mercoledì 27 luglio 2011

Su La neve nel bicchiere di Francesco Accattoli

Prefazione di Renata Morresi,
Fara Editore, 2011, pp. 84, euro 12.00

recensione di Maria Lenti

Il titolo, La neve nel bicchiere, richiama, nella liquidità, Come acqua che riposa – il titolo del primo libro di poesie (2002) di Francesco Accattoli –. (Non conoscendolo, mi fermo all’exergo. Evito una lettura comparata dei libri del poeta osimano. Ma non posso tacere che lo stesso titolo è di un romanzo di Nerino Rossi, del 1957, da cui Florestano Vancini ha tratto l’omonimo film nel 1984. Non ho letto Rossi. A quel che ricordo, non ci sono analogie tra il film di Vancini e le poesie di Accattoli se non molto sotterranee: la durezza della neve, la liquidità come origine e genuinità).
Liquidità limpida in Accattoli: un punto d’inizio e d’arrivo, di crescita consapevole, di gradino irrinunciabile. Si trovano, nel caso, voci amiche, strade percorse (e da percorrere) insieme, rinvenimenti da scavo esistenziale, reperti d’affetti vissuti anche in altri luoghi di viaggi e d’occasione, vicinanze.
Per necessità di un’àncora che sia, ancòra, soglia di una maternale (e paternale) nascita: dove le indifferenziazioni nutrono e le sottrazioni non sono divenute tali, dove il senso del proprio esserci non s’è smarrito, non ha tradito, non si è fatto fagocitare… dal non essere costruito da estraneità su orpelli e negligenze e dimenticanze e sopravanzamenti di oscurità.
In quest’ultimo caso, allora, è liquidità solidificata, ri-attratta in staticità, ri-voltata rispetto ad una presenza a sé, agli altri, al contesto. Anzi è il rovescio di un’attesa: salificazione del “non” giungere («Da ieri la poesia ci nuoce, / perché la verità / è un incontro ed io non sono / sicuro di ciò che è dietro le parole»); constatazione di un gelo da neve («Per ora è freddo e lampioni duri, per ora è neve»); desiderio di incontri improbabili («Aspettano. C’è un mercato / d’intenzioni lungo i fianchi / delle panchine, odio i fiori regalati, / i colori divorziati dalla terra. // Ma se il mio punto d’equilibrio / s’adattasse per un soffio / allo sguardo, alla vita / della giovane cassiera, / ogni algebra direbbe / la circonferenza pura / d’ogni forma sul pianeta. // Così, a mio vedere, / avrà pace ed avrà modo, / la rincorsa, di cessare.»)
È lo “sguardo” (di cui parla Renata Morresi in clausola alla sua prefazione), ma, strettamente unito ad un modo di sentire cose, persone, spazi, di intravederne il consistere. E, prima, di calarsi nel proprio io messo, in parte, in una nudità concomitante, non tanto per semplicemente dirsi quanto per chiedere, nel dirsi, di quel sentire una ragione nella ricaduta contestuale a largo raggio, in cui ha posto la memoria (meglio, il ricordo) di lontane narrazioni.
Che non prevaricano l’oggi, per la sintonia che Francesco Accattoli vive – uomo di questo tempo – come modalità individuale e condivide con i poeti suoi coetanei.

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