Antonietta Gnerre
Nel sensibile gioco poetico di Antonietta Gnerre sono racchiusi il germogliare, il fiorire e il fruttificare della vita intera, registrati e descritti col dono di una sapienza «naturale» che intende ammorbidire e diminuire (e forse, in definitiva, trascendere e cancellare) l’incombenza di una peculiare «identità» del poeta. Perciò chi scrive si pone in ascolto, e non giudica, né vuole applicare il senso di una prospettiva individuale: e ogni avvenimento, allora, tutto immerso in questo dolce lasciare agire (è il Wu Wei del pensiero taoista), così denso di acuta letizia, appare oggettivamente pieno di stupore e di bellezza, perché la parola che cerca di registrarne e rappresentarne la visione si allontana dalla centralizzazione di qualsiasi arrogante posizione personale e accede alla contemplazione diretta della luce vitale col sostegno di uno sguardo universale e puro. Tale è lo spirito della poesia di Antonietta Gnerre: essa è tenera adempienza di una chiamata superiore, è proiezione di un’altra (e alta) voce che guida il senso e la direzione di ogni minimo evento; e appunto chi affronta la scrittura non fa che accogliere - senza alcuna interferenza - l’epifania della realtà assoluta, per ritrasmetterla, poi, e per diffonderla ad altre voci in ascolto; dunque, il verso attende solo un segnale; cioè l’aprirsi di un varco, l’accensione di un inizio: ed è allora che «qualcuno» porta «la vita da annunciare sulla pagina». La poetessa si dichiara, così, docile figlia della sua terra. E da quella stessa terra impara ogni immagine ogni suono ogni colore. La stessa poesia si configura come un avvento miracoloso e incontrastabile, che spinge il poeta a un’ubbidienza strenua, perché, come osserva Walter Otto, «la divinità suprema, l’essenza di ogni essere, si erge davanti al poeta ed esige il suo canto, il suo pensiero,anzi la sua intiera esistenza». Poesia è, in sostanza, amore che unisce e supera gli opposti, come ci suggerisce ancora Walter Otto: «la perfezione della forma e la grandezza del contenuto sono iscritte nella santità della vocazione poetica che fa del canto il mediatore tra Dio e uomo, e ne fa, quindi, una cosa sola». Ed è appunto un bellissimo canto, risplendente di una sua ricca, silenziosa innocenza, questo lieve e luminoso testo poetico di Antonietta Gnerre, tratto dalla raccolta inedita Vertigine.
a mio padre Eligio
Ciò che io scrivo
è parallelo al suolo che mi ospita.
Le parole le aspetto quando
canta un uccello nel cortile;
mi allargo con la mente e occupo il suo posto
tra le code delle lucertole che si attraggono.
Un albero - da lontano - parla alle sue foglie,
che non fanno rumore.
Qualcuno porta la mia vita da annunciare sulla pagina.
Ed io non so più chi accompagnare tra gli alberi che maturano.
Antonietta Gnerre è nata ad Avellino e vive a Prata Principato Ultra. Laureata in Scienze Religiose, è una studiosa della Teopoesia. Ha pubblicato le sillogi poetiche: Il Silenzio della Luna (1994); Anime di Foglie (1996); Fiori di Vetro- Restauri di Solitudine (2007); Salici di Seta- Il viaggio del Silenzio nei Poeti irpini (ne Il Silenzio della Poesia, 2008); Preghiere di una Poetessa (ne Lo Spirito della Poesia, 2008); Ultimo sogno- Pianeta Terra (2009); PigmenTi (2010); Come un Albero di Gòfer, Strada Statale Ofantina Bis (in Salvezza e impegno, 2010) e il saggio Meditazione poetica e Teologica in Mario Luzi (2008). Collabora alla rivista «Gradiva» e a vari blog lettearri, tra i quali Farapoesia, lucaniart.wordpress.com e AbruzzoCultura. È redattrice del settimanale Cattolico della Diocesi di Avellino «il Ponte» e responsabile della pagine Cultura, Arte e Spettacoli. Dal 2007 è Presidente del Premio Prata. Ha curato le rassegne: Conversando (il mercoledì letterario a Montemiletto), Calici di Parole (Pratola Serra), Itinerari Culturali (A volte, ieri, domani) per l’associazione Agorà di Pratola Serra.
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