recensione di Massimo Spinali pubblicata in www.poeti.it/libri
scheda del libro qui (FaraEditore, 2008, pp. 278, euro 15)
antologia a cura di Alessandro Ramberti | ||
La poesia non tenta di riprendersi le parole. Siano esse quelle distratte di tutti i giorni, scontate della TV o maliziose degli slogan pubblicitari. Non è lì che scava. La poesia incontra qualcosa, mette in risalto un’esperienza. Parlare di poeti che cercano di rimpossessarsi delle parole è, dunque, sminuirne il lavoro. I poeti cercano, rievocano, un’esperienza originaria: e le parole sono i pezzetti di quell’accaduto, la particolare ‘visione’. Dall’Adige all’Isonzo. Poeti a Nord-Est (Fara Editore), antologia che raccoglie voci di quella zona d’Italia, ha come merito non di delimitare una ‘regione’ della poesia, ma di far letteralmente vedere come una terra che i poeti antologizzati vivono e guardano ogni giorno possa essere quell’esperienza di poesia di cui si diceva. Con le loro parole, con i loro corpi. Curata da Alessandro Ramberti, con prefazioni di Chiara De Luca e Massimo Sannelli, presenta versi di dieci poeti (Paolo Campoccia, Roberto Cogo, Alessandra Conte, Erika Crosara, Giovanni Fierro, Fabio Franzin, Stefano Guglielmin, Simone Lago, Francesco Tomada e Giovanni Turra Zan) che hanno o stanno cercando una voce. Portano il segno di quell’esperienza, quindi di un’autentica riuscita, i versi del trevigiano d’adozione Fabio Franzin («Chea spìroea de zhiìghe/ cuzhàdhe là in alt tel fil/ dea corente ‘e par squasi/ segni che forma a paròea/ o ‘a strofa cussì a stròzh/ e par niènt tant zhercàdhe», «Quella riga di passeri/ appollaiati lassù sul filo/ dell’alta tensione sembrano quasi/segni a comporre la parola/ o la melodia così dolorosamente/ e invano cercate). Qui la parola non cerca se stessa, cerca… cerca e basta. E magari incarna. Anche Giovanni Turra Zan, vicentino, convince in più punti («non hai terra cui imporre la prora e perdi, perdi/ ancora e per sempre, indesiderato ammarri,/ nudo di colpa e da questa mai varato). Nell’antologia, come detto, è presente Paolo Campoccia, pure lui veneto d’adozione, vive a Verona, che in una sua lirica, Nebbia, dice: «Poi mi prende mi viene vicina/ nella voce si aprono/ i nomi del sole, dei fiori e dei fiumi». Ecco tre esempi, tre possibilità che la bella antologia ci evidenzia, ci mette davanti. Non parole, ma nomi, esperienza. PAOLO CAMPOCCIA Narciso Le stelle perse di vista le riconosco al tatto, e ascolto come nelle anime lo sprofondarsi dove esiste la luce. Non mi tengo più nella pelle, mi tiene l’accento dell’acqua per mano, cammino verso le anatrelle del lago prendo le ventate per angeli, profili riversi nell’onda, che comprendo ma non vedo. ROBERTO COGO Miriade di maledizione nel luogo neutro il conformismo legittima la prova a ogni passaggio in vita l’esistenza è racchiusa nel termine ristretto del rito che tutto espropria si prova a cambiare lasciando indietro la malaria del consumo la sfida della piazza di vetro quasi deserta resiste al risucchio feroce di un tombino sconnesso che risuona in fantasmi di suole in affanno in nuvole e ruote di auto in corsa il carosello della vasca cede il passo a inerzie di nascondimento i giacigli col buco tutti soffocati dal ritmarsi ossessivo di pietre gravide e segnali mentre muta la stagione con le vetrine in un coriandolo di vento nel percorso che pare traspirare una miriade di maledizione tu mi dici di volere uno scrivere diverso e nuovo, un extra-spazio della mente che si metta in moto anche di non esser più innamorato del mondo, così ti sembra almeno (sarà questione di rapporto col reale di u mondo fittizio avido di godimento? sarà questo fenomeno d’apparenza e movimento conformato? non sarà un po’ poco?) nuove piazze e un bel selciato tutto da consumare camminando in tondo ogni frusciante respiro spinge la creatura contro l’uscio o il portone nell’intralcio di un parcheggio sotto casa chi ancheggia stancamente lungo la salita con le borse piene di spesa e sicurezza. ALESSANDRA CONTE Carte Alla mano con la penna, di femmina, spettava il matto con le altre tre carte, la torre la morte e le stelle, a predire già sapute le cose arcane. Affermativo negativo e giudice si strappavano alla sentenza, a sommarsi increduli agli occhi stanchi. ERIKA CROSARA «che paura disse che ho quando dalle sedie o dagli altari vedo il rimorchio, gli uomini piccoli in spanne con fori di ardimento. fa un monticello di pietà ciascuno, un triangolo visivo inadempiente» GIOVANNI FIERRO (sottofiume) Il silenzio del fiume è sott’acqua la sua corrente è calligrafa costruisce parole le si possono leggere nel segno continuo che il suo scorrere lascia nella terra scavata come ogni storia raccontata si ferma dove trova quiete il mare è l’ultima pagina del suo libro la sua bocca chiusa la sua dissolvenza il suo cielo. FABIO FRANZIN Stradhèe (Stradine,sentieri) ‘ta strissa scura de ‘sfalto (che so èsser stàdha bianca, ‘na volta, e pì strenta), strda che taja drio ‘e case, el paese, che va, dreta, verso ‘a lontana sagoma vioéta dee montagne a bona biava, zàea, alta, fòjie longhe come spade; a zhanca un canp a pustòca, un gat biso in mèdho, el pass lidhèoro dea cacia. De’à al colmo dolzh de l’àrzene, ‘a spiuma verda dee cassie e po’ (no’ la vede, ma sinte ‘a sç santa presenza) l’acqua ciara dea Livenza. … … … (Questa striscia scura d’asfalto/ (che so esser stata di sassi/ un tempo, e più stretta), strada/ che taglia oltre i caseggiati, il paese, che va , dritta, verso la lontana/ ssagoma lilla dei monti// a destra mais, alto e giallastro, foglie/ lunghe come spade; a manca/ un campo incolto, un gatto grigio/ lo attraversa, il passo lieve della caccia. Oltre la curva dolce dell’argine/ il folto verde delle acacie e poi/ (non la scorgo, ma sento la sua sacra/ presenza) l’acqua chiara della Livenza.) STEFANO GUGLIELMIN da Eros/a fresca aulentissima Sei l’amara l’analfabetica mia puella che bene bacia e scorteccina che sbuccia fosca la polpa che lava il ciccio raglio e la sghimbescia; sei la mia geisha ruvidosa, sì baldracchina sei la mia rosa che tutto intorno spina: “Pape Aleppe, papé Aleppe, Ciciàn!” SIMONE LAGO Palcoscenici Quale funzione del sangue ti viene vedendoti nuda allo specchio, quale circolazione del senso attorno alla forma del seno, fin dentro al solco dei fianchi? È quella luce che suona di sera Settembre pigmenta di giallo la pelle e foschia: la credi tu sufficiente a sfumare lo scavo che porti sul petto, il magro trafitto dall’ombra radente? No, non è sangue di madre mancata a svuotarti, o del piacere che viene a picchiarti nel delirio di quando scopando riguardi lo specchio cambiando canale alla tele. Di quinte nere e luci attente sono le illusioni più amare, le vicende più vere. FRANCESCO TOMADA Altrove Siedo sul muro basso di fianco alla via sarà che questa bottiglia di vino è quasi finita ma la salita mi sembra più salita le pietre più dure e proprio adesso vorrei dirti che mi manchi ma poi davanti a te succede sempre che ho dimenticato le parole giuste altrove e rimango in silenzio forse è il solo modo che conosco di farti spazio in tutto questo vuoto che ho dentro per te ho preparato una casa. GIOVANNI TURRA ZAN Opening A conclusione dello scuoiamento immenso strappo fattosi rito si eleva il quadro, si effettua lo spurgo d’ora in avanti non si paga dunque un fisso ma si contratta il tempo, e che sia base la voglia di limpido, d’odore tolto come di città che offra il suo scarto. A conclusione dello scuoiamento si apre la gara delle rivendite pare estorte ad ogni scontro – reso bailamme fino alla serrata del macello. |
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