mercoledì 18 febbraio 2009

Su La sede dell'estro di Antonio D'Alessio

Edizioni G.G. Guarini, pp 63, 2009
via Sala 29 - frazione S. Felice
83025 Montoro Inferiore (AV)

(I Proventi di questa raccolta/testimonianza verranno devoluti al Centro Ricerca Tumori di Avellino).

nota critica di Antonietta Gnerre

Non so se Antonio D’Alessio prevedesse, per questa sua raccolta un destino postumo. Certo è che, a leggere i suoi versi ora che non c’è più (Antonio è scomparso per una malattia il 9 settembre 2008 a soli 32 anni a Solofra), certi passaggi acquistano un'importanza che non si può non definire epigrafica. La poesia del Nostro, raggiunge una limpidezza straordinaria, di fronte al sole della vita che tramonta. Per cui, il lettore in quest’opera si ritrova a percorrere il baricentro di un’anima, che si ferma, per permettere alla parola di lasciare ogni pesantezza al fondo del fiume – “Sotto il ponte/ agli argini del fiume/ ti verranno a cercare/ credendoti morto/ ti vogliono togliere / anche l’ultimo respiro/ liberati dalle oppressioni/ fa quel che vuoi/ non farti togliere/ dagli argini del fiume/ quella è la tua casa” – un vento pulsa in questi versi come metafora di un sentimento che scorre – “Nessuno si ferma ad ascoltare/ il vento/ perché i suoi problemi sono/ i problemi dell’uomo”. Questa è una plaquette che ci fa riflettere, sui silenzi e sulle pause della vita, ci fa riflettere sullo spazio autentico e sul punto fermo che è l’amore, con una forma stilistica che somiglia molto alla struttura degli haiku – “Camminando: e riascoltare/ il mio cammino” – oppure – “Da piccolo cercavo calore/ oggi ho capito che il fuoco/ è dentro me”. Un pensiero armonioso e puro riposa spontaneamente sul tessuto della raccolta, con una voce che ci arriva limpida, serena, chiara e levigata. Infatti, le parole diventano il mezzo attraverso il quale i frammenti dei sogni incontrano con l’occhio del disincanto l’opacità dell’esistenza: “… sono in un brutto incubo/ sto cercando/ la porta per fuggire/ alle mie/ illusioni, delusioni, sofferenze”. Questo lavoro è un diario poetico infinito perché resta nel tempo di chi lo legge e di chi lo saprà custodire per sempre sul cuore del tempo perché: “(…) La poesia/ ritorna come l’aurora e il tramonto./ A volte nelle sere una faccia/ ci guarda dal fondo di uno specchio;/ l’arte deve essere come quello specchio/ che ci rivela la nostra propria faccia.”( J.B. Borges, Arte poetica, Il creatore). Per cui, come sottolinea la poetessa Narda Fattori nell’introduzione al testo: “Antonio ci ha lasciati nella carne, ma il suo spirito vive oltre lui, nell’aria, nei ricordi, nell’amore della famiglia, nei versi che, già ordinati e scelti di suo pugno, ha donato alle mani che avrebbero aperto il cassetto” – come echi custoditi nel vinile di una vita ricca di pensieri e di desideri, ma anche di tanta musica e di tanti sogni che, scorrono ancora tra noi: “Scruto, e/ sono in volo/ cerco, e lì/ è andato/ e via, vado” – con una grande dolcezza spirituale, scritta sulle acque di questo mondo. (Scrive il poeta siriano Adonis in un saggio sulla poesia: “… il futuro appartiene alla poesia, è la poesia. Il tempo che vedrà morire la poesia sarà anch’esso un’altra morte. La poesia non ha tempo: è il tempo”).

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