Concorso Insanamente 2011
Caterina Camporesi, Angelo Chiaretti, Ardea Montebelli, Guido Passini,
Claudio Roncarati e Anna Maria Tamburini per la sezione Poesia –
Sara Alighieri, Alex Celli, Laura Bonalumi, Francesco Gaggi,
Leonardo Innocenti e Leonardo Montecchi per la sezione Racconto –
Leonardo Innocenti e Leonardo Montecchi per la sezione Racconto –
in collaborazione con
sono lieti di premiare con la pubblicazione i seguenti autori
Classifica sez. A – Poesia
per la Classifica sez. B – Racconto v. narrabilando
I. Manicomio di Ginevra di Stefano Sansoni (Piglio, FR)
Orma Rash è il nome d'arte di Stefano Sansoni, poeta e curatore di eventi d'arte. Ha partecipato a vari concorsi letterari e d'arte. Nel 2004 si è classificato quarto al premio “La poesia oggi” di Carmelo Coppolino Billè a Milazzo. Nel 2008 ha pubblicato nella collana “La stanza del poeta” di Giuseppe Napolitano, la raccolta Piccole luci di smog. Sono appena uscite per la casa editrice virtuale Il basilisco le raccolte In ferro e Tra cespugli, coriandoli di festa abbandonati (alcuni cimiteri). I suoi disegni sono esposti presso prestigiose sedi societarie.
Giudizi
Una silloge ben costruita che in un qualche modo mi riporta nello stile della Beat Generation, quella di Allen Ginsberg, seppure con linguaggio più morbido e tematiche meno marcate, ma al tempo stesso riporta il ritmo veloce, contorto in alcuni punti. Nitide e piacevoli le figure retoriche utilizzate, soprattutto per la ricerca nel distinguersi dai soliti schemi. (Guido Passini)
La sua opera rimanda a Sanguineti che definì la poesia della Neoavanguardia come mimesi critica di una realtà schizoide. Domina un vissuto di straniamento ed alienazione espresso con una poetica rigorosa. La voluta mancanza di prospettiva spaziale genera nel lettore il vissuto che siamo tutti dentro al Manicomio di Ginevra e/o che non esiste un dentro ed un fuori. L'architettura classica e le figure rinascimentali vengono nominate suscitando nostalgia per un mondo orinato e perduto in cui l’ uomo si collocava al centro. (Claudio Roncarati)
I testi della raccolta, che provengono dalle voci di alcune stanze del Manicomio di Ginevra, convincono il lettore per la fluidità del verso, per l'ironia interrogativa e spiazzante nonché la coerenza stilistica. (Caterina Camporesi)
Con un linguaggio appropriato e puntuale, l'autore affronta il tema del dolore senza perdere di vista leggerezza e profondità. È un viaggio dell'anima dove ogni cosa viene minuziosamente chiamata per nome per esaltare uno stretto legame con la quotidianità. (Ardea Montebelli)
Se per la metrica la stanza rappresenta una misura della canzone, queste stanze di Manicomio di Ginevra già nel titolo dei componimenti esprimono evidentemente un’ironia amara che si accompagna a paradigmatici rovesciamenti – «Qui lo nego. Qui lo dico», «sento che prima d’ora non ci sarà più blu», «la notte della compagnia» – , al tempo stesso arrivano a compiacersi del libero fluire di immagini e pensieri sino a sospendere il periodo, a sovvertire la sintassi: «chi salta sul giorno più / chi mangia nel frigo / chi è contento è basta». (Anna Maria Tamburini)
Manicomio di Ginevra – Stanza 13
Parliamo in modo strano
e chi parla in modo strano
è perché non sai se la
tua lingua è giusta perché
se per un momento questo
foglio di carta riciclata
e prodotta in proprio
potesse arrivare in
Micronesia le tue piccole
idee sulla lingua che
si muove mediante ostacoli
fonici non ben definiti
potrebbero assecondare
e determinare la tesi
dell’entropia sulle frasi
non direttamente capite!
Manicomio di Ginevra – Stanza 14
Qui lo nego. Qui lo dico.
Me ne frego. Solo con te.
Che rima c’è? Hai la voce?
E ti piace? Suona meglio?
Dai forfait? Verso di me
si fa presto a dire casa
con un trasloco sulle
spalle due passi a San
Lorenzo tu che mi passi
la crema sulle spalle
e diventa una roccia
questo scarabocchio
di versi e
di censi su
spoglie di
antichi guerrieri romani.
Manicomio di Ginevra – Stanza 14
Questa è la strada per Ginevra
mancano circa ottocento
scarabocchi, una tela 50 x
70, una bionda per amico,
4 peluche di Batman, una
foto a colori di Tony Renis,
una bottiglia di acqua Fiuggi
qualche libro sul Surrealismo
una partita a ramino, due
colonne di cemento armato,
le facce di quelli che
saranno famosi,una teca
dove dentro hanno messo
il primo uomo sulla luna
impagliato e questi
sassolini nelle scarpe…
II. Render l’intera nostra vita folle (DSM IV) di Ivan Pozzoni (Monza)
Ivan Pozzoni è nato a Monza nel 1976; si è laureato in diritto con una tesi sul filosofo ferrarese Mario Calderoni. Ha diffuso molti articoli dedicati a filosofi italiani dell’Ottocento e del Novecento, e diversi contributi su etica e teoria del diritto del mondo antico; collabora con numerose riviste italiane e internazionali. Tra 2007 e 2010 sono uscite varie sue raccolte di versi: Underground e Riserva Indiana, con A&B Editrice, Versi Introversi, Androgini, Mostri e Galata morente con Liminamentis, Lame da rasoi, con Joker; tra 2009 e 2010 ha curato, con Liminamentis, le antologie poetiche Retroguardie, Demokratika, Tutti tranne te!, e la raccolta interattiva Triumvirati. È direttore culturale della Liminamentis Editore; dirige L’arrivista (Quaderni democratici). In un’azienda della D.O. è logistico.
