venerdì 8 maggio 2009

Su Prima vita di Stefania Crozzoletti

Stefania Crozzoletti - primavita.jpg


recensione di Fabiano Alborghetti pubblicata in alleo.it

Ho in mano Prima vita di Stefania Crozzoletti e sono alla seconda lettura. La prima mi aveva indirizzato direttamente verso la voce di autrici come Patrizia Cavalli, Silvia Monti, Francesca Genti: il disincanto caustico, il sorriso, l’ironia, la leggerezza (che non va confusa con vacuità di senso), la capacità di essere dentro
il mondo col giusto distacco. Con la seconda riesco a far emergere la voce della Crozzoletti, qui alla sua opera prima.

È una osservazione senza rete del sé o degli altri (come ottimamente scrive Francesco Tomada nella prefazione), un lancio nel vuoto quindi, ed è lo stesso Tomada che prosegue: «Certamente si potrebbe accettare di condurre la propria esistenza con quel minimo di serenità che deriva dalla convivenza più o meno forzata con le convenzioni sociali più comuni, o almeno di conservare un po’ di indulgenza verso sé stessi per rendere l’animo appena più appagato, ma non è il compromesso la scelta fatta da Stefania Crozzoletti, nel vivere prima ancora che nello scrivere».
Aderire pienamente a sé stessi e non uniformare, non essere “un tanto al chilo”, immagino ci ponga agli occhi degli altri come ribelli. Pensiamo solo alle mediazioni totali e false che ogni giorno mettiamo in atto nei rapporti d’ufficio. Chi ha il coraggio di essere sé stesso fino in fondo è elemento di disturbo, soprattutto verso sé stesso, verso quei paletti che noi stessi poniamo per la strada e che richiedono davvero uno sforzo maggiore nel percorso. Come abbattere oltre al già esistente percorso impervio, anche i nostri stessi paletti? Con un sorriso. Attenzione: non è un libro umoristico, non è la raccolta di barzellette di un calciatore. Per sorriso intendo la capacità di riuscire a sbaragliare il problema senza l’uso delle armi, senza battaglie immani e rigetti di bile, senza rabbia che danneggia prima di tutto noi stessi, ma con la sola capacità di stare immobile e rendere un sorriso, una colata di ironia simile al cemento: gesto inaspettato, massimo affronto e denigrazione ma soprattutto confidenza totale in sé stessi e -perché no?- anche assoluzione di sé stessi, come lei stessa ammette nella poesia Domopack che qui trascrivo per intero: «Domani rinasco/ il cuore avvolto/ dal domopack/ rinasco con i canini appuntiti e avvelenati// Riemergo/ senza provare rimorso/ per la rumba degli ormoni/ per il malfunzionamento/ dei neuroni// Domani torno/ vestita da tigre/ sputtano l’umanità/ con ruggiti gratuiti// con gli occhi asciutti/ truccati di nero/ la bocca chiusa/ il respiro fermo/ fuori l’aria dal naso/ come un toro incattivito// Domani risorgo/ brandendo una spada/ divento il carnefice/ di eroi insinceri// Oggi rimango/ il solito iroso/ timido guerriero/ che si trafigge/ la gola e le braccia/ nel tentativo/ di colpire l’aspro destino/ degli uomini// »

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