Fara editore, 2010 , € 13,00
Recensione di Narda Fattori
L’ossimoro che dà il titolo all’opera lo ritroviamo come verso di una poesia che dice del volo stupefacente del silenzio; è già stupefacente pensare al silenzio che vola; lì nell’aria immobile danza con suo corteo di voci e di incontri di cuori e di anime, di eventi e di storie.
Il silenzio ha con sé il mistero, correlato spesso alla paura, per chi non sa ascoltarlo, apprezzarlo come condizione di stasi delle urgenze dell’io per un incontro ravvicinato con i moti profondi della persona. “Scrivo quando il mistero / mi detta le parole” afferma la poetessa e intesse reti di significazione dentro e, contemporaneamente, fuori e perlomeno al di sopra, dello spaziotempo.
La poesia raffinata di Gladys pare quasi disancorata da una realtà brutale e brutalizzante; essa invece vive introiettando ogni sofferenza in una galassia che risplende di pienezza; non mancano, certamente, in questa pienezza i dolori e i malori, ma stanno all’interno di una consapevolezza padroneggiata e non subita: “… / mi addormento e sogno con il silenzio musicale / insieme a me respira sempre e illumina la mia casa / la mia fedele compagna Poesia / con cui contemplo estasiata / l’immensità del mio paesaggio e che sempre / da ogni dolore riesce a innalzarmi.”
Quale più esplicita dichiarazione di poetica esistenziale e di significanza data alla poesia?
La solitudine, che tanto spaventa, sfuma nella lontananza e si affacciano visioni di grande suggestione che portano anche a sentire la trascendenza dentro di sé e ogni orrore “diventa pagliaccio / che ti fa ridere” perché “ se viaggi per la vita / in un meriggio eterno / la tua ombra è fusa con il corpo.”
Ma la poetessa non è chiusa in una torre eburnea che la protegge da ogni assalto degli umani bisogni: nelle sue chiarità si affacciano le meraviglie dell’amore “la mia sete di tenerezza” e “totali con delirio vivere / tutte le possibilità dell’incontro / consapevoli / che arriverà il distacco / …”
Ma la poesia consente di attraversare quasi indenni ogni distacco, ogni dolore, di attraversare la notte con la certezza che si è abitati da un daimon salvifico, la poesia, che ha in sé la tenerezza necessaria per sfuggire all’oscurità che vorrebbe occupare l’animo; il rimpianto non può insediarsi stabilmente, né viene edulcorato, si estenua nella tenerezza, nell’assenza del malanimo: “farai che conosca la donna che ami / e perché ti ama bacerò la sua anima”. Credo che questa toccante dichiarazione sia dedicata ad un figlio, ma non importa, non è il referente che ha importanza, è l’amore in sé “patto d’amore inestinguibile”.
Possono sembrare versi misticheggianti, ma non lo sono, appartengono alle muse, ad una visione di totale pienezza e fusione con la parte che in noi è luce, vibrazione calma che si accorda con tutte le vibrazioni positive e benevoli che percorrono la terra e che pochi sanno cogliere. L’opera è corposa, suddivisa in sezioni, che non hanno altra ragione d’essere che il referente, perché il tono non muta, il dettato si dipana nel discorso intimo che si vuole instaurare con il lettore, per questo è semplice, privo di ricercatezze retoriche e lessicali, profondo e lieve. Lievi sono anche le liriche, tutte piuttosto brevi, giocate su una musica appena accennata che denunciano la piena padronanza dei dettami poetici e di una voce pienamente conquistata.
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