recensione di Vincenzo D'Alessio (precendente qui)
Abbiamo ripreso la lettura dell’antologia Quattro giovin/astri, curata da Chiara De Luca, per le edizioni Kolibris di Bologna. Ci viene incontro, il dialogo poetico, di Anna Ruotolo: un dialogo molesto (Moleskine è una riconosciuta marca di agende per appunti di viaggio) per le orecchie dei contemporanei. Una sana provocazione per il lettore attento alla parsimonia delle “poetesse” che sanno rivelare, senza parole superflue, la ricchezza di un mondo interiore che è poi il mondo di tutti gli adolescenti.
Il dialogo, tra mondo interiore della poetessa, e l’esistenza che scorre nei suoi occhi, non ha solo gli uomini come referenti, ma l’intera creazione a cominciare dal sole che la/ci illumina: “Dopo il tuo lavoro passi sempre qui, / alto, alto sali tra i muri / scendi latte di montagne / rimpicciolisci per raggiungermi” (pag. 53). La callida iunctura permette al sole l’esercizio di un lavoro, si fa corpo e anima, per raggiungere la poetessa nel luogo della scrittura e nei “condotti subliminari”. Questa strofa d’ingresso alla raccolta dialoga con l’astro, distante, chiedendo risposte alle domande che i neofiti dell’esistenza pongono all’anima mundi: “(…) Ebbene, che vedi fuori / prima di entrare?/ (…) Salta il racconto, va’ avanti / - Che due o tre giovani / dalle calze brune hanno / provato a salutare” (pag. 53).
Tutta la raccolta, si anima di energia, di solarità. Hanno forza i versi per penetrare da una poesia, all’apparenza personalistica, a una poetica vermiglia, vera e sincera, che annoda i grani del rosario delle generazioni precedenti: “- Le cose che non ci sono vanno pensate / - Va pensata la vita e la scrittura!” (pag. 59). Sono impegni severi quelli che i versi della Nostra ci propongono: “- La guerra per le intercettazioni / l’incostituzionalità delle parole… / lasciamole a loro” (pag. 58). Ci viene da pensare che la classe cosiddetta dirigente, cioè i politici e tutto il sistema dello Stato, non hanno più alcun dialogo con i giovani, principalmente con le loro esigenze vere: il lavoro, lo studio, la riservatezza della loro esistenza.
Riconosco che un critico non può commuoversi di fronte alla bellezza della poesia, non può travalicare la “frontiera del sentimento” (Piero Bigongiari, Il critico come scrittore), deve suscitare l’imparzialità per far sì che la critica sia accettata e con essa il lavoro che sta costruendo. Ebbene quando ti viene incontro un verso stupendo,che agita le acque che alimentano la sostanza della tua memoria, il critico deve dichiarare che i legami con i versi di Baudelaire, Verlaine, sono forti: “(…)- Che cosa stai guardando adesso? / - La data di quando / ho ordinato il tuo libro / e i soldi messi da parte / per quell’esame di gioia / e di zucchero, / l’azzurra avidità che ci sfinisce” (pag. 57). Oh l’azzurro! Irraggiungibile azzurro dei Poeti, dove si sperde il pensiero e il naufragio diviene dolce. “Gioia e zucchero” di un esame che è poi l’esistenza intera.
La lezione dei giovani è stupenda. Noi, arroccati nel nostro raggiungimento sociale, siamo distanti dal freddo delle strade, dai tetti delle università, dai fumi puzzolenti dei lacrimogeni, dalla violenza feroce dei manganelli. Guardiamo?! Non basta! Lo dico con la consapevolezza che i giovani sono migliori di noi in moltissimi campi: “(…) È la riprova che il corpo è nostro / e se siamo in due si passa meglio / dal sogno all’esistenza, dall’esistenza / al sogno, nella notte” (pag. 56). Dice proprio questo Anna Ruotolo: la comunione tra giovani. Non l’odio e la cattiva competizione come tra gli adulti. Sono trascorsi anni, di un secolo di sangue e di guerre, quando la speranza aveva il volto di Martin Luther King con la sua espressione “Io ho un sogno”; quando Jacques Prévet scriveva: “(…) Bandito! Ladro! Briccone! Furfante! / È la muta della gente benpensante / Che dà la caccia a un adolescente /(…) Arriverai mai al continente al continente?/ Qualche uccello sull’isola si vede volare / E tutto intorno all’isola c’è il mare” (Parole, Guanda, 1989).
La seconda sezione della raccolta, titolata “come avvicino” si compone di strofe cariche di una bellezza da spasimo: “(vieni a cena da me) / il fiume si accende dove ha le mani / (…) La tavola è apparecchiata di fuoco / entra, siedi, aprimi il viso / ti trema negli occhi la luce / lungamente, / come una terra che si avvicina / alla sua acqua /non ha fine” (pag. 81). L’enjambement accentua l’armonia dei versi. La similitudine degli occhi ricolmi di una luce senza tempo, avvicinati al concetto dell’ansia che ha la terra di avvicinarsi alla sua acqua, ad un tempo eterno “senza fine”. Acqua che germina la vita neonatale, purezza dello sguardo umano che invita, chi legge, ad aprire “il viso” dove dimora la vera distanza tra sogno e realtà. La poesia è racconto nei versi della Nostra poetessa?
Starei attento a definire racconto l’ansia struggente di questo diario dialogo di Moleskine. Per chi sa discendere nel “fuoco” preparato sul tavolo dell’invito c’è più dell’invito: “entra, siedi”. C’è l’armonia che ci governa. L’armonia che viene chiamata “leggera gioventù”, ma che in verità dovrebbe albergare sempre in mezzo agli esseri umani. Siamo vicini alla fine di questo primo decennio, inquieto, del Nuovo Secolo (nuovo poi quanto?!). Il crollo dell’egemonia economica ha riproposto, saldamente, la necessità dell’ascolto dei più deboli, dei poveri, delle risorse esauribili del pianeta Terra. La nostra poetessa Ruotolo, con la fiamma meridionale nel cuore, ci lascia dei versi lapidari, immutabili, per dichiararci quanto abbiamo detto fin qui: “questa ha l’aria di essere / quell’ultima poesia dell’anno / lanciata dalla finestra / per rompersi sui muri zuppi, / radiosa nel cadere, una cometa / trafitta dal tuo alito di fumo / che si avvicina e s’allontana / (s’allontana, si avvicina ) / e si dirige al cielo” (pag. 85)
Il cielo è ancora, per ora, di tutti. Dei poeti e dei poveri. Delle multinazionali e dei politici. Ma di comete ce ne sono poche: quando passano fanno tremare tutti i ricchi. Non i Poeti.
Montoro
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