venerdì 21 novembre 2008

Su Manto di vita di Pietro Pancamo

LietoColle, collana Erato, 2005

nota di lettura di Alex Ramberti

Credo che un caratteristica preminente della poetica di Pietro Pancamo sia, come osserva Marisa Napoli nella Prefazione), un approccio esistenziale (leopardiano e pascoliano) alla materia vitale di cui i suoi versi sono espressione. C’è uno sguardo ironico è nostalgico che crea immagini vivide ed efficaci:
«Il giorno che saltella / lungo le impronte delle mie scarpe; / il giorno che saluta frantumato, / quasi appostato / fra le dita.» (p. 13); «A quest’ora / ogni paese / è un fagotto / di stelle e di buio./ … / Ma lo è pure questa via / (intirizzita di pioggia) / col suo buio / incatenato ai lampioni / … » (p. 16); «e s’afferra a quella luce / che sbrodola tra le persiane» (p. 18); «In cima alle acque / vediamo il tempo che si toglie le scarpe» (p. 21); «Guarda il cielo: / cade come un urlo di nebbia» (p. 26), «Le stelle digrignano il cielo.» (p. 28). Troviamo in questa raccolta esclamazioni metapoetiche («Eh, ironia / con te la disperazione / è filosofia!» p. 15) e sagaci appunti di tono aforistico («Ogni saluto è un commento / alla tristezza / di dover partire.» p. 17; «La morte (…) / … / è un cactus intento, ostaggio del deserto, / ad alzare le braccia» p. 20; «Ho fatto la mia vita con i piedi / senza nemmeno darle / una forma di sandalo» p. 33): Pancamo ci dona dei versi da ricordare, dei flash che indagano zone un po’ in ombra, magari inquietanti… quelle che ci danno una migliore consapevolezza di chi siamo.

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