Giudizi
Una silloge che lascia senz’altro un segno marcato nel lettore. Il riportare sotto forma di poesia delle storie reali sotto un aspetto che spesso viene tralasciato dona un valore aggiunto. Lo stile e le immagini attraggono nonostante l’impatto a volte duro. Una buona prova per un tema senz’altro poliedrico. (Guido Passini)
Interessante e generosa operazione di contaminazione reciproca tra poesia e psichiatria, che permette di dilatare i rigidi confini della nosografia psichiatrica portando il soggettivo in ciò che vuole essere oggettivo e viceversa. Solo non convince la sovrapposizione tra anarchia bombarola, spirito bukowskiano e sofferenza mentale. Molti pazienti psichiatrici chiedono solo una tranquilla normalità. (Claudio Roncarati)
L’andamento narrattivo dei testi si caratterizza per l’agilità del verso, arricchito da accostamenti imprevisti e convincenti. Il filo conduttore è il dolore che si esprime nelle tante forme, comprese quelle ambivalenti, spesso incomprensibili e incomunicabili ad un mondo non attento. (Caterina Camporesi)
Le anafore ribadiscono la profondità di una sofferenza che non è solo dell’autore – «c’è un dolore sottile nella mia anima / nell’anima di tutti» –, le elencazioni accostano liberamente immagini di assoluta diversità ma accomunate dalla medesima ferita. Allo stesso modo, le patologie – dieci componimenti per dieci diversi tipi di disturbo – : «Il destino di noi tutti, rottweiler, / è d’essere ammansiti o addormentati, / dopo una vita alla catena dei miti / sociali… ». (Anna Maria Tamburini)
NELLA MIA ANIMA
[DISTURBO DISTIMICO]
C'è un dolore sottile nella mia anima
nell'anima di tutti
c'è un dolore sottile che si insinua strisciante,
come un vicolo irretito dalla notte,
nella mia anima, nella tana dell'orso,
nel nido del corvo, nella borsa dell'idraulico,
nell'indifferenza del ricco, nelle corone di fiori
lasciate a marcire nelle celle degli obitori.
C'è un dolore sottile, nella mia anima,
malinconico, insofferente ai sorrisi, alle carezze,
compagno di vita, compagno di strada
compagno di sbronze,
nelle corse sui monti, nelle immersioni nei mari,
nelle escursioni tra nuvole e chicchi di grandine.
C'è un dolore sottile, nella mia anima,
costante, irriverente, simile al vostro:
centinaia di dolori sottili, insistenti,
cambieranno un mondo retto da pareti
di chiodi, e stuzzicadenti.
MOSTRI
[DISTURBO BIPOLARE I]
Quando i mostri, zitti zitti, s'avvicinano,
rubandomi i comandi, stralciando i miei sorrisi
c'è vuoto, oblio di mille mondi,
sulla mia schiena, nella mia mente,
da non riuscire a alzarmi,
nell'ansia di difendermi da ogni delusione,
da non riuscire a alzare scudi di cartone.
Quando i mostri, zitti zitti, s'avvicinano,
attentando a desideri, ammazzando nuvole,
c'è dolore intenso, senza sensi, senza senso
dove sono cuore e stomaco,
nell'apatia d'un insidioso blocco neurale,
nella certezza di non adottare bimbi,
che non ci saranno altri mici,
credendo di annegare mille lacrime,
senza riuscire a piangere,
senza riuscire a navigare.
Quando i mostri, zitti zitti,
s'avvicinano, arrestando i venti,
molestando salici,
vicino a me non c'è nessuno,
cercando di mandar dentro aria,
e fuori sogni d'una testa vuota,
di scuotermi con violenza,
sguardo fisso alle pareti, male ai muscoli del collo,
boccheggio devastato, come i resti della cena
nel buio d'uno scarico intasato.
Quando i mostri se ne vanno, io resto,
mostro d'intensità minore senza manie d'arresto,
narciso caduto in una brocca di fango
in corsa su binari umidi nelle urla d'un dittongo,
a terrorizzare i tuoi mostri, tragici schiavi di moralità cablate,
mettendo aceto, e sale, nell'olio delle tue insalate.
STRESS
[DISTURBO ACUTO DA STRESS]
Se ancora mi ami, non mi disturba;
ma, ormai mi sono rotolato,
anni ed anni, nella torba.
Fallimento, totale, insano,
col sacro terrore che un asso
resti, invano, di mano in mano,
nelle mie mani in stato comatoso,
nelle mie dita schiacciate - chiacchiero e scherzo!-
tra i vetri aridi d'un vecchio sottovaso.
Lo so di non riuscir
da solo, a darmi una mano,
senza stritolarmi,
nell'universo tragico,
sporco di sangue, lacrime e vomito,
dottrina medica Dsm IV
chiamano delirio ciclotimico.
Antonella Catini Lucente vive e lavora a Roma. Fa parte del gruppo di artisti coordinati da GAD art factory, tra cui: Gerry Turano, Claudio Luongo, Flavio Renzetti e con essi partecipa ad eventi di arte integrata. Sue poesie sono andate in onda su Zapping, Rai radio 1. Ha vinto, ed è stata selezionata, in numerosi premi letterari e concorsi. Partecipa a reading, eventi letterari, artistici e laboratori di poesia e sue poesie sono presenti in antologie, riviste letterarie e E-Book, tra cui: Il segreto delle fragole 2010, Lieto colle editore; Poesie per un anno 2010, Giulio Perrone editore; «La Recherche», rivista letteraria on line. Ha partecipato, per la parte Poesia, alla preview di Castiglion della Pescaia nell’ambito del progetto di arti integrate Primal Energy curato da Alessandra Barberini. Ha pubblicato con Giulio Perrone editore Perle nere (ottobre 2010), finalista del Premio Logos 2010. È di prossima pubblicazione la raccolta Tra sogno e veglia, vincitrice del concorso Pubblica con noi 2010 Fara Editore, corredata da disegni del maestro Gerry Turano.
