giovedì 2 dicembre 2010

Su Quattro giovin/astri a cura di Chiara De Luca


recensione di Vincenzo D'Alessio
Intorno all’editoria minore si scrive poco. I sacrifici economici, che affrontano i piccoli editori, vanno oggi sotto il termine di microeditoria. Il volume Quattro giovin/astri, pubblicato dalle edizioni Kolibris di Bologna, si assume un compito di non poco conto: giovinastri di questi tempi?  Sotto gli occhi del mondo è la vicenda dei giovani studenti dei diversi ordini e gradi di istruzione: la scuola pubblica viene affossata e la scuola privata viene rafforzata.  Quale presente affrontano i nostri giovani “astri” nascenti?
Non sono i “sessantottini”, assolutamente. Sono invece i giovani che tornano a chiedere il giusto ruolo, la giusta nomenclatura nella società contemporanea. Senza sventolare un “futuro” prossimo che non si avvererà. Siamo di fronte alla più cupa delusione di quella forza vitale rappresentata dai giovani. I meno giovani non lasciano, in nessuno modo, il loro ruolo. Anzi si incattiviscono e prolungano ancora di più la loro permanenza nei ruoli sociali. Di questo passo i giovani, già tanto bistrattati e perseguitati, cadranno nelle maglie delle trappole sociali chiamate: droga, mafia, camorra, sfruttamento, traffico umano, prostituzione, e chi più ne ha più ne metta.
L’uscita di questo volume segna un punto in favore della nostra tesi: la casa editrice Kolibris pubblica le poesie dei giovani, scelte dai giovani, che iniziano la strada nuova del Ventunesimo Secolo, voluta dai giovani. Che volete che sia? Un modestissimo contributo che sul mercato potreste acquistare a quindici euro. Invece, no!, è un tizzone ardente che brucia le mani, a chi non sa vivere, le riscalda a chi ha volontà di seguire, partecipare, alla “bella gioventù” che si prepara a vivere. I poeti sono antesignani, filosofi compresi solo quando divengono uomini, artefici dei cambiamenti che, ai meno giovani, sembrano sconvolgimenti delle sudate regole.
   Il primo giovane-astro , incluso in questo libro, è il poeta Francesco Iannone, con la raccolta “Poesie della fame e della sete”. Fame e sete di cosa? I versi ci spiegano i motivi  invocati dal titolo: “Il rullo dello stomaco / gira a vuoto la tua assenza” (pag. 29). Comprendiamo che la fame, indicata dall’Autore, è quella dell’assenza, della solitudine pur vivendo in mezzo a migliaia di persone: “Spiegami tu l’assenza / (…) / È quello strusciare di cappotti nella folla / e poi neppure vederti / che mi asfalta il cuore / mi fa piovere dentro” (pag. 28).
Avvertite l’onomatopea della parola “strusciare”, tipico termine utilizzato dalle generazioni giovani per indicare quello che Giacomo Leopardi scriveva nella sua stupenda poesia Il passero solitario: “(…) Tutta vestita a festa / La gioventù del loco / Lascia le case, e per le vie si spande; / E mira ed è mirata, e in cor s’allegra.”
Il camminare per le strade per far sì che gli sguardi s’incontrino. Che gli occhi parlino il linguaggio dell’anima. Solo chi è adolescente conosce la forza e il tremito che nelle gambe si avverte in questi momenti. Più ancora, nel nostro Iannone, i termini “mi asfalta” e “mi fa piovere”. Le forze interiori divengono un tutt’uno con l’asfalto e con i fenomeni atmosferici. Siamo di fronte alla poesia del nuovo secolo, che si avvale di termini poetici che non troveremo,sovente, nei poeti dello scorso Novecento.
La sete invece è di maggiore spessore: la ritroviamo nel suo “villaggio”,  di fronte al  mare: “(…) Per tutta la vita si rimane / come ai bordi della lingua l’acquolina / e la mamma che già viene / ci sfama e rassicura” (pag. 36). Più forte diviene l’analogia quando la ricerca dell’acqua e della serenità si rifanno ancora una volta alla parte femminile, del poeta, e di ognuno di noi: “(…) mi accuccio nel guscio della sera / come un feto dormo / la promessa di te / il bozzolo chiuso / che spalanca al mattino” (pag. 30). I due volani della ricerca poetica, annunciati nel titolo, si svelano in questi versi. Il mattino, l’alba, la luce tanto cara ai giovani/astri, nel Nostro ricorrono sovente.
C’è la parte “affabulante” della poesia di questa raccolta che mi ha riportato alla mente i bei quadri di Marc Chagall. Una visione costante dei gesti umani uniti all’azione meccanica delle cose che circondano il poeta: “Mi ricordo (…) / sospesa come se / ti volassero via le gambe / e le braccia si snodassero / e cominciasse il corpo una sua danza / che sapeva durare per ore”(pag. 35). C’è il ritorno della poesia meccanicistica, ispirata in modo profondo ai termini oggettivi che l’occhio acuto del poeta raccoglie e trasferisce alla condizione umana: “(…) Fai come ciottolo sulle rotaie / stridi soltanto se batti ferro duramente / e sei il punto esatto di sutura / fra stomaco e clavicole” (pag. 37). Le similitudini nella poesia di Iannone sono molteplici e tutte ben collocate nello svolgimento poetico del racconto esistenziale.
Anche la lezione di Eugenio Montale, della poesia Non chiederci la parola, sembra prendere corpo nella raccolta che stiamo leggendo, quando il Nostro scrive: “(…) Ora io questo soltanto dico: / ciò che svola e non si perde / si raccoglie” (pag. 42). Il resoconto d’immagine, che Francesco Iannone ci consegna nei suoi ispirati  versi, viene raccolto in questa bellissima sequenza: “(…) Si cade, io so, / perché qualcuno ci prenda / ci porti a spalla e ci infili / nel sole la testa / che affetti la luna / ma senza ferirla / dolcemente, ridendo” (pag. 46). Cosa si desidera di più da una voce poetica giovane? L’affido alla generazione che la precede. La necessità di “godere” dell’età felice, che in verità ha le sue luci (il sole) e il suo buio (la luna). Principalmente, però, questa stupenda voce meridionale ci indica la strada che i giovani amano: “senza ferire, dolcemente ridendo.”
Da questa prima voce, analizzata, dalla raccolta Giovin/astri, credo proprio che ci troviamo di fronte a degli astri nascenti in Poesia, non di fronte a poetastri che, a tutti i costi, oggi, desiderano ottenere il titolo.
Mi affido ad una voce critica rilevante, quella di Umberto Fornasari, che ha curato i tratti geopoetici degli Autori contenuti in questa raccolta, per concludere questa prima parte del nostro viaggio: “Quale parola saprà pronunciare una comunità che non conosce più il tempo d’ascoltare, lo stesso che chiede la poesia che è l’impertinenza semantica, il giovane nascente senso, nell’adultità della parola tentata dal semplice consistere seriale?” (pag. 13).

  Montoro                    


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