lunedì 10 gennaio 2011

Su Sto consumando l'ultima casa di Franca Fabbri

recensione di Nicoletta Verzicco


Ciò che rimane

Desidero iniziare a dipanare i miei pensieri su Sto consumando l’ultima casa con la chiusa di Non ho nessuno con la quale la poetessa esprime magnificamente il concetto di ciò che rimane: “Mi è rimasta ancora una fotografia. / Uno scatto a vuoto. / Sono io: / ormai, un’ombra...”

Ciò che rimane sfida la Morte e non è la sfida di un impudente, ma il vissuto stesso a sollecitarLa in un confronto; la vita calda, profumata, intensa si palesa provocando la Signora che strappa i cuori di chi è giunto alla fine del proprio cammino. Quei cuori però, hanno pervaso con il loro caldo e intenso pulsare le mani di chi li abbracciati, accarezzati, amati e ostinatamente continuano a vivere.

È il senso dell’accettazione della Morte, il non vivere in funzione di essa o nella sua attesa che ne determina di conseguenza il rispetto e Franca Fabbri ne è cosciente palesando nella sua poesia, in contrapposizione all’Inseguitrice, la luminosità acciecante della vita: “Ogni giorno / recito le prove / della mia morte, / ma il gran finale / è sempre / della vita”.

Leggendo questa sua creazione ci si sofferma a pensare, si sorride, ci si rattrista, in una commistione di sentimenti così veri che è impossibile non sentirli nostri.

La Morte legge queste righe, accanto a noi si sofferma e le parole della poetessa possono, in alcuni momenti, farla apparire quasi come nostra ‘amica’, rendendoci consapevoli che ci accompagna dal primo vagito.

Ci appare chiaro, nel susseguirsi delle pagine, che c’è morte in ogni cosa, in ogni sentimento, in ogni azione, in ogni tipo di vita e proprio di questo noi spesso ci dimentichiamo, scordandone le ‘sensazioni’ più disparate: “il silenzio, / dopo la neve, / immobile, / come la morte.”

Si manifestano i ricordi, in maniera preponderante, con le immagini della mente, con le fotografie, nei profumi che li hanno intrisi e nelle tinte che li hanno colorati.

Nonostante la memoria si difenda dalle morti con pervicacia alimentata dall’amore per la vita, in alcuni momenti il dolore è costretto a ripulire la pellicola invecchiata che lo ricopre ravvivandone l’intensità: “...mi stupiscono, / ad ogni primavera, / i fiori ritornati a sbocciare.”

Nonostante la Morte sia primadonna nell’opera, essa non è vincente, suo malgrado non lo è, ciò che rimane vince su lei.

Chissà se “consumando l’ultima casa” si riesca a trovare la traccia del senso della vita di ognuno di noi per accettare a testa alta la Morte, sia essa un’ ‘Illusione’, una ‘Constatazione’ o una ‘Delusione’.

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