venerdì 16 dicembre 2011

Su Famelica Farfalla di Silvia Zoico

puntoacapo Editrice, 2010, collana “Passi” n. 32, con CD

nota di lettura di AR

È dirompente ed epica la poesia di Silvia Zoico: ci fa scorrere sotto gli occhi la storia con immagini penetranti e un timbro sconvolgente. La raccolta si apre con un poemetto in ottave (metro che caratterizza il libro) dedicato al nonno (1914-2004) in cui si parla dei lager: “(…) / ed interprete divenni con bucce / di patate che una cuoca polacca / mi permise di raccogliere e zucchero / trovato abbandonato in una sacca / che sostenne le gambe come grucce / (…)” (pp. 9-10). E così viaggiamo per pagine intense dove con icastica sobrietà gli orrori della guerra, le lacerazioni famigliari, le “deviazioni” a cui povertà e indifferenza costringono, emergono col profumo poderoso di una voce che arriva al punctum: “… il tavolaccio / del carcere profuma di giacinto / azzurro, le manette sono ghiaccio / tintinnante, rincorrono falene / la lanterna cantata da Marlene” (p. 35). Nella Nota dell'Autore troviamo scritto: “Sono fameliche, le voci dei morti. Mi hanno assediata per anni e afferrata con prepotenza alle viscere, finché non ho ubbidito alla loro necessità di essere trascritte. L'«angelica farfalla» del Purgatorio dantesco e di Primo Levi si è trasformata in un risucchio all'indietro” (p. 37). Questo à rebours è sicuramente uno degli scandagli più sapienti e dolorosi, oscuri eppure lampeggianti della poesia italiana contemporanea, cercando, ma con estrema dicrezione, quel bagliore di eternità che la parola poetica, se bella, vera ed esatta, esprime in maniera indefettibile.

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