lunedì 21 aprile 2008

Su Il sangue dei papaveri di Nicoletta Verzicco



recensione di Stefano Leoni

Non conoscevo Nicoletta prima dell’occasione di una breve chiacchierata, alla fine della quale mi ha donato il suo libro.
Il suo scrivere mi sembra quasi la riproposizione su carta di un flusso di pensieri, qualcosa che si affaccia nella sua mente e manifesta l’urgenza di essere in qualche modo fissata.
Non meraviglia pensare che la scrittrice compia l’atto di scrivere in tempi brevi o brevissimi. Ne è forse riprova il verso minimo, spesso una singola parola, le congiunzioni a fine verso, sospensioni di ritmo, simili a quelle piccole pause che si prendono nel parlare concitatamente per poi riprendere il fiume del dire.

soffochi e
soppesi
il passo
attendendo
di lenire
voglie
insoddisfatte
spietate o laide,


Proseguendo nella lettura del libro però, al variare del significato anche il significante si fa tendenzialmente meno sincopato, il verso si amplia e la frase trova una dimensione più riconoscibile, dove la ragione prende maggior spazio rispetto alla emotività, fino a giungere all’ultima sezione del libro, “L’insostenibile conciliazione”, dove, a mio parere, la poetessa esprime al meglio le sue indubbie capacità mostrando anche con più chiarezza i luoghi dell’anima da cui attinge per esprimere o esprimersi.
Cito la bellissima:

Sospiri sospesi
in desolate brughiere
attorcigliano cespugli.

Rovescio a fiotti il nulla
e libera di non vivere
rimuovo il rudere
del passato.

Mi lascio trascinare
e divento vento.

L’intero testo è fortemente intriso di sensibilità femminile ma non certo quella stereotipata che immagina la femmina delicata e remissiva. Qui c’è una donna che parla senza reticenze, che non teme l’ utilizzare termini chiari, che non lascia spazio a dubbiose interpretazioni. La descrizione del rapporto maschio/femmina non trova ampiezze e sfumature, o è «seme già/morto» quando il maschile crede di poter condurre oppure è «paura» che «Si dilegua quando la tua / lingua, mai prepotente, / accarezza la mia e ad /occhi chiusi bevo i tuoi baci».

Penso che Nicoletta si rapporti fisicamente con l’esistenza e l’esperienza e trovi nella sua scrittura il luogo dove tracciare, come su un blocco d’appunti, la sintesi che ne trae. Consapevole però che la vita è anche ricerca d’altro e che questo altro risiede forse ne «il tutto e il nulla« intimamente inseguito dentro di sé, nello stacco dal rumore quotidiano magari mentre «Ad occhi chiusi/osservo il buio.» senza una certezza di trovare qualche soluzione.
La vita è dunque un «mare assolato» dove «Il sangue dei papaveri / macchia l’onda / delle spighe mature», alternanza di colore, profumi e di mistero, di corpo e della sua rigenerante assenza.

1 commento:

Vincenzo celli ha detto...

mi piace davvero tanto questo modo
di scrivere che sento molto vicino
al mio sentire. Da questi pochi versi
si intuisce la forza calma, di chi, non si accontenta della superfice delle cose e dei sentimenti, ma li affronta, con la fisicità e la ricerca in se stessi.
Brava
vincenzo