Riflessioni di Sebastiano Adernò
Poche sere fa
ero in comune fuori Udine ad un festa in onore di Gianmario Villalta, vincitore
del Premio Viareggio. C'era anche Pierluigi Cappello, vincitore della scorsa
edizione. E vorrei iniziare a parlare di Financial partendo dallo scambio di
parole avuto con Cappello. Mi era capitato di andare a sentirlo lo scorso anno
e mi aveva colpito il suo discorso incentrato sulla Poesia come atto di
resistenza, intesa non come lo scrivere in sé, ma proprio come atteggiamento
nei confronti di questa postmodernità. Resistenza all'abuso, alla
massificazione della parola, alla ridondanza pubblicitaria, all'impoverimento.
Dunque l'altra sera gli ricordai queste sue parole, sottolineando quanto
condividessi questo suo pensiero, e lui, sorridendo aggiunse: “Vede, il gesto
poetico si fonda sulla gratuità. In questo mondo fortemente segnato dall'utile
e dalle speculazioni, e dove non sembra esistere altro movente che quello del
guadagno, Noi difendiamo qualcosa di spontaneo, gratuito…”. Come non
trovarsi pienamente d'accordo? Come non accorgersi che questo consacrare tutto
all'utile, vero o finto, reale o speculativo, ha modificato l'atteggiamento
degli uni verso gli altri. Siamo alla parabola di quell'infinito ottimismo
capitalista. Anni di benessere, di economie drogate dai soprusi collettivi
verso Stati più deboli. Mi spiace citare sempre Eraclito, ma come farne a meno
vista la corrispondenza delle faglie finanziare con quelle del magma? Nella
stessa forma Mori accentua questi piani che si scontrano, urtano e vanno a
collimare lì dove il buon senso si è perso. Si gettò forse dalla nave prima di
impattare contro l'iceberg? Tutto è precario. Non c'è sintassi. Perché è
rimasto poco da accordare. I versi scorrono come le scritte a led di Wall
Street… vendere… vendere… vendere… comprare… comprare… comprare… Ma che
si vende? Cosa si compra? Nulla. Si prezza la fiducia nel benessere, nel
futuro. Non è commercio, non è finanza, è solo vertigine. L'epifania di un
grande marchingegno che urta, perde i denti dei suoi ingranaggi, scazza la
corsa, affanna su quattro, poi tre pistoni, perde il ritmo, sputa fumo nero… e
allora vendere… poi quando sembra tutto perso… riparte… forse va,
cammina… spingiamo… compriamo… una locomotiva tipo quelle indiane… dove si
sale e si scende… si interviene in corsa sul motore… e le persone saltano su
al volo, c'è chi viaggia sul tetto… avvista se ci sono nuove vacche sacre e
grasse sui binari.
Nessun commento:
Posta un commento