirette) che sono poi con il loro stile, timbro e colore, lo specchio del nostro più profondo domandare: “Resta memoria dei Padri / che deposero uova / nel golfo evanescente dell’inganno? // Sapevano che anche l’acqua / ha nella Legge / l’ossatura della Fede?” (Osserva come parlano); “Allah dorme / sotto la pancia del tramonto.” (Vedova); “Cosa seminare / sul solco lasciato / dalla ruota di una carriola / colma di scapole?” (Israele, 1947); “E ammiriamo / cosa può dunque un corpo. / E come nonostante i chiodi / si sotiene la Sua voce.” (Gerusalemme anno zero); “Ci sono primavere corte / quanto il manico / di una mezzaluna.” (Teheran, 1979); “Poiché andare / è una curva gettata / alle spalle del tempo” (Utopia. L’Atelier sul mare); e gli esempi potrebbero continuare a lungo. Come si vede c’è una forza che innerva la poetica di Adernò capace di innescare cascate di sensazioni, emozioni, anche in modo crudo e spiazzante che sa scuoterci e ridare alla poesia quella verità che è così necessaria oggi. Quando il poeta sa coagularla in versi che si ricordano per la bellezza del ritmo e la vividezza coinvolgente delle immagini, non possiamo che essergliene profondamente grati: “e le nostre dita intinte nel tuorlo / per misurare la febbre di cellule / che non si ricordano come si muore” (ivi).
2 commenti:
Grazie Alessandro. Per la stima e l'amicizia che mi aiutano a crescere.
Come diciamo noi scout: Buona strada!
Posta un commento