Giudizi
Il testo naviga “a vista” nelle nebbie dell’imperscrutabile e conduce il lettore a costruire un sistema di pensiero il cui dato prevalente e’ la confidenza inconfessabile tutta incentrata sull’amore (Angelo Chiaretti)
Il neologismo Glossessione sintetizza efficacemente il senso di una ricerca sulla lingua e sulla parola che prende avvio con una citazione messianica da Andrej Belyi sulla parusia, la seconda venuta del Verbo, ma già nella parola umana riconosce epifanie che immettono all’origine del sogno e della visione. I componimenti, dedicati al canto e alle Muse, attingono al mito con ricchezza di immagini e sapienza compositiva e lessicale, salvaguardando al tempo stesso una certa levità di pensiero. (Anna Maria Tamburini)
Orfeo e Euridice
Si solleva lentamente
da latitudini sospese oltre,
molto oltre la notte
il vento dell’irrilevanza
(sento vago il suo richiamo)
Fosche trasparenze gonfiano il tifone
zolfo rarefatto
dietro cui si sbriciola
la pergamena disseccata
(aspiro intero il suo odore)
Dilaga e inonda l’aria
una luce acida di scirocco
che soffoca e asfissia il sudario della Voce
(la cerco nel magma del suo delirio)
Il gesso è divenuto
stigma di un’eco
ferma sul cuore del Lemma
incollata sulla punta della lingua
(faccio scempio della mia lira addormentata)
Brandelli di parole turbinano
tra i contorni effimeri delle cose
i margini fallaci delle differenze
le false distinzioni, le effimere chimere
le irrilevanze, tutte le irrilevanze
(fiori appassiti depongo sulla tomba del Verbo)
Chiudo gli occhi dentro la mia tenebra
dove intravedo, risorta dagli inferi, la Voce
Clio
Con venefico mosto
a colature di lava
avvelenasti di violacee scorie
il velluto dei miei occhi
E vivida furia
ammantata con pelle di viole
vorticasti, voluttuosa
le venature del mio sangue
Grappoli di passione
germogliarono tra i cigli umidi
e grondarono ubriachi
tra i solchi arati del mio viso
Laghi immobili di porpora
i miei occhi
furono specchio smosso da residui sospiri
ansiti turgidi sulle membra liquide
Poi, all’improvviso
scorrendo nelle vene
tinsero di tenue viola tutto il mio sangue i fiori
e Tu fosti gemma
e Tu fosti mosto
Ed io, all’improvviso
Ti trangugiai
mio Vino caldo, mio Diluvio, mio Delirio
Melpomene
All’improvviso
la Fortezza ha occhi, all’improvviso
e muri, e rostri e torri
Da inconsistenza estrema
inaudito immateriale, all’improvviso
è volto e riso e sguardo
Creta, ex-sistita dall’effimero
creatura a sé creatrice
da soffio a grido, da sogno a rocca, da fiato a carne
Improvvida materia,
provvidenziale oltre
da spasimo a possesso, da anelito a dominio, da sogno a struggimento
All’improvviso, sorprendendoci
è affiorato il Caravanserraglio
bucando il vago della nebbia
da effimero a tangibile, da caos a voce, da fango a creta
Da confusione gravida, non pensabile corpo
all’improvviso
è membra di ponti, pinnacoli e pareti
Argilla pre-esistita, plasmata da se stessa
da tormento a estasi, da brama a quiete, da bruma a pioggia, da brina a neve
da spasimo a possesso, da anelito a dominio, da sogno a struggimento
IV. Atterraggi di fortuna di Teresa Armenti (Castelsaraceno, PZ)
Teresa Armenti, di anni 57, ha lavorato nella Scuola dal 1969. È in pensione dal 2004. Si interessa di poesia, di storia e di tradizioni popolari, fa parte di giurie di premi letterari e ne ha vinti diversi. Pubblicazioni: Quotidianamente, Porfidio, Moliterno (Pz), 1993; La danza di attimi vaganti, Gabrieli, Roma, 1996, 2001; Da Castelsaraceno, terra di magia lucana, 1994; Mio padre racconta il Novecento, Ed. G.C. F. Guarini, Solofra (AV) 2006.
Giudizio
Con la leggerezza e l’ironia di Palazzeschi descrive una condizione di disabilità. Le sue poesie sono una lezione di vita e di danza. Insegna “la danza della vita” a tanti normodotati che nella vita si muovono con impaccio e pesantezza. (Claudio Roncarati)
Il ballo a tre gambe
Parapapapà – Parapapapà –
Piripipippò Piripipippò
Arriva lemme lemme
il mio papà,
in punta di tacco
col carico sfiorante.
In casa mia
si balla a tre gambe.
Lui con il bastone
e io con la stampella.
Lui davanti
e io dietro.
Uno dondola a destra
e l’altro a sinistra.
Segue un tonfo
leggero
e poi uno più cupo.
Niente paura:
è il tango con la spaccata.
Si toccano i mattoni
che gongolano di felicità.
È un ballo speciale
che si fa a tutte le ore,
ma solo di giorno.
La notte c’è il riposo.
Alle terapie
Passi striscianti
Martellar di bastoni
Strider di ruote.
Il ronzio assordante dei macchinari
L’avviso finale cadenzato
Il titip-tatap gocciolante della magneto.
Il silenzio pesante dei pazienti
Sguardi vaganti nel vuoto.
La flemmatica stanchezza del terapista.
Il suon delle trombette
e il cucù finale
rompono la monotonia
e portano una nota di allegria.
Atterraggi di fortuna
Ogni tanto tocco terra.
Quando batto la testa,
vedo le stelle
e tutto il mondo mi gira attorno.
Quando vado a faccia in giù,
bacio la terra,
che mi fa respirar la sua freschezza.
Se, per caso, abbraccio il pavimento,
una coltre bianca subito mi accoglie
e mi fa tremare di vergogna.
Se mi sbilancio in avanti,
le mie mani sono tese a trovar l’appoggio,
ma l’aiuto costa caro e porta i tendini allo sfascio.
Quando casco a sediolina,
il mio coccige fa un tonfo
e prende botte a tutto tondo.
Posso anche dondolare lungo le scale,
piroettando
appesa alla ringhiera.
Se scivolo di lato
vedo tutto di traverso
e la mia protesi incomincia a far capricci.
Sui cubetti della piazza
accenno a passi di danza
per centrare in pieno le gambe di un passante.
Un bernoccolo in testa.
Un dolorino a destra.
Un graffietto a sinistra.
Un livido sul ginocchio
E una seghettata al polso.
Anche io, a modo mio,
partecipo alla danza della vita,
guardata a vista dal mio caro angioletto,
che mi afferra a volo nelle mille acrobazie.
Professore Associato di Anatomia Patologica presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Catania. 160 pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali di patologia, prevalentemente nel campo della diagnosticata cito-istopatologica dei tumori della mammella, tiroide, tessuti molli, del colon-retto e dell’età pediatrica.
