recensione di Maria Grazia Martina
(v. anche le recensoni di Mara Zanotti e Andrea Rompianesi)
In questa Raccolta il poeta compone lucide emozioni in traslazioni spazio/temporali, tasselli che costruiscono una trama umanizzante del mondo delle cose lasciate, scartate.
Ancora una volta lo sguardo sorveglia al limite dell’in/utile ciò che sembra vanire in trascorrenze verbali, uniche trasposizioni sinestetiche dell’accanto.
Sarebbe riduttivo e semplicistico considerare che il poeta decanti i “RIFIUTI”, il loro squallore fetido, la loro ultima sorpresa in global trend mediatico.
Sono costruzioni mentali di sensazioni razionalizzate in curve, cubi, triangoli, tagli, tragitti, spericolate “raccordanze” di assemblaggi animati a tal punto da farli parlare.
Parlare per noi.
Storicamente il tema del “rifiuto” è articolato, geograficamente e culturalmente, in molteplici declinazioni d’ambito DADA/Surrealista, in cui l’espressione oggettivante dell’oggetto restituiva il palese disprezzo per la creazione e il fascino per ciò che esisteva già come tòpos e “utópos” del quotidiano produttivo.
Qui si tratta di rivelare il reperto del quotidiano aproduttivo/afunzionale.
È chiaro, dunque, il provenire e il divenire da questa variegata imagerie, ma è nella parola che il poeta decostruendo costruisce, attualizza il “funzionamento” connettivo, dalle cose al senso.
La parola è spazio e tempo del decostruire poetico: è spazio in quanto accumulo, è tempo in quanto sentimento malinconico della trasmutazione.
La parola è il contenitore differenziato, una forma in “distribuzione”, in cui tutto appare simultaneo, astratto: variopinta ecobox, parimenti macchina in/utile.
La ricerca nella scrittura si fa scommessa di visualizzazione della bellezza contemporanea, presente, verso la definizione di quel qual cos’altro, oltre la materia decomposta.
La parola scardina l’accumulo, entropica ed estetica, estrapola, isola, rimette all’attenzione dello sguardo lettore, l’altra poesia: “Si scuce sempre qualcosa per uno straccio”.
Una geometria dell’assurdo disordine, scrittura destrutturate, detta, enunciata, atta a scandire, contenere, rimuovere l’invenzione, ed è già obsoleta.
Questo il senso “nuovo” della vanitas scaduta, riciclabile al senso della vita della percorrenza effimera, virtuale, alloggiata in schede per tutti gli usi, esaurite in azioni omologate “merci compatte del deteriore”.
Così Mongo Refus Afball Junk Space divengono nella creazione poetica antieroici eroi di una strana “sporca” fiction di sequenze, travestimenti, geometria de/nominata, alla ribalta, sorpresa “al mattino presto “ quando “la notte si allontana”.
In Raccolta Alberto Mori è testimone dell’accadere casuale, dimostra all’ “onnipotenza” del linguaggio, che gli consente di consegnarci la vita come puro movimento nell’ingranaggio.
AutoAzione/AutomAzione che, paradossalmente, funzionalizza tutto quanto è dismesso, aproduttivo… poietico.
13:58 A. D. 22 febbraio MMVIII
Maria Grazia Martina ha iniziato il suo percorso creativo con la scrittura, interessandosi di critica d’arte. È in seguito approdata alla poesia visiva mediante l'elaborazione di un proprio segno calligrafico ed ha realizzato “non solo libri d’artista”. Ha partecipato a: 51. La biennale di Venezia isola dei poeti, 2005; Biennale Anterem di Poesia, Verona 2005/’07; 52. La biennale di Venezia eventi collaterali, 2007; V Biennale del libro d’artista Città di Cassino 2007. Nata a San Cesario di Lecce, vive a Breganze (VI) dal 1986, è docente di Storia dell'Arte al Liceo “F. Corradini” di Thiene, cura scritti critici per autori di poesia e arte figurativa.
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