LietoColle, collana Erato, 2005
nota di lettura di Alex Ramberti
Credo che un caratteristica preminente della poetica di Pietro Pancamo sia, come osserva Marisa Napoli nella Prefazione), un approccio esistenziale (leopardiano e pascoliano) alla materia vitale di cui i suoi versi sono espressione. C’è uno sguardo ironico è nostalgico che crea immagini vivide ed efficaci:
«Il giorno che saltella / lungo le impronte delle mie scarpe; / il giorno che saluta frantumato, / quasi appostato / fra le dita.» (p. 13); «A quest’ora / ogni paese / è un fagotto / di stelle e di buio./ … / Ma lo è pure questa via / (intirizzita di pioggia) / col suo buio / incatenato ai lampioni / … » (p. 16); «e s’afferra a quella luce / che sbrodola tra le persiane» (p. 18); «In cima alle acque / vediamo il tempo che si toglie le scarpe» (p. 21); «Guarda il cielo: / cade come un urlo di nebbia» (p. 26), «Le stelle digrignano il cielo.» (p. 28). Troviamo in questa raccolta esclamazioni metapoetiche («Eh, ironia / con te la disperazione / è filosofia!» p. 15) e sagaci appunti di tono aforistico («Ogni saluto è un commento / alla tristezza / di dover partire.» p. 17; «La morte (…) / … / è un cactus intento, ostaggio del deserto, / ad alzare le braccia» p. 20; «Ho fatto la mia vita con i piedi / senza nemmeno darle / una forma di sandalo» p. 33): Pancamo ci dona dei versi da ricordare, dei flash che indagano zone un po’ in ombra, magari inquietanti… quelle che ci danno una migliore consapevolezza di chi siamo.
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