Esperienze letterarie: Il mare metafisico di Punta Corvo (romanzo, Manni Editore 2005); Fontana delle ore (silloge poesia, AB editrice 2001); Non sbagliò il vento (silloge poesia, Libroitaliano 2002); Impermanenza (silloge poesia, Edizioni Il Giornale di Scicli 2005). È pubblicato in tre antologie della casa editrice LietoColle (2009-2010), in sei antologie della casa editrice Giulio Perrone (2009-2010). Il verso cancellato (silloge poesia, BelAmi edizioni 2010). Il glomerulo di sale (silloge poesia, Fara Editore 2010); Le lumache mediocri (silloge poesia, LietoColle 2010).
Giudizio
La composizione si caratterizza per una forte capacità di sintetizzare le emozioni provate, riuscendo anche a costruire orizzonti filosofico-esistenziali. (Angelo Chiaretti)
Entropia
Ogni male sa di sale
e la cura d’insonnia è un manuale
una parola che trabocca nuda
e urla al tiro degli argani
i pesci tirati sono intelligenze
nell’avanzo distratto che saluta
con aria di festa
i prioni del nulla
sorpresi a rifare il trucco
ad un punto che m’arrota insanamente
opera prima incompiuta
d’entropia irrisolta con la mia mente.
Difetto
Il foglio bianco è la tua donna nuda
ti sta davanti e trema, chiede il tuo perdono
per farne chiodi immensi a cui appendere
metà d’ombra del tuo peccato
mentre l’orca sorniona
cerca il resto delle parole
dentro le mie scarpe ignoranti.
Il verso che ho scritto è sete
sulla tua carne bianca
e da allora non so pensare ad altro.
Oggi io sono l’avventurato
batterio del tempo
che gratta il bordo d’ignoto,
un esterno elegante di cellula
che ha smesso di cercarsi e di farsi cercare.
Teorie
E se un lungo letto di formiche nere
mi portasse – senza testimoni – verso la tana?
Nessuno pagherebbe il mio riscatto!
Lo so. È un sogno metafisico – direbbero i più colti –.
E se il mio cranio fosse recapitato
al capo dei psichiatri, quello che scrive e cataloga
minuziosamente follie e loro varianti?
Non ci sono formiche che posson fare cose simili.
Cercare altrove!
Qualcuno, la testa dell’illustrissimo dottore, trovò
una settimana dopo, sul pavimento del suo studio
vicino al cestino dei rifiuti speciali.
Gli esseri cambiano! Le teorie poco o niente.
E gli eventi continuano ad essere misteriosi, pur nella scienza.
Autori segnalati
Piero Saguatti (Bologna) scrive sulla rivista “Parole” curata dal Laboratorio dell’omonimo Circolo ove hanno insegnato autorevoli poeti come Lauretano e Rondoni. Ha pubblicato un articolo sul quotidiano «La Voce di Romagna». Antologie: Briciole di senso (Montedit), Laboratorio di parole (Pendragon). È incluso nell’Antologia-Censimento dei poeti bolognesi (ed. Giraldi 2006). Menzione di merito al concorso “L’acqua” (ed. Farnedi). Finalista al premio “Gens Vibia” di Marciano. Nel 2007 ha avuto l’onore del commento M. Cucchi a una sua poesia in “Scuola di poesia” su LA STAMPA. Segnalato al concorso “Iris” di Firenze nel 2006, nel 2007 “Agape” (VE) e ”Il Trebbo”; nel 2008 al concorso dedicato a Pantani ed. Farnedi. Nel 2009 si qualifica per le finali in occasione del Premio “La Panchina” (BO) esteso ai “parolieri”. Nel 2010 Premio “creatività” al 2° conc. “Idea Donna” e 3° classificato a “il Cono d’ombra” (VC). Nel 2011 Primo posto nel concorso “La Lettera Matta” indetto dalla redazione Culture Sommerse con la silloge: Senso, consenso e dissenso.
Giudizio
L'autore si confronta con una realtà scomoda ed ingombrante fatta di contraddizioni e ambigui tradimenti. Nonostante ciò c’è nella poesia un desiderio di riscatto per uscire dalla mediocrità. (Ardea Montebelli)
TRISTEZZA AMARA
Come sa essere triste la vita
alle volte
se ne assapora il gusto
amaro
come quello della fogna
maleodorante e infetta
quando capita
se capita
di ritrovare una sorgente
in cui lenire lo sconforto
e l’acqua sporca
si confonde
a quella che traspare
meglio tuffarsi dentro
in tutta fretta
per depurare la salute
così anche a me è successo
di bagnarmi
nell’occhio puro della fonte
poi di starmene sdraiato
ancora un poco
a sospirare
sotto l’ombra paterna
i una quercia
che ne ha già viste tante
inclusa la folgore del fulmine
che squarcia
il silenzio misterioso delle piante.
OGGI
Oggi, è uno di quei giorni col vaglia in tasca da pagare
e la frenesia demonio che impossessa
poche le luci accese intorno a queste ombre
da scavalcare a piedi nudi uniti dalla fretta
uno di quei giorni allucinanti che impongono attenzione
e tanti caffè da ingurgitare per non cedere di schianto
sotto l’umore traditore travestito da gazzella
scadenze e commissioni
angoli acuti e tegole pregresse
lasciate sopra ai tetti ad aspettare
tra gli sbuffi vaporosi dei camini
nella speranza che il vento possa metterci una pezza
e invece è proprio uno di quei giorni in cui il maestrale
non spazza via neanche l’ansia dalle dita
o la saliva sputata fuori apposta
poi rimasta appiccicata sulla barba a svergognare
un giorno da cui nemmeno Achille ne uscirebbe indenne
verrebbe appeso a un gancio anch’egli, dal tallone
a boccheggiare come un pesce lesso in acqua pazza…
ne esca almeno un prezzo congruo alle singole cotenne
poi domani magari leccherò le mie ferite
se mai qualcosa venisse fatto salvo e sopravvive
in un angolo di cuore o nelle aiuole, dopo la tempesta.
CUPO DERAGLIARE
Neanche un piccolo accenno ancora
al sordo deragliare della mia vita sghemba
fedele al proprio affanno naturale
se viaggia distante il mondo intero
e qui sul mio convoglio
non sale mai nessuno ad ascoltare
lo stridore sinistro di ogni sbaglio.
