lunedì 29 dicembre 2008

Su Dall'Adige all'Isonzo. Poeti a Nord-Est

recensione di Massimo Spinali pubblicata in www.poeti.it/libri

scheda del libro qui (FaraEditore, 2008, pp. 278, euro 15)












antologia a cura di Alessandro Ramberti







Dall'Adige all'Isonzo. Poeti a Nord-Est  (FaraEditore, 2008, pp. 278, euro 15)







www.faraeditore.it

La poesia non tenta di riprendersi le parole. Siano esse quelle distratte di tutti i giorni, scontate della TV o maliziose degli slogan pubblicitari. Non è lì che scava. La poesia incontra qualcosa, mette in risalto un’esperienza. Parlare di poeti che cercano di rimpossessarsi delle parole è, dunque, sminuirne il lavoro. I poeti cercano, rievocano, un’esperienza originaria: e le parole sono i pezzetti di quell’accaduto, la particolare ‘visione’. Dall’Adige all’Isonzo. Poeti a Nord-Est (Fara Editore), antologia che raccoglie voci di quella zona d’Italia, ha come merito non di delimitare una ‘regione’ della poesia, ma di far letteralmente vedere come una terra che i poeti antologizzati vivono e guardano ogni giorno possa essere quell’esperienza di poesia di cui si diceva. Con le loro parole, con i loro corpi. Curata da Alessandro Ramberti, con prefazioni di Chiara De Luca e Massimo Sannelli, presenta versi di dieci poeti (Paolo Campoccia, Roberto Cogo, Alessandra Conte, Erika Crosara, Giovanni Fierro, Fabio Franzin, Stefano Guglielmin, Simone Lago, Francesco Tomada e Giovanni Turra Zan) che hanno o stanno cercando una voce. Portano il segno di quell’esperienza, quindi di un’autentica riuscita, i versi del trevigiano d’adozione Fabio Franzin («Chea spìroea de zhiìghe/ cuzhàdhe là in alt tel fil/ dea corente ‘e par squasi/ segni che forma a paròea/ o ‘a strofa cussì a stròzh/ e par niènt tant zhercàdhe», «Quella riga di passeri/ appollaiati lassù sul filo/ dell’alta tensione sembrano quasi/segni a comporre la parola/ o la melodia così dolorosamente/ e invano cercate). Qui la parola non cerca se stessa, cerca… cerca e basta. E magari incarna. Anche Giovanni Turra Zan, vicentino, convince in più punti («non hai terra cui imporre la prora e perdi, perdi/ ancora e per sempre, indesiderato ammarri,/ nudo di colpa e da questa mai varato). Nell’antologia, come detto, è presente Paolo Campoccia, pure lui veneto d’adozione, vive a Verona, che in una sua lirica, Nebbia, dice: «Poi mi prende mi viene vicina/ nella voce si aprono/ i nomi del sole, dei fiori e dei fiumi». Ecco tre esempi, tre possibilità che la bella antologia ci evidenzia, ci mette davanti. Non parole, ma nomi, esperienza.

Maurizio Spinali


PAOLO CAMPOCCIA


Narciso

Le stelle perse di vista

le riconosco al tatto, e ascolto

come nelle anime lo sprofondarsi

dove esiste la luce.

Non mi tengo più nella pelle,

mi tiene l’accento dell’acqua per mano, cammino

verso le anatrelle del lago

prendo le ventate per angeli,

profili riversi nell’onda,

che comprendo ma non vedo.



ROBERTO COGO


Miriade di maledizione

nel luogo neutro il conformismo

legittima la prova

a ogni passaggio in vita

l’esistenza

è racchiusa nel termine ristretto

del rito che tutto espropria

si prova a cambiare lasciando indietro

la malaria del consumo

la sfida della piazza di vetro

quasi deserta

resiste al risucchio feroce

di un tombino sconnesso che risuona

in fantasmi di suole in affanno

in nuvole e ruote di auto in corsa

il carosello della vasca cede il passo

a inerzie di nascondimento

i giacigli col buco

tutti soffocati dal ritmarsi ossessivo

di pietre gravide e segnali

mentre muta la stagione con le vetrine

in un coriandolo di vento

nel percorso che pare traspirare

una miriade di maledizione

tu mi dici di volere uno scrivere diverso

e nuovo, un extra-spazio della mente

che si metta in moto

anche di non esser più innamorato

del mondo, così ti sembra almeno

(sarà questione di rapporto col reale

di u mondo fittizio avido di godimento?

sarà questo fenomeno d’apparenza

e movimento conformato?

non sarà un po’ poco?)

nuove piazze e un bel selciato tutto

da consumare

camminando in tondo

ogni frusciante respiro spinge la creatura

contro l’uscio o il portone

nell’intralcio di un parcheggio sotto casa

chi ancheggia stancamente lungo la salita

con le borse piene di spesa

e sicurezza.



ALESSANDRA CONTE


Carte

Alla mano con la penna, di femmina,

spettava il matto con le altre tre carte,

la torre la morte e le stelle, a predire

già sapute le cose arcane. Affermativo

negativo e giudice si strappavano

alla sentenza, a sommarsi increduli

agli occhi stanchi.



ERIKA CROSARA


«che paura disse che ho quando dalle sedie o dagli

altari vedo il rimorchio, gli uomini piccoli in spanne

con fori di ardimento. fa un monticello di pietà ciascuno,

un triangolo visivo inadempiente»



GIOVANNI FIERRO


(sottofiume)

Il silenzio del fiume è sott’acqua

la sua corrente è calligrafa

costruisce parole

le si possono leggere

nel segno continuo

che il suo scorrere lascia

nella terra scavata

come ogni storia raccontata si ferma

dove trova quiete

il mare è l’ultima pagina del suo libro

la sua bocca chiusa

la sua dissolvenza

il suo cielo.



FABIO FRANZIN


Stradhèe

(Stradine,sentieri)

‘ta strissa scura de ‘sfalto

(che so èsser stàdha bianca,

‘na volta, e pì strenta), strda

che taja drio ‘e case, el paese,

che va, dreta, verso ‘a lontana

sagoma vioéta dee montagne

a bona biava, zàea, alta, fòjie

longhe come spade; a zhanca

un canp a pustòca, un gat biso

in mèdho, el pass lidhèoro dea cacia.

De’à al colmo dolzh de l’àrzene,

‘a spiuma verda dee cassie e po’

(no’ la vede, ma sinte ‘a sç santa

presenza) l’acqua ciara dea Livenza.

… … …

(Questa striscia scura d’asfalto/ (che so esser stata di sassi/ un tempo, e più stretta), strada/ che taglia oltre i caseggiati, il paese, che va , dritta, verso la lontana/ ssagoma lilla dei monti// a destra mais, alto e giallastro, foglie/ lunghe come spade; a manca/ un campo incolto, un gatto grigio/ lo attraversa, il passo lieve della caccia. Oltre la curva dolce dell’argine/ il folto verde delle acacie e poi/ (non la scorgo, ma sento la sua sacra/ presenza) l’acqua chiara della Livenza.)



STEFANO GUGLIELMIN


da Eros/a fresca aulentissima

Sei l’amara

l’analfabetica mia puella

che bene bacia e scorteccina

che sbuccia fosca la polpa

che lava

il ciccio raglio e la sghimbescia;

sei la mia geisha

ruvidosa, sì

baldracchina

sei la mia rosa

che tutto intorno spina:

“Pape Aleppe, papé Aleppe, Ciciàn!”



SIMONE LAGO


Palcoscenici

Quale funzione del sangue ti viene

vedendoti nuda allo specchio, quale

circolazione del senso attorno alla forma

del seno, fin dentro al solco dei fianchi?

È quella luce che suona di sera Settembre

pigmenta di giallo la pelle e foschia:

la credi tu sufficiente a sfumare lo scavo

che porti sul petto, il magro trafitto

dall’ombra radente?

No, non è sangue di madre mancata

a svuotarti, o del piacere che viene a picchiarti

nel delirio di quando scopando riguardi

lo specchio cambiando canale alla tele.

Di quinte nere e luci attente sono

le illusioni più amare, le vicende più vere.



FRANCESCO TOMADA


Altrove

Siedo sul muro basso di fianco alla via

sarà che questa bottiglia di vino è quasi finita

ma la salita mi sembra più salita

le pietre più dure

e proprio adesso vorrei dirti che mi manchi

ma poi davanti a te succede sempre

che ho dimenticato le parole giuste altrove

e rimango in silenzio

forse è il solo modo che conosco di farti spazio

in tutto questo vuoto che ho dentro

per te ho preparato una casa.



GIOVANNI TURRA ZAN


Opening

A conclusione dello scuoiamento

immenso strappo fattosi rito

si eleva il quadro, si effettua

lo spurgo d’ora in avanti

non si paga dunque un fisso

ma si contratta il tempo,

e che sia base la voglia di limpido,

d’odore tolto come di città che offra

il suo scarto. A conclusione

dello scuoiamento si apre la gara

delle rivendite pare estorte ad ogni

scontro – reso bailamme

fino alla serrata del macello.


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