martedì 6 settembre 2011

Su Financial di Alberto Mori


Riflessioni di Sebastiano Adernò

Poche sere fa ero in comune fuori Udine ad un festa in onore di Gianmario Villalta, vincitore del Premio Viareggio. C'era anche Pierluigi Cappello, vincitore della scorsa edizione. E vorrei iniziare a parlare di Financial partendo dallo scambio di parole avuto con Cappello. Mi era capitato di andare a sentirlo lo scorso anno e mi aveva colpito il suo discorso incentrato sulla Poesia come atto di resistenza, intesa non come lo scrivere in sé, ma proprio come atteggiamento nei confronti di questa postmodernità. Resistenza all'abuso, alla massificazione della parola, alla ridondanza pubblicitaria, all'impoverimento. Dunque l'altra sera gli ricordai queste sue parole, sottolineando quanto condividessi questo suo pensiero, e lui, sorridendo aggiunse: “Vede, il gesto poetico si fonda sulla gratuità. In questo mondo fortemente segnato dall'utile e dalle speculazioni, e dove non sembra esistere altro movente che quello del guadagno, Noi difendiamo qualcosa di spontaneo, gratuito…”. Come non trovarsi pienamente d'accordo? Come non accorgersi che questo consacrare tutto all'utile, vero o finto, reale o speculativo, ha modificato l'atteggiamento degli uni verso gli altri. Siamo alla parabola di quell'infinito ottimismo capitalista. Anni di benessere, di economie drogate dai soprusi collettivi verso Stati più deboli. Mi spiace citare sempre Eraclito, ma come farne a meno vista la corrispondenza delle faglie finanziare con quelle del magma? Nella stessa forma Mori accentua questi piani che si scontrano, urtano e vanno a collimare lì dove il buon senso si è perso. Si gettò forse dalla nave prima di impattare contro l'iceberg? Tutto è precario. Non c'è sintassi. Perché è rimasto poco da accordare. I versi scorrono come le scritte a led di Wall Street… vendere… vendere… vendere… comprare… comprare… comprare… Ma che si vende? Cosa si compra? Nulla. Si prezza la fiducia nel benessere, nel futuro. Non è commercio, non è finanza, è solo vertigine. L'epifania di un grande marchingegno che urta, perde i denti dei suoi ingranaggi, scazza la corsa, affanna su quattro, poi tre pistoni, perde il ritmo, sputa fumo nero… e allora vendere… poi quando sembra tutto perso… riparte… forse va, cammina… spingiamo… compriamo… una locomotiva tipo quelle indiane… dove si sale e si scende… si interviene in corsa sul motore… e le persone saltano su al volo, c'è chi viaggia sul tetto… avvista se ci sono nuove vacche sacre e grasse sui binari.

Nessun commento: