recensione di di Vincenzo D'Alessio (G.C.F. Guarini)
via Sala 29 - frazione S. Felice
83025 Montoro Inferiore (AV)
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Nel percorso poetico tracciato nella collana «Sia cosa che» della casa editrice Fara, compare la Raccolta di Alberto Mori: per nulla facile da leggere, concepita per sottoporre il lettore ad una “selezione”, ad una disamina del composto chimico definito immondizia.
A vederlo da questa angolazione, il Sud della nostra penisola, il termine raccolta, differenziata o meno, suona proprio come una dura condanna pertrent’anni di ritardi dovuti ad una classe politica che si è avvicendata alla guidadel Mezzogiorno d’Italia. Se invece la guardiamo nei versi di Mori, l’immondizia diviene l’involuzione di una filosofia di accadimenti propri dell’esistere.
La scelta della società “ultramoderna” di servirsi dell’immondizia per segnare il surplus del proprio vivere affligge l’intero pianeta: da chi la smaltisce quotidianamente a chi vi cerca la propria sopravvivenza rovistandola minutamente: i Mongo.
Ma questi “strani” esseri umani – «cappotto bianco per coperta. / I guanti mozzi delle dita / fasce per cavigliere» (p. 44) – sono i nuovi cavalieri/sciamani dell’era che le società civili hanno generato.
«Nel rifiuto la parola annusa due volte l’aria» (p. 37): questa è la scelta poetica dell’Autore. Metafora di molti rifiuti, la parola poetica continua a denunciare una socialità al limite del parassismo, vittima delle lobby che affossano la morale in fondo al bidone della Caritas.
Eppure siamo stati avvisati tante volte dai poeti che stavamo superando i limiti della “civiltà” per sfociare nella “vanitas” della fine: l’uomo non è il colonizzatore del pianeta Terra.
Lo sapevano bene gli antichi di appena cinquant’anni fa: i contadini che al pianeta Terra dedicavano forza delle braccia e della mente, sacrifici inenarrabili che affondavano in verità nascote oggi per paura della Storia.
Siamo diventati “incivili” perché «Tra breve tutto scomparirà» (p. 24).
Leggendo la raccolta di Mori, le parole scritte trasmettono il disagio mentale per la letale forzatura “della spazzatura”. Ma noi, qui, vicino alle ecoballe, all’immondizia accumulata dovunque, alla puzza acre che ci ammala, alle sotterranee discariche ricoperte alla meglio, veramente attendiamo «Ultimo disimpegno per la carità in transito» (p. 25).
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