Scaglia la pioggia lacrime sul fondo
ricamando i balconi di ruggine invadente
e di cupo malumore di stagione, sulla pelle
nascosta dentro all’alveo cresce
ogni piccola paura corrosiva
priva di sostanza e del pigmento
per lo stillicidio riservato del tormento.
Marco Fabbri (Pavullo nel Frignano) è nato in provincia di Modena, nel 1958. Cresciuto tra campi di grano, vigne di lambrusco, mucche e parmigiano reggiano; sbalzato tra motori, acciaio e officine; dirigente industriale e cuoco biologico a km zero nel proprio agriturismo. Da anni appassionato di spiritualità, psicologia del profondo, ricerca interiore, lambrusco e verità.
Giudizio
Una piccola oasi di ingenuità a volte può riuscire più gradita di tanto lirismo: emozioni tattili, visive e gustative restituiscono al lettore il piacere di riconoscersi nel verso. (Angelo Chiaretti)
Canto
Viene dalle mie viscere profonde
Questo canto
Viene dal buio nel sole
Canto per sentirti mio dio
Canto per averti
Canto per liberarti dal mio cuore
Canto da dove ogni cosa si perde nel vuoto
Canto e sono
E tu sei
***
Siedo
piano
s’incrociano canti e silenzi
senza mescolarsi
s’incrociano luci e ombre
ed ognuna sostiene l’altra
scema il ritmo dei pensieri
fino ad una pozza d’acqua
che riflette il mio volto e il cielo
***
Nera è la mia casa
È una sfera di profondo velluto nero
Nera come l’occhio di dio
E così morbida e dolce
Come miele nel buio
Oscurità che non conosce limite
E sintesi di luce
Cado senza fine
Cado
Finché non posso far altro che abbandonarmi
Marco Mastromauro (Novara) è nato a Verbania il 12 luglio 1957. Vive a Novara, lavora a Vercelli. Ha pubblicato poesie sulla rivista «Alla Bottega» e, dal 1995, ha collaborato al trimestrale di cultura e arte «Contro Corrente». Alcune sue poesie sono state pubblicate, in quattro occasioni, nella rubrica curata da Maurizio Cucchi sulla rivista «Specchio», settimanale allegato, fino a quattro anni fa, al quotidiano LA STAMPA di Torino. Sue liriche sono presenti in alcune antologie. È autore delle raccolte di poesie: 1992, Anime confinate, Milano Libri; 1995, Cuba, Ibiskos; 1997, Memorie da un pianeta, Contro Corrente; 2000, Eros, Trinidad e altre poesie, Oppure; 2010, Poesie erotiche, Aletti.
Giudizio
La sofferenza trasfigura il presente costringendo l'autore a continui rimandi e sovrapponendo finzione e realtà come via d'uscita. (Ardea Montebelli)
Battibeccando
Battibeccando si avvicinano le comari del dubbio,
si rincorrono tra epiteti irripetibili sonore esclamazioni
ingiurie e allusioni…
E tu, mansueto, taci, osservi, registri con scrittura
minuta e non ti compiaci.
Nessuna che (tra quelle più avvenenti),
senza parole, meno astuta suggerisca una cura
ti mostri i suoi favori, ti dia della premura.
Nessuna? Così, sospirando, ti affliggi ancora un poco,
lasci matita e taccuino, t'incammini tra filari di pioppi
ti fai rapire dai vortici dei semi piumosi,
sulla sponda del torrente… Ché (sul volto un sorrisino)
la solitudine non temi.
Che ne dici
Che ne dici, sembra che tutto sia a posto,
la penna in mano, i fogli nell'ordine consueto.
Ti senti al sicuro, almeno oggi,
le parole s'addensano non solo interiori
in questo diradarsi del coraggio
che pare aver distrutto gli arrovelli
senza dartene preavviso lasciandoti in esilio
là dove eri partito.
Da oggi puoi inoltrarti, lo speri,
salendo appena un po' con indolenza
appoggiato al corrimano come fanno quelli
che altri, noncuranti, caricano d'incombenze,
affrontare i disastri e pazientemente
appropriarti di predisposizioni non tue.
Sembra una fortuna
che proprio oggi nulla sia sovvertito,
che l'imperfezione tolga il suo veto
e più non ti canzoni.
Due sorelle
Due sorelle, in piedi, sul bordo della piscina
indossano minuscoli costumi
uno rosso l'altro celeste
pronte al tuffo e, poi,
a scivolare nell'acqua regolando
il ritmo con il respiro…
Fuori, dietro le enormi vetrate,
il fragore d'inutili tempeste,
grovigli di voci maledette:
beate, sulla carta, queste frasi sconnesse
che le due ragazze hanno suscitato
come fossero il sospiro d'un lettore
assonnato, un silenzio più solo,
una distanza che non basta.
Carla De Angelis (Roma) ha pubblicato i primi versi nel 1962. È Cavaliere al merito della Repubblica Italiana dal 1995. Sue poesie sono presenti in diverse antologie edite da Aletti, da Perrone e da Estroverso. Con Fara ha pubblicato la raccolta di poesie Salutami il mare, il libro dialogato con Stefano Martello Diversità apparenti (i due libri sono stati vincitori e finalisti in vari premi) e, sempre con Martello, a curato il libro di testimonianze Il resto (parziale) della storia. Sue sillogi sono inserite nelle antologie Il silenzio della poesia (2007) e in Poeti profeti? (2008). Altri suoi versi sono stati recentemente pubblicati in Demokratica (Limina Mentis, 2010). Fa parte della redazione di Kolibris, casa editrice di Chiara De Luca. Nel 2010 ha pubblicato la raccolta A dieci minuti da Urano (Fara).
Giudizio
Dolore annidato e trattenuto che tenta di non dilagare in tutta la sua vastità e profondità. Entra in soccorso la parola poetica che permette di porgere la propria storia in forme accettabili e condivisibili. (Caterina Camporesi)
Questa notte lascio una ciotola
alla finestra
acqua e petali di rosa,
domani colpirà la distanza
delle gocce profumate
dalla pianta incauta
carica di spine,
cammino per tenere i piedi a terra
recido un braccio poi l’altro
senza chiedere la profondità del taglio
gli occhi devono tacere, la bocca
non innalzare lamenti
il corpo in un recinto
nel profumo senza nome
***
Rapino parole
per giustificare, la collera
scava un solco nell’anima
chi si gira a guardare
chi fa gomito al vicino
il venditore finge e
prende il cellulare
ogni gesto una nuova morte
il pensiero corre
in cerca di un lampo nel temporale.
