Delta3 Edizioni, 2010
recensione di Vincenzo D'Alessio
Ho letto con passione la nuova raccolta di poesie Rosso a sera di Giuseppe Iuliano, perché l’ho conosciuto negli anni Settanta, del trascorso Novecento, come testimone solista in difesa della civiltà contadina, che andava scomparendo davanti ai suoi occhi. Come fu per Pier Paolo Pasolini, il Nostro è stato uno dei vati che ha scritto in un libro, e in articoli per quotidiani, l’abbandono della Madre Terra da parte delle popolazioni irpine negli anni del benessere economico per città lontane,sovente senza ritorni. L’ha fatto con indignazione, come riporta nell’aletta iniziale a questa raccolta il critico letterario Paolo Saggese, ed” è stato riconosciuto da autorevoli critici nazionali”: anche noi lo abbiamo riconosciuto e stimato.
La sua prima raccolta Una misura di sale (Presenza, 1983), riportava lo stesso malessere che ritroviamo forte nei suoi versi di oggi:
(…)
Ho visto la mia generazione morire
e gente immolarsi all’idea
ma senza invocare il tuo nome.
Ora sei untore di peste
epidemia che manca
allo squasso di terra rubata
che vede i suoi figli sfruttati
vivere e morire qui e altrove. (Utopie, pag. 44)
Allora rispondo che la rabbia, la “sacralità della parola”, sono l’erpice che dissoda la dura argilla della nostra Italia: serva, luogo di dolore, prostituta che si arrende al migliore offerente. E noi, i poeti?!| Poveri illusi “non maestri cantori”:
(…)
Io sono un filo scoperto
un laccio di rame
pronto a sciogliersi nel corto circuito
della parola negata. (Uggia, pag. 33)
Noi cantiamo. Anche inni al nostro Dio lontano nei cieli. Sbagliamo e cantiamo. Combattiamo e ci rivolgiamo a Lui, non agli uomini, per il perdono. Ce lo declama il poeta e critico Massimo Sannelli: “Il re Davide era un massacratore e un poeta per il suo Dio. La poesia è un’aggiunta al soggetto, ma non lo santifica. Davide uccide e pecca sempre:il testo lo espone. LO ESPONE:la poesia stessa lo pubblica, pubblicando i suoi atti.”(Scuola di poesia, Wizarts Editore, pag. 25).
Così fa anche Iuliano. Canta i suoi passati errori, le sue mancanze, con la consapevolezza di aver dato, forse troppo, non sempre nella direzione giusta:
Noi siamo i testimoni credibili
del grido profondo
che si torce, si strozza
e trascina sgomenta nelle tenebre
il dolore che dispera. (In ginocchio, pag. 25)
Leggendo questi versi si ritrovano quelli di Parzanese, Scotellaro e Martiniello,un filo rosso che lega chi ha avuto nel sole, del nostro Sud, le primavere di sofferenza. Così scrive ancora Iuliano:
(…)
Il Sud non fa differenza
di borgo e stagione
quando il corpo affannato
affonda nell’abisso e soffoca
nel vortice di rovesci
la voce degli uomini. (In ginocchio, pag. 25)
Di fronte ai terremoti, alle miserie umane, alle sopraffazioni politiche che percuotono le voci libere da millenni, l’unica stella resta la Poesia, pura, delle voci meridionali. Non pongo differenze tra poeti del Sud e del Nord della nostra Italia. Ma questa poesia meridionale, meridiana perché creativa, antagonista del potere esercitato dai violenti, si alimenta a tragedie vissute o partecipate, senza nascondimenti. Quel lamento del Sud degli anni sessanta oggi è voce. La voce è coro. Il coro è vento che solleva la polvere del deserto in cui soggiorna la Poesia vera.
I versi del Nostro contengono rime, assonanze, enjambement, satira, per dare vigore alla parola che è “sacra” perché letta nella memoria dei poeti che l’hanno preceduto, che le gridano dentro e la trasfigurano. Lo dice testualmente in questo verso:
Sono povere d’eterno le mie ragioni. (In altre parole, pag. 12)
L’eterno è la memoria. L’eterno per chi come noi scrive è il verso che continua a battere nel cuore della Terra e nell’armonia della Vita. Anche senza l’uomo. C’è una poesia che dura e anima il silenzio, senza la pretesa di cambiare il mondo degli umani, che si unisce al respiro del Creato. Solo così potremo ritornare, non da estranei, alle nostre case. Con un volto riconoscibile anche dopo anni. Ce lo insegnano i versi di David Maria Turoldo:
(…)
Terra di stranieri
l’uno all’altro,case
senza figli e padri:
ognuno è nessuno
sempre più nessuno
pur nella impossibilità
di essere soli. (Il sesto angelo, Mondadori, pag. 77)
Giuseppe Iuliano è poeta vero, solo, come ogni poeta è “solo sul cuore della terra” ed ha vestito per noi, con i versi di questa raccolta, la sera che giunge rapida di un rosso di Speranza, cristiana e laica, verso contro verso, per un luogo di memorie da non dimenticare.
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