martedì 2 novembre 2010

Su A dieci minuti da Urano di Carla De Angelis

(Fara Editore, 2010; pgg. 106, 12 euro)
Germana Duca Ruggeri


uranoGrandi i meriti etici, civili, letterari della scrittrice romana Carla De Angelis, ma ancora maggiori le connotazioni umane che le derivano dall’esperienza di madre, che tanta parte di vita, anche feriale, inserra ed espone. La sua unica figlia, Roberta, già incontrata fra i versi di Salutami il mare e nel libro Diversità apparenti, scritto in collaborazione con Stefano Martello, in questa nuova raccolta, sottotitolata “poesie di tentata conquista”, appare controluce. Come filigrana posta a risguardo delle circa ottanta liriche che la compongono, sotto gli influssi tempestosi e illuminanti di Urano: “folgori che squarciano il buio, aprono la mente, indicano nuove strade”, scrive Alessandro Ramberti sulla bandella. Un denso ininterrotto fluire di stati dell’animo nei moti del pensiero, e viceversa, mentre il corpus dello scritto e l’animus che lo sottende vanno alla tentata conquista di un cammino, scegliendo come bussola la responsabilità e il rispetto. Valori che l’autrice e il prefatore, Stefano Martello, non mancano di esplicitare nella postfazione, Responsabilità morale e rispetto per il lettore, scritta insieme. Ciò spiega perché l’espressività di Carla trova le sue ragioni, sempre, nella verità; anche quando essa le suggerisce di attutire “i ruggiti del mondo”, o di svelare sofferenza e sdoppiamento: “Scindo il tuo / dal mio dolore”. Quello che viene affermato è come agisse anche su forma e stile della silloge, quasi interamente giocata sul distico e sul verso libero, specchio di una chiarezza, ora pausata, ora dinamizzata da lessico e strutture, scelte con grazia genuina: “Alcuni giorni sono un regalo / dei sogni predati alla notte // sete bevuta senza timori // Un ragno offre il filo / per il salto nel sole”. Eppure basterebbero gli ex-ergo ai margini del libro (da Esiodo a Sarte, Stein…), insieme al lungo praticantato poetico, a dire la sapienza, la giusta dedizione di Carla De Angelis alla parola. Nondimeno è alla sua “ansia”, ai suoi “battiti”, al suo credo  – “Continua a fare doni la vita” –, al suo sogno – “Spargo semi / fantastico un tenero raccolto” – che ci si affeziona, con riconoscenza, attraversando queste pagine. Esse, dallo smarrimento iniziale, per briciole di memoria e presente – alcune armoniche, altre dissonanti – mostrano il dentro, il fuori, l’epilogo di un viaggio comune: “… poi una nuvola è scesa / fino a terra / il Pastore sfinito l’ha raggiunta / per dissetarsi, / seguito da una moltitudine / piena di speranza”. Viaggio comune, certamente, ma parallelo e nel contempo intrecciato col cammino personale sulle acque della scrittura, nei suoi abissi. Da affrontare con uguale speranza, coraggio, fatica, tenacia: “Invece di morire / traghetto parole // fino a farne una culla / per le mie ferite // Innalzo una scala dall’abisso / poso piano il piede sul gradino // la mano forte afferra la salita / Dall’alto continui a tuonare // insidi la pazienza / infine ti arrendi al mio avanzare”. Scrivere poesia, ossia vivere, sembra comporti allora di immergersi nel reale, affidando ai versi l’aspirazione più integra e autentica della propria anima a lievitare, magari nel sonno, nel sogno, come avviene in A dieci minuti da Urano, senza cadere in trappole prevedibili, senza eludere la sfida della sostanza.

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