Le stagioni passano
immutato resta il tempo
sempre le mani tra i capelli
sempre quel sorriso che arriva
chissà dove ti porta
guardo te senza sapere,
impotente, piango
piange anche dio
***
Mai terrore più grande si prova
Quando lo specchio rimanda parole stonate
Imprimono un segno, non è dio
nessun miracolo oggi
nessun cavaliere all’orizzonte
Il galoppo che senti è l’odio
che profuma di selvaggio Impudente ti rifletti
***
Volevo abitare luoghi soffici
non vedere una mano indifferente
stringere il cellulare
una testa ciondolare nella carrozzina e
riso sguaiato
Riporta a quel contratto
mentre lo specchio offre la certezza
vado a curiosare nel tempo
con un clic svuoto il cestino
affido il miracolo alla scrittura
Scrivo una “o”
tonda e grande
confino il dolore nel cerchio
“aprire al prossimo sorriso”
Scrivo una “e” come una culla
mi adagio in silenzio per
incidere i desideri nel corpo
sussurrare le lettere che non scrivo
Riccardo Raimondo nasce a Siracusa nel 1987. Vive, studia e lavora fra Catania e Parigi. Collabora con diverse riviste e webzine nell'ambio della critica d'arte e letteraria. Suoi testi e recensioni alla sue opere sono apparse in numerosi portali, riviste e antologie di respiro nazionale. La sua prima raccolta di versi è Lo Sfasciacarrozze (A&B 2009). Ha collaborato a progetti d'arte visiva con la fotografa Jessica Hauf nel 2009. Lavora soprattutto con il teatro e porta in scena i suoi versi con soluzioni sempre inedite, cercando un continuo dialogo anche fra arti di tradizioni diversissime (la musica acustica ed elettronica, la video arte, i fumetti, le sculture animate, le marionette), sperimentando sempre nuove strategie della creazione. Attualmente collabora con diversi artisti. Con il chitarrista Ludovico Pipitò, la thereminista attrice e cantante Marina La Placa, la compagnia teatrale GestiColando, con Rosaria Coco (make-up artist e fotografa di scena), e la marionettista Elena Cantarella (del laboratorio Cartura) porta in scena Il Potere dei giocattoli, "nello spazio di mezzo fra mondo e giocattolo", un show di teatropoesia. info: riccardoraimondo.com
Giudizio
Una silloge frenetica, con un linguaggio “alternativo” che però cattura l’attenzione. L’ultima poesia di questa silloge è quella che mi ha toccato maggiormente, per quanto risulta spontanea, per quanto traspare il sentimento per una chiusa secondo me perfetta. (Guido Passini)
Giudizio
L'autore si confronta con una realtà scomoda ed ingombrante fatta di contraddizioni e ambigui tradimenti. Nonostante ciò c’è nella poesia un desiderio di riscatto per uscire dalla mediocrità. (Ardea Montebelli)
TRISTEZZA AMARA
Come sa essere triste la vita
alle volte
se ne assapora il gusto
amaro
come quello della fogna
maleodorante e infetta
quando capita
se capita
di ritrovare una sorgente
in cui lenire lo sconforto
e l’acqua sporca
si confonde
a quella che traspare
meglio tuffarsi dentro
in tutta fretta
per depurare la salute
così anche a me è successo
di bagnarmi
nell’occhio puro della fonte
poi di starmene sdraiato
ancora un poco
a sospirare
sotto l’ombra paterna
i una quercia
che ne ha già viste tante
inclusa la folgore del fulmine
che squarcia
il silenzio misterioso delle piante.
OGGI
Oggi, è uno di quei giorni col vaglia in tasca da pagare
e la frenesia demonio che impossessa
poche le luci accese intorno a queste ombre
da scavalcare a piedi nudi uniti dalla fretta
uno di quei giorni allucinanti che impongono attenzione
e tanti caffè da ingurgitare per non cedere di schianto
sotto l’umore traditore travestito da gazzella
scadenze e commissioni
angoli acuti e tegole pregresse
lasciate sopra ai tetti ad aspettare
tra gli sbuffi vaporosi dei camini
nella speranza che il vento possa metterci una pezza
e invece è proprio uno di quei giorni in cui il maestrale
non spazza via neanche l’ansia dalle dita
o la saliva sputata fuori apposta
poi rimasta appiccicata sulla barba a svergognare
un giorno da cui nemmeno Achille ne uscirebbe indenne
verrebbe appeso a un gancio anch’egli, dal tallone
a boccheggiare come un pesce lesso in acqua pazza…
ne esca almeno un prezzo congruo alle singole cotenne
poi domani magari leccherò le mie ferite
se mai qualcosa venisse fatto salvo e sopravvive
in un angolo di cuore o nelle aiuole, dopo la tempesta.
CUPO DERAGLIARE
Neanche un piccolo accenno ancora
al sordo deragliare della mia vita sghemba
fedele al proprio affanno naturale
se viaggia distante il mondo intero
e qui sul mio convoglio
non sale mai nessuno ad ascoltare
lo stridore sinistro di ogni sbaglio.
Scaglia la pioggia lacrime sul fondo
ricamando i balconi di ruggine invadente
e di cupo malumore di stagione, sulla pelle
nascosta dentro all’alveo cresce
ogni piccola paura corrosiva
priva di sostanza e del pigmento
per lo stillicidio riservato del tormento.
Marco Fabbri (Pavullo nel Frignano) è nato in provincia di Modena, nel 1958. Cresciuto tra campi di grano, vigne di lambrusco, mucche e parmigiano reggiano; sbalzato tra motori, acciaio e officine; dirigente industriale e cuoco biologico a km zero nel proprio agriturismo. Da anni appassionato di spiritualità, psicologia del profondo, ricerca interiore, lambrusco e verità.
