giovedì 20 marzo 2008

Su è luce il tarassaco

raccolta inedita di Emilia Dente

recensione di di Vincenzo D'Alessio (G.C.F. Guarini)
via Sala 29 - frazione S. Felice
83025 Montoro Inferiore (AV)

L’apologia che si coglie nel titolo dell’ultima raccolta inedita di Emilia Dente «è luce il taràssaco / sul ciglio del vento» restituisce nell’analogia della pianta, amara e lucente nel suo colore giallo, il cognome della poetessa. Il taràssaco è conosciuto con il nome di Dente di leone: una pianta forte e ostinata; l’emulazione di forza e verità.
L’incontro, di queste energie centripete, genera nella presente raccolta una sorta di erbario poetico: fresco nel ritmo, forte nella ricerca filologica. La poetica di Dente parte da una cittadina Svizzera dov’è nata e raggiunge il luogo eremitico, traboccante di storia dove vive attualmente. La luce che trapassa il gialloverde del fiore bocca sul ciglio di una forza costante ma imprevedibile che è il vento del comporre. L’esistenza condotta fin qui è la ricerca di una fuga immaginaria dai luoghi del vissuto quotidiano e la passione irrazionale che la trattiene, attraverso gli affetti, nelle terra avara e matrigna dove l’Autrice vive.
I versi di questa raccolta denunciano il dolore che promana dalla terra devastata, dai giovani invecchiati anzitempo, dalle forze sane che hanno molto da dare e che invece vengono paralizzate alla frontiera del fare, la forza costruttiva degli occhi del poeta unica spiaggia nel mare del disinteresse.
Le cicale politiche che affondano il loro canto-inganno da troppo tempo nelle nostre regioni meridionali percuotono l’aria e imprimono al cuore del poeta un ritmo di sofferenza: la mancanza del lavoro e l’incertezza dell’avvenire.
«Segno con gli occhi / i confini del mare», scrive Emilia, confini che non riescono a contenere i desideri del «sogno parallelo» e la ricerca della «via cerchiata d’argento». L’amore che si innalza da questi versi è dirompente.
Quello che l’Autrice vive, insieme a noi, è un tempo privo di lealtà, di potenza costruttiva. L’attesa di un «pupazzo leale» che cambi il ritmo «dei giorni che ingoiano le ore» è l’attesa che vivono i molti giovani universitari, laureati, ingannati ed esautorati della dignità di un meritato posto di lavoro. Questo è solo uno dei mali del «sud della vita», come recita l’esergo all’inizio della raccolta.
«Sono stanca / da secoli / attendo / un calice di stelle / e mezza verità». Come non ascoltare questa voce che è voce di madre, voce di migliaia di donne del Sud di ogni parte del mondo.
Oltre alla figura di Peppino Impastato, vittima-eroe del nostro Sud, il richiamo degli affetti famigliari pervade tutta la raccolta.
Non sono tante le poetesse che ho letto, ma Ruth Feldman della raccolta Perdere la strada nel tempo (1989) molto si avvicina, per tematiche, alla raccolta della Dente. Cito alcuni versi: «Cose accadute / continuano ad accadere» (p. 71); e ancora «Poesia non nate ancora / sfonderanno il grembo della mente» (p. 74).
Scrive Emilia. «amo il pensiero nudo / … / amo il lemma / con la tunica di lino grezzo / attendo l’incontro / sulla seggiola di paglia».
Siamo di fronte ad una raccolta che segna la maturità poetica della nostra Autrice, la quale ci indica la via dell’esistere: «assaggeremo il teòsinte / alla mensa dei padri / mastichermo / con denti metallici / vergogna e verità». Versi che indicano un «assolo di luce e poesia» nella ricerca continua per uscire «dalla fila» alla quale il potere occulto dell’ignoranza politica destina il futuro di troppi giovani.

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