Sul derma si scrive anche la pelle dell’aria e la ferita può respirare, riconciliata con l’assenza, anzi la resilienza, direbbe Luca Artioli in consonanza di esistenza e durata,
cercando un alfabeto al dire ed all’essere: “Un incontro di pelle quando è vana la speranza”.
Dai pori dei gesti sublimati questi versi trovano respiro del sentimento.
Una geografia di richiami.
Il respiro vuole affermare l’indefinizione.
L’habitat naturale delle parole silenziose della poesia.
I richiami sono luoghi d’afferri tra viaggi e memoria.
Leggendo suture, si avverte una attrazione sempre maggiore di una forza spirituale temprata con levità da Artioli, il quale chiama a sé le sue esperienze per una ulteriorità “per non dire, non essere”.
In effetti i significanti spesso nel testo poetico sono voci ancora irrelate, ponti fonematici di sillabari dispersi come già sperimentava Ezra Pound connettendo disparate assonanze.
Luca Artioli pensa che questa lingua gli rimanga sulla pelle.
La sfuggenza si trasforma in superficie comunicante, le “suture” rigenerano
con leggerezza: L’Angelofania ( p. 81) scivola verso la luce.
Il vuoto annuncia e consente.
Queste poesie sono intense e leggere e sono fatte di mani e di gesti in grado di ben cogliere l’ineffabilità anche dell’evento minimo dello sfioro corporeo.
“Una parola di corpi riuniti” e qui il poeta, giustamente a mio parere, si arresta, poiché la bellezza della poesia torna sempre anticipatamente ad un inizio sorridente.
Il resto è artificio: meglio dunque cercare “le maracas da tenere sottopelle”. Vibrare.
Essere pronti all’eros che dice sempre “ancora” e con suture sudate ricuce il mondo.
Aprile 2011
1 commento:
Grazie Alberto!
Per la lettura. E per le parole.
Luca.
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