Giudizio
Una piccola oasi di ingenuità a volte può riuscire più gradita di tanto lirismo: emozioni tattili, visive e gustative restituiscono al lettore il piacere di riconoscersi nel verso. (Angelo Chiaretti)
Canto
Viene dalle mie viscere profonde
Questo canto
Viene dal buio nel sole
Canto per sentirti mio dio
Canto per averti
Canto per liberarti dal mio cuore
Canto da dove ogni cosa si perde nel vuoto
Canto e sono
E tu sei
***
Siedo
piano
s’incrociano canti e silenzi
senza mescolarsi
s’incrociano luci e ombre
ed ognuna sostiene l’altra
scema il ritmo dei pensieri
fino ad una pozza d’acqua
che riflette il mio volto e il cielo
***
Nera è la mia casa
È una sfera di profondo velluto nero
Nera come l’occhio di dio
E così morbida e dolce
Come miele nel buio
Oscurità che non conosce limite
E sintesi di luce
Cado senza fine
Cado
Finché non posso far altro che abbandonarmi
Marco Mastromauro (Novara) è nato a Verbania il 12 luglio 1957. Vive a Novara, lavora a Vercelli. Ha pubblicato poesie sulla rivista «Alla Bottega» e, dal 1995, ha collaborato al trimestrale di cultura e arte «Contro Corrente». Alcune sue poesie sono state pubblicate, in quattro occasioni, nella rubrica curata da Maurizio Cucchi sulla rivista «Specchio», settimanale allegato, fino a quattro anni fa, al quotidiano LA STAMPA di Torino. Sue liriche sono presenti in alcune antologie. È autore delle raccolte di poesie: 1992, Anime confinate, Milano Libri; 1995, Cuba, Ibiskos; 1997, Memorie da un pianeta, Contro Corrente; 2000, Eros, Trinidad e altre poesie, Oppure; 2010, Poesie erotiche, Aletti.
Giudizio
La sofferenza trasfigura il presente costringendo l'autore a continui rimandi e sovrapponendo finzione e realtà come via d'uscita. (Ardea Montebelli)
Battibeccando
Battibeccando si avvicinano le comari del dubbio,
si rincorrono tra epiteti irripetibili sonore esclamazioni
ingiurie e allusioni…
E tu, mansueto, taci, osservi, registri con scrittura
minuta e non ti compiaci.
Nessuna che (tra quelle più avvenenti),
senza parole, meno astuta suggerisca una cura
ti mostri i suoi favori, ti dia della premura.
Nessuna? Così, sospirando, ti affliggi ancora un poco,
lasci matita e taccuino, t'incammini tra filari di pioppi
ti fai rapire dai vortici dei semi piumosi,
sulla sponda del torrente… Ché (sul volto un sorrisino)
la solitudine non temi.
Che ne dici
Che ne dici, sembra che tutto sia a posto,
la penna in mano, i fogli nell'ordine consueto.
Ti senti al sicuro, almeno oggi,
le parole s'addensano non solo interiori
in questo diradarsi del coraggio
che pare aver distrutto gli arrovelli
senza dartene preavviso lasciandoti in esilio
là dove eri partito.
Da oggi puoi inoltrarti, lo speri,
salendo appena un po' con indolenza
appoggiato al corrimano come fanno quelli
che altri, noncuranti, caricano d'incombenze,
affrontare i disastri e pazientemente
appropriarti di predisposizioni non tue.
Sembra una fortuna
che proprio oggi nulla sia sovvertito,
che l'imperfezione tolga il suo veto
e più non ti canzoni.
Due sorelle
Due sorelle, in piedi, sul bordo della piscina
indossano minuscoli costumi
uno rosso l'altro celeste
pronte al tuffo e, poi,
a scivolare nell'acqua regolando
il ritmo con il respiro…
Fuori, dietro le enormi vetrate,
il fragore d'inutili tempeste,
grovigli di voci maledette:
beate, sulla carta, queste frasi sconnesse
che le due ragazze hanno suscitato
come fossero il sospiro d'un lettore
assonnato, un silenzio più solo,
una distanza che non basta.
Carla De Angelis (Roma) ha pubblicato i primi versi nel 1962. È Cavaliere al merito della Repubblica Italiana dal 1995. Sue poesie sono presenti in diverse antologie edite da Aletti, da Perrone e da Estroverso. Con Fara ha pubblicato la raccolta di poesie Salutami il mare, il libro dialogato con Stefano Martello Diversità apparenti (i due libri sono stati vincitori e finalisti in vari premi) e, sempre con Martello, a curato il libro di testimonianze Il resto (parziale) della storia. Sue sillogi sono inserite nelle antologie Il silenzio della poesia (2007) e in Poeti profeti? (2008). Altri suoi versi sono stati recentemente pubblicati in Demokratica (Limina Mentis, 2010). Fa parte della redazione di Kolibris, casa editrice di Chiara De Luca. Nel 2010 ha pubblicato la raccolta A dieci minuti da Urano (Fara).
Giudizio
Dolore annidato e trattenuto che tenta di non dilagare in tutta la sua vastità e profondità. Entra in soccorso la parola poetica che permette di porgere la propria storia in forme accettabili e condivisibili. (Caterina Camporesi)
Questa notte lascio una ciotola
alla finestra
acqua e petali di rosa,
domani colpirà la distanza
delle gocce profumate
dalla pianta incauta
carica di spine,
cammino per tenere i piedi a terra
recido un braccio poi l’altro
senza chiedere la profondità del taglio
gli occhi devono tacere, la bocca
non innalzare lamenti
il corpo in un recinto
nel profumo senza nome
***
Rapino parole
per giustificare, la collera
scava un solco nell’anima
chi si gira a guardare
chi fa gomito al vicino
il venditore finge e
prende il cellulare
ogni gesto una nuova morte
il pensiero corre
in cerca di un lampo nel temporale.
