venerdì 19 dicembre 2008

Su Le mie scarpe son sporche di sabbia anche d'inverno

recensione di Carla De Angelis

Leggendo Le mie scarpe son sporche di sabbia anche d’inverno di Stefano Bianchi, sorge spontanea una considerazione: sembra farci strada lungo il percorso della sua vita che appare più lunga della sua giovane età.
È ironico, malinconico: «Quando capita / capita di colpo / è di sabato o a natale / che ci si accorge d’esser soli»; allusivo, tutto quanto basta al lettore per capire che la sua poetica è rappresentazione della realtà. Il suo verso si fa portavoce di una grande sensibilità e coraggio: «sono qui per deluderti tesoro / … / ma non illuderti / con un altro non sarebbe diverso».
Sono gocce d’acqua silenziose che poco a poco penetrano il terreno e lo rendono permeabile solcando la strada che porta il lettore ad amare questi versi d’amore. Perché si tratta di amore quando la voglia di lasciare il rimpianto nell’altro si traduce in questi versi: «Come vorrei averti rubato abbastanza / quella notte / qualcosa che ti potesse mancare adesso / Che non sono più lì».
Ciò che emoziona di più è ammettere che ci va vivere intensamente momenti che abbiamo vissuto senza assaporarne il nucleo: «E anche se fosse solo la morte che ci aspetta / facciamola tutta questa strada! / Passo a passo».
La lettura dei suoi versi riporta a quelle parole semplici, ma essenziali che Antoine de Saint-Exupéry fa dire al Piccolo Principe quando incontra il mercante venditore di pillole che calmano la sete: “Io se avessi cinquantatré mimuti da spendere, camminerei adagio adagio verso una fontana…”




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