martedì 28 dicembre 2010

Su Dove allunata? di Sonia Gardini


FaraEditore, Rimini 2006

recensione di Anna Maria Tamburini

Opera prima, nutrita, sapiente, perfettamente limata, e distillato di un pensiero profondo nella riflessione quanto vivace nell’intuizione, Dove allunata? di Sonia Gardini.
Se di ogni libro è utile conservare alcune immagini efficaci, per me vorrei ritenere la “ballerina abbacinata/ dal mattino” (p. 55), i versi franti che congiungono mirabilmente fragilità e perfezione, metafora del poeta e dei suoi passi, e di questo poetare. E, ancora, Si distende l’aquilegia (p. 31) – fiore comunemente chiamato “amor nascosto” – che nel contesto assume caratteristiche di passiflora perché affila / strumenti / di passione:
 
Si distende
l’aquilegia
nella fuga
dei calendari
e affila
strumenti
di passione

Una sola parola, un verso. Ma l’essenzialità dell’estrema sintesi non toglie nulla alla sequenza delle immagini evocate, dietro alle quali, in questo contesto, le pagine rapidamente sfogliate di un calendario d’erboristeria assommano un groviglio di sofferenza mai esacerbata in insistenze o lamento.
Anche l’architettura formale manifesta una sapienza compositiva capace di equilibrio tra i
frammenti di poesia - significati che si donano alla vita nel vissuto quotidiano -, e i maestri di riferimento, al maschile come al femminile, con i quali si apre ogni sezione.
Ciò che affiora è enigma (Affiora l’enigma, p. 18). I ricordi, a giacere tra i sogni. Dichiarato l’amore alla vita - Amo alcove d’alberghi (…), Amo il calore del sole (…) Amo la vita  inespressa / quando respira la sera –, tra i vuoti e i silenzi, la poesia è domanda: Se affonda il divino / che sarà di me? (p. 23).
In una formula, infatti, che forza la sintassi con un marcato neologismo, l’invocazione alla luna di leopardiana memoria vira realisticamente su una domanda che si situa tra il rammarico per la perduta capacità di sognare, che rendeva più lieve la giovinezza, e la consapevolezza che il sogno era in fondo evasione:  Dove allunata / l’evasione mia di fanciulla? ( p. 19). Dove allunata è un verso del capitolo eponimo, il primo dei cinque che compongono il libro, da cui è tratto il titolo della raccolta stessa.
L’epigrafe con le parole di David Maria Turoldo - «È il mio cuore sola cetra / capace di illudermi ancora» -, apre la sezione Attimi, che ha momenti di sospensione nel giro di frasi non sempre compiute, su invocazioni dove il tu è la propria anima:

Tu anima
immota fra l’indaco del cielo
e il trascolorare della terra
nell’attesa illusa
che la felice sorte
ripeta
il suo cammino (p. 47).

Quella domanda - Anima mia senti anche tu un vago segno / d’incontri incompiuti / all’odore pungente dei tigli? (p. 45) -  in Impronte, terzo capitolo, aperto con la poesia della Cvetaeva, compone in canto i tracciati del vissuto con le sue sofferenze e le sue perdite:

Oggi le note profonde
di una cetra
generano per noi
un’altra libertà.

È nato un intreccio
di rinnovato silenzio
madre. ( p. 66 )


Anche a questo serve la poesia, a elaborare il passato e vivere nel presente: Declino le parole / al presente: / il dolore / diventa invisibile (p. 68).

Le immagini di Oriente distendono orizzonti di viaggi intrapresi nell’anelito alla vastità del cielo, alla quale urla il silenzio del deserto nella trafiggente luce; e nello stupore offrono una pausa, una sosta di pace all’anima (p. 85) che accogliendo ogni segno si dispone alla preghiera:  Acquieta – Signore / l’urlo irrompente / di chi ti invoca / con un altro nome. (p. 86).
Nei Conversari introdotti dalla voce di Emily Dickinson, la parola poetica si fa invocazione aperta a quel Tu che si scrive al maiuscolo, che tace, ma alla cui presenza l’esserci del poeta è plurale: Amo le parole – dicono di cose - / il mio essere tanti – il resto / è tutto nelle mie sillabe donate (p. 92).
A fronte del Suo silenzio, persino esasperante in presenza del dolore crescente che la violenza suscita e rinfocola, nella storia, la voce poetica interpella direttamente Dio, che non è lontano, tuttavia, proprio perché costante interlocutore, imprescindibile all’esserci: e non ci sono se anche tu non ci sei (p. 95); e nulla resta di me se non ho la presenza di Te (p. 98).

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