Le stagioni passano
immutato resta il tempo
sempre le mani tra i capelli
sempre quel sorriso che arriva
chissà dove ti porta
guardo te senza sapere,
impotente, piango
piange anche dio
***
Mai terrore più grande si prova
Quando lo specchio rimanda parole stonate
Imprimono un segno, non è dio
nessun miracolo oggi
nessun cavaliere all’orizzonte
Il galoppo che senti è l’odio
che profuma di selvaggio Impudente ti rifletti
***
Volevo abitare luoghi soffici
non vedere una mano indifferente
stringere il cellulare
una testa ciondolare nella carrozzina e
riso sguaiato
Riporta a quel contratto
mentre lo specchio offre la certezza
vado a curiosare nel tempo
con un clic svuoto il cestino
affido il miracolo alla scrittura
Scrivo una “o”
tonda e grande
confino il dolore nel cerchio
“aprire al prossimo sorriso”
Scrivo una “e” come una culla
mi adagio in silenzio per
incidere i desideri nel corpo
sussurrare le lettere che non scrivo
Riccardo Raimondo nasce a Siracusa nel 1987. Vive, studia e lavora fra Catania e Parigi. Collabora con diverse riviste e webzine nell'ambio della critica d'arte e letteraria. Suoi testi e recensioni alla sue opere sono apparse in numerosi portali, riviste e antologie di respiro nazionale. La sua prima raccolta di versi è Lo Sfasciacarrozze (A&B 2009). Ha collaborato a progetti d'arte visiva con la fotografa Jessica Hauf nel 2009. Lavora soprattutto con il teatro e porta in scena i suoi versi con soluzioni sempre inedite, cercando un continuo dialogo anche fra arti di tradizioni diversissime (la musica acustica ed elettronica, la video arte, i fumetti, le sculture animate, le marionette), sperimentando sempre nuove strategie della creazione. Attualmente collabora con diversi artisti. Con il chitarrista Ludovico Pipitò, la thereminista attrice e cantante Marina La Placa, la compagnia teatrale GestiColando, con Rosaria Coco (make-up artist e fotografa di scena), e la marionettista Elena Cantarella (del laboratorio Cartura) porta in scena Il Potere dei giocattoli, "nello spazio di mezzo fra mondo e giocattolo", un show di teatropoesia. info: riccardoraimondo.com
Giudizio
Una silloge frenetica, con un linguaggio “alternativo” che però cattura l’attenzione. L’ultima poesia di questa silloge è quella che mi ha toccato maggiormente, per quanto risulta spontanea, per quanto traspare il sentimento per una chiusa secondo me perfetta. (Guido Passini)
Ogni cosa osserva, distingui e valuta, l'intelletto dall'alto eleggendo per guida adeguata
(Pitagora, I Versi d'Oro)
(Pitagora, I Versi d'Oro)
Il Potere dei giocattoli
Questo giocattolo rotto non so
se son io o è solo un però,
una virgola storta nel cosmo,
il punto esclamativo
sgorbio
dell'io!
Non so chi comanda tra noi,
a volte due, a volte moltimolti
coi pulsanti emozionali bottoni luminosi,
coi galattici pensieri interstellari,
colle gioie roteanti, o le noiecolle
che t'invischiano il cuore,
le molle paure, l'archibugiarìe del rancore,
l'organico flusso di paranoie,
i lubrificanti sudori.
La mente poi, geroglifico meccanico,
spesso
mi mente, si guasta,
malemalissimo salta e stramazza,
s'insozza nel fango barocco dell'ego,
nell'abitudine del canone, nel ripiego della cattedra:
il bambino ferito la sa lunga
sulle ragioni dell'Accademia.
La mente poi non sa niente,
niente!
delle geometrie dell'anima,
delle magiche fisiologie del cuore,
niente sul marchingegno dell'odore,
sulle orologierie del Senso,
sugli ordigni del piacere e dello spavento.
Niente sa sui congegni metaforici dei forse,
sulle bombe carta dei perché,
sui kamikaze del sentimento.
La mente salta storta e stramazza,
gallina pazza e zoppa
cova
pensieri, batuffoli di Luna.
E questa marionetta senza fortuna,
questa cosa viva,
che importa che pensi
che creda
che scriva?
Finirà a rottamare
dallo sfasciacarrozze.
Qualcuno forse potrà riesumare
qualche pezzo di ricambio:
un tergicristallo di malinconia,
una frenesia di marmitte,
un'analogia di specchietti,
un'antenna metafisica in pegno
da passare sottovoce a un altro pupo
che verrà per dare il cambio.
Sono discesa all'inferno / da dove riguardo stupita / le mura di Gerico antica
(Alda Merini, La Terra Santa)
Nuvole
Attimi regolari,
visioni costanti, poi
cadono, evadono nell'ebbrezza
d'altri attimi
incoscienti, irreali,
lenti: vertigini sospese.
Stai lì sulla soglia
del nulla
e vorresti aggrapparti almeno
a un pezzo di cielo.
Sei lì senza il terreno
sotto le scarpe, senza
il senso, la distanza.
Giacere su una nuvola,
mentre evapora la vita
vicinissimamente in lontananza.
visioni costanti, poi
cadono, evadono nell'ebbrezza
d'altri attimi
incoscienti, irreali,
lenti: vertigini sospese.
Stai lì sulla soglia
del nulla
e vorresti aggrapparti almeno
a un pezzo di cielo.
Sei lì senza il terreno
sotto le scarpe, senza
il senso, la distanza.
Giacere su una nuvola,
mentre evapora la vita
vicinissimamente in lontananza.
Caro amico
Caro amico,
mi manca la corte di sorrisi,
l'assenza di preoccupazioni
che ci cullava.
Ti ricordo fra i banchi di scuola -
come un'altra dimensione
dovequando crescevamo.
E crescemmo
con la fretta d'essere grandi...
ammiravamo quelli che altro non avevano
che l'essere grandi.
Ho raccolto molti sorrisi
sulla strada del ritorno, ma
il tuo che tanto mi è mancato
no.
Ci hanno diviso...
la stessa fretta d'essere grandi,
la malattia del risultato,
la mondanità spietata,
le cose che non ti ho detto
(che non mi hai detto...)
e forse non ci diremo mai,
i guai dell'amore
e l'arrembaggio di mille desideri.
Caro amico, ti ho sognato
e un abbraccio fraterno
mi ha riempito il petto d'una pace eterna.
Ci ha diviso questo tempo
e le sue manie di superamento,
le mode del momento,
il calcio, ci hanno diviso
le fidanzate pornografiche,
le sfide epichemiserrime di gloria,
le Moire maledette,
la Storia.
Ci hanno diviso,
gli amicinemici che abbiamo incontrato
(questi straccioni del sentimento!),
i parvenues dei soldifacili,
i soldatini del cemento,
i sacerdoti della milanodabere,
gli agilissimi idioti dell'onore.
Caro amico,
io vorrei parlarti ma
cos'altro potrei dire dopo tanto naufragare?
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