articolo di Alessandro Canzian - pubblicato in www.whipart.it 08.05.2008
Ma la frase celeste, che la mia mente ascolta,
io ridirti non so, non c'è nota o parola.
Ti dirò: tu sei tutto il mio bene, ad ogni ora
questa grazia d'amarti m'è dolce compagnia.
Potesse il mio affetto consolarti come mi consola,
o tu che sei la sola confidenza mia!
(Elsa Morante, Lettera)
Così scriveva in una sua celebre poesia Elsa Morante. Correva l'anno 1946. A poco più di sessant'anni di distanza questi dolci versi ci tornano utili – con quella magica utilità che ha la poesia – per definire i tratti più caratteristici di tre volumetti editi da Fara Editore nel novembre/dicembre scorso. Tre libretti che contengono al contempo la frase celeste, tutto il mio bene, questa grazia d'amarti, la sola confidenza mia. Tre pubblicazioni fresche dell'esordio e in qualche modo conchiuse nell'esodo che è il vivere. All'interno del quale la pagina scritta diviene un palliativo alla delusione, un contrasto con la modernità disamorante, una riflessione sul quotidiano e le sue conseguenze. Le mie scarpe son sporche di sabbia anche d'inverno di Stefano Bianchi. Il sangue dei papaveri di Nicoletta Verzicco. L'analisi di infinite conseguenze di Marco Zavarini. Tre approcci al vivere, affini, distanti per la forma, pregevoli negli esiti.
Stefano Bianchi nel suo Le mie scarpe son sporche di sabbia anche d'inverno in una leggera forma prosastica – non priva d'equilibrio – traccia un dialogo intimo con un tu, talvolta con un sé, attorno alla vita e alle sue propaggini inevitabili: felicità e illusione. Un libro che parla di amore, della quotidianità dell'amore, della sua invisibilità e dei suoi dilemmi. Di tutto ciò che non si vede ma che parla e alla fine si ricorda.
Due vecchi
Camminano.
La testa trema lei del male che la porta
la schiena lui non leva
dagli anni che ha in cartella
assieme ai libri e le merende delle dieci.
Camminano.
E il male che li porta
è questo tumore d'esser nati
che tutti ci accompagna.
I volti son sereni
e si tengono la mano.
I
Quando capita
capita di colpo,
è di sabato o a natale,
che ci si accorge d'esser soli.
Spille
Mi mancavano perfino le spille
pure quella che sfilasti dalla coda dei capelli
raccolti
col gesto più banale
che non so dimenticare
a chiudere la giacca difettosa
e la mia valigia piena
di quei pochi giorni
belli
di vedersi ogni mattina.
Nicoletta Verzicco nel suo Il sangue dei papaveri insiste e conquista, talvolta seduce in bilico tra concretezza – che è amarezza – e aspirazione, con versi brevi all'insegna del “contrasto” tra il peso e l'oasi.
La vita, l'anima e il corpo sono punti focali more uxorio d'una poesia dai tratti squisitamente femminili – come genere –. Il dolore è presente quanto la sensualità calda dell'amore, del seno, della speranza. La disillusione è cocente. La voglia di essere ancora altrettanto, seppure in toni un po' smorzati. La disillusione quasi pare rimare con la modernità della vita spesso difficile da accettare. E la conseguente mancanza di sostanza sentimentale che, in questi versi, sottilmente si ricrea.
Ho coinvolto la mia mente
in pensieri e mi
sono trovata
arida.
Un deserto spazzato
sabbia impalpabile
che non sopporta
il mio peso.
Il sole fa ardere
la mia pelle,
ha asciugato
le mie lacrime.
Non vedo oasi
in lontananza
solo miraggi.
La luna mi copre
stasera son nuda.
Trascendo dal tatto
anima e
corpo more uxorio.
Alimento memorie,
sopra una panca di
pietra purifico, invoco.
In un insolito profumo
di zagare mi sveglio
vestita all'alba.
Aggrappati
alla mia mano,
ti conduco a me.
Attraversa le mie labbra,
assaggia il mio sapore.
Corteggia
il mio seno,
si stupisce
ancora.
Marco Zavarini infine, nel suo L'analisi di infinite conseguenze, si esprime in testi brevissimi e lancinanti, quasi frammenti pregnanti di realtà. La razionalità si accompagna alla poesia tra bivi, inerzie, vizi e transizioni. E tutto quanto fa del mondo il mondo, della vita una vita, della realtà una realtà. Pensieri, questi, che fotograficamente rivendicano il diritto di esistere tra le pause necessarie dei versi. Silenzi, anche, sfioratamene ermetici e oltre, che fanno di questa poesia una catena trascendente che ha nella verità, nella sua scintilla, nell'esistere/resistere il più sincero impulso d'amore.
Eden
Costantemente tormentato
cerco la libertà
dalla nudità
del dualismo ragionato
Stasi
L'analisi di infinite conseguenze
paralizza
la verità di un'intuizione
Malattia
La mia anima
rivendica
il diritto di esistere
Mi abbandono al soffio
della luce che non genera ombre
senza tremore
il peso dei miei passi
la tua speranza
Tutto trapassa
questa catena trascendente
Tre esordi, quindi, dai quali non ci si aspetta una poesia alta o aulica che si voglia dire. Dai quali non ci si aspetta un intellettualismo stratificato nella forma – pure in alcuni ambiti necessario –, ma un delicato sentire la vita e le sue frequenze. Le proprie intemperie trascrivendole in un contesto editoriale fresco e intelligente, adatto a un progetto giovane eppure profondo, intenso eppure non opprimente. Tre esordi per parlare della realtà quotidiana nelle sue molteplici e spesso deludenti sfaccettature, alle quali si oppone il dire poetico come felice anelito d'amore. Felice non perché felicitante purtroppo. Felice perché comunque esistente. Comunque pregnante. Comunque dicibile.
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