venerdì 17 giugno 2011

Su Financial di Alberto Mori

Caro Alberto,

inizio il mio cammino nel tuo Financial sotto gli auspici di una luce artificiale. Quasi un ambiente oscurato e diverso che si fa correlativo del tuo comporre i passi nel dedalo dei messaggi finanziari; codici altri che riflettono derive. Nel 1971 Pasolini, a quarantanove anni, si diceva sostanzialmente sereno perché non aveva più speranze. Poche ne scorgo anche nelle pagine dove osservi “i volti abbassati sulle agende” quando ogni oscillazione è dettagliato interscambio valutativo, quantificato, monetizzato, ancorato alle piccole ferite, ormai cicatrizzate, poste all’angolo che ci attende (ignorandoci) soli. Ecco che allora i punti distanti lo diventano ancor più; le figure rimaste sono grottesche proiezioni artificialmente costruite e poste in opera all’interno di una società che ci fa più orrore di qualsiasi deriva involutiva. Eppure gli ambienti sono lucidi, le luci polarizzate, i video touch screen, le visioni in 3 D, le clonazioni non umane.
Siamo ostaggi di un capitalismo sbandato alla ricerca di nuova definizione tra solchi di depositi abbandonati. “Cominciamento contratto contrattuale / dove muscolo decontrae e patteggia…”; le attese inducono tentazioni calcolabili, derive reiterate. Quasi si realizza un imprevisto ossimoro tra la rigidità dei diagrammi e la dolcissima curvatura degli schermi, come che potesse definirsi un passaggio dialettico concedente una sintesi di hegeliano auspicio. Ermanno Bencivenga, da kantiano osservante, vorrebbe invece scorgere nell’approdo degli imperativi, una salutare etica in grado di “moralizzare” il giudizio (che cosa possiamo sperare). Non credo che il tuo Financial,caro Alberto, lo conceda né giudichi. Un Bonus Malus evocante fosforescenze non basta per sedurci sulla linearità dei versi. Nemmeno “l’inginocchiato / con coppetta gelato vuota fra le dita” sembra salvarsi da tale conseguente caduta… molto bene dice Giorgio Bonacini nella prefazione circa il fatto che questa poesia cerchi di riprodurre gli umori dell’oggetto per ritrasmetterne i rumori. Una fonetica accentuata dai toni dei termini e dei sintagmi propri di una lingua costruita sulla etichettatura dei parametri settoriali. Al termine del percorso, caro Alberto, che in realtà percorso non è, ma abisso, tendiamo naturalmente, tra i frammenti e i residui rimasti, a guardare quella luminosità quieta del montaliano limone che, in assenza di epilogo, si fa emissione e cromatismo, espediente e segnale.

Andrea Rompianesi

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