recensione di Angela Passarello, apparsa su Il Monte Analogo n. 12, novembre 2010
perdita d’identità dell’oggetto. Per Braque la nostra anima vuole un oggetto che la interessi
come suo complemento. Nel volumetto Objects di Alberto Mori ci viene offerta una rappresentazione metalinguistica dell’oggetto. Riammesso attraverso la lingua nello spazio
della memoria o sospeso in una dimensione a-temporale.
Heidegger citando un verso di Stefan George afferma: “la cosa senza la parola non esisterebbe”. Nella raccolta di Mori l’oggetto si fa cosa attraverso il segno impresso dalla
scrittura: ”Nell’afocus simmetrico / la controfigura resta scontornata / Al primo episodio della autobiografia / entra in rapporto amichevole con la mano destra / Falange subito
incenerita dalla scrittura” (pag. 27).
L’oggetto di Mori, benché scontornato e privato dalla forma, diventa cosa, acquista peso, dignità. Modificato, assume ruoli diversi nella geometria della lingua. Scarnificato, dissacra
il mito e se ne appropria. Mori ci rende consapevoli di nuovi miti, quasi divinità, che
presenziano con leggerezza ossessiva la nostra quotidianità: “Il Termopersefone / riscalda la dea seduta accanto / a contemplare il seme di melograno sulla rivista d’arredi / Esso possiede il calore interattivo del mito / applicabile durante fasi mitologiche idolatriche / Autoinstallante nei salotti a buona temperatura etica” (pag. 45).
Gli oggetti apparentemente di piccole dimensioni assolutizzano lo spazio metapsichico
dell’uomo contemporaneo: “L’incontro quotidiano / posa sul tavolo / piattino e bicchiere… /
Nell’atto visibile /coniuga silenzi alterni” (pag. 32). ”Il proprietario affittuario / propone agli sposi / camera con ametista / sul comodino nuziale” (pag. 40). Gli “Objects” contestualizzati nei confini dello spazio della lingua, aderiscono a nuovi e potenziali signficati dettati dai diversi sensori percettivi. Privati dalle proprie caratteristiche hanno smarrito l’originalità, il senso per cui sono stati brevettati: ”Il brevetto è un piccolo pupazzo / nato da una formula magica / dilungabile soltanto con un timer / durante le trattative commerciali” (pag. 21). ”La cassa acustica è strumento dedicato / alla sola audiorisonanza del denaro / Dopo la melodia della euro esecuzione / porge resto silenzioso” (pag. 19). “il palindromo / letto da entrambe le parti dei bastoni / rimane infisso nello specchio… /” (pag. 38).
In questa operazione linguistica Mori ripercorre strade poetiche e artistiche già esperite.
Non a caso l’esergo della raccolta riporta i versi di Francis Ponge, che su mote-chose
ha molto indagato. Sulle orme del maestro francese, gli Objects di Alberto Mori trovano
spessore nella denominazione semantica che con humor soggettivizza le piccole cose:
“il raccendino emana fuoco dal basso / Il pollice preme in alto… / (pag. 17). Nel sottile
gioco linguistico il significante vibra tra i versi della raccolta e ci induce a riflettere sulle
identità dei corpi o oggetti della parola, sul significato di nuovi segnali acustico-tattili-visivi
funzionali al sistema delle “Cose”.
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