Sovente un libro di poesie rappresenta la traccia di un itinerario temporale o geografico, o entrambe le cose, nel senso di una progressione di eventi e di stati d’animo che porta l’autore, e quindi anche il lettore, attraverso un mondo che viene mostrato ed espresso nella sua dinamicità, nel suo movimento insomma, da un punto spaziotemporale ad un successivo traguardo, che può essere confine, orizzonte, ma comunque mai meta definitiva, ché il viaggio del poeta è sempre interminabile, è sempre indefinito.
Ma altre volte, il complesso poetico che si sviluppa lungo la silloge, è tutt’altro che un viaggio, inteso nel senso fisico–temporale di cui parlavo prima, bensì una vera e propria “finestra”, uno spaccato che l’autore mostra e riflette, cortocircuitando in un certo senso la propria anima e la propria sensibilità con il mondo esterno. Non una progressione “orizzontale”, ma uno scavo “verticale”, profondissimo, quasi senza fondo, dal quale però il nocciolo duro e compatto del mondo intimo, genuino, intatto, originale, si apre a fiore raggiungendo la superficie. Ed è allora che tutta la poesia erompe come magma da un cratere vulcanico appena creatosi.
È questo il caso di Mario Fresa, che con la sua ultima raccolta poetica, intitolata Alluminio, vuol esprimere il suo quadro interiore e profondo, le sue riflessioni intense e magmatiche, che proprio nel titolo trovano una connotazione quanto mai appropriata: «… Dunque tu accogli questi solenni doni: / pazientemente qui bisogna / rilegarli nella notte dell’ascolto, / nell’alluminio delle superbe luci.» L’alluminio è infatti un metallo duttile e leggero, ma il suo colore scialbo denota un distacco e una freddezza “meccanica” e “superba”, che contrasta con gli impeti e le agitazioni imprevedibili, ma del tutto umane, del cuore e dell’anima. Insomma, la vitalità e la dinamicità di certi flussi di sensazioni e riflessioni profonde del poeta risaltano senza dubbio sul piattume polito ma laconico, freddo e impersonale di una realtà esterna “alluminizzata”. E dice bene Mario Santagostini nell’accurata prefazione al libro di Fresa: «Tutto procede, si muove come in un caleidoscopio: il quadro globale si evolve attraverso giochi di somiglianze, analogie sottili o palesi». In effetti, la poesia di Mario Fresa, in questa raccolta, è in appropriato bilico, o equilibrio, tra un mondo velatamente immaginario e uno stato reale delle cose, come se l’autore sbirciasse attraverso le fessure di un muro o appostato dietro un angolo di mondo. Ma la poesia alta è proprio questa osmosi tra le segrete sensazioni e le ragionevolezze esterne, osmosi lavorata con intelligenza, in cui le parole si liberano e si sganciano dagli stereotipi usuali per assumere valenze oltre il detto, oltre il mero significato intrinseco. E così anche il verso, che in questo modo, appunto come in un caleidoscopio, offre al lettore attento una molteplicità di visioni, di riflessioni e di sensazioni.
È una poesia forte, quella di Mario Fresa, che si basa molto bene su una struttura adeguata, con versi che si connotano spesso nella prosa poetica, con una pacatezza apparente, e nei quali si intravede, nel racconto di sé, un impeto al tentativo di mettere ordine al proprio vulcanico groviglio interiore: «Qui c’era un velo chiaro, proprio in alto, / che ricamava azzurre vanità, nettari nuovi; / c’era la dolce / santità dell’indugio che sapeva circondare / tutta l’aria: e poi le mani / avanti, adesso, per modellare il buio…».
Mario Fresa, Alluminio, LietoColle, 2008. Prefazione di Mario Santagostini.
Giuseppe Vetromile
(da htpp://circoloanastasianoletterario.blogspot.com)
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