lunedì 17 dicembre 2007

3^ di Avvento domenica 16 dicembre 2007

di Ivan Nicoletto

Is 35,1-6.8-10; Gc 5,7-10; Mt 11,2-11

Le immagini, le situazioni che ci offrono i testi appena ascoltati, assomigliano molto alle circostanze che anche noi stiamo vivendo.
Anche noi patiamo paesaggi deserti e terre aride, minacciate dal surriscaldamento o dagli sfruttamenti della terra. Ci sono molte persone che hanno smarrito la speranza, in balia delle guerre devastanti o impoveriti dai mercati o disorientati dall’ingiustizia dilagante, delusi magari di se stessi, dalle proprie incapacità… Possiamo immedesimarci con lo sguardo dell’agricoltore, descritto dalla seconda lettura, che guarda alla terra, arata e seminata con fatica e dedizione, avvolta ora da una crosta di ghiaccio. Tutto traspira desolazione. Non si riesce proprio ad immaginare un raccolto rigoglioso…
Tuttavia, al cuore di queste situazioni drammatiche e disperate risuona un’altra voce, diversa da quella spossata dallo sconforto. Una voce che riaccende la gioia, la speranza: “Coraggio! Non temete; ecco il vostro Dio… Egli viene a salvarvi… gioia e felicità germoglieranno”. Gli fa eco la lettera di Giacomo: “Rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina”.
“La venuta di Dio”, come ce l’attesta tutta la Bibbia, non è mai qualcosa di estraneo alla nostra umanità ma corrisponde a delle fioriture della vita che accadono inaspettate nelle nostre quotidiane esperienze di vulnerabilità e di contingenza, di minaccia. Ogni volta che si creano situazioni gravi, magari prove insostenibili, in cui la vita personale o comune viene messa a repentaglio, insorgono voci di uomini e di donne che instillano in questi deserti del cuore e della storia delle prospettive incoraggianti, arrischiate e fiduciose…
Con il poeta inglese Gerald Hopkins potremmo dire che in ciascuno di noi possono risuonare due echi, che lui chiama l’eco di piombo e l’eco d’oro, l’uno inerente all’altro, come due poli opposti, che convivono.
La prima eco, quella di piombo, grida “dispera!” considera che c’è tutto da perdere, che tutto è segnato da vanità, che ogni sforzo è fallimentare, che tutto è incerto e viene stritolato dalla fatica, dal male e dalla morte, e non vale la pena illudersi di niente… Ma contemporaneamente, mentre tutto è messo a repentaglio e spezzato, risuona l’altra eco d’oro che, invece, grida “spera!” Nulla va perduto, tutto è possibile! Ogni spada può tramutarsi in aratro, ogni bomba trasformarsi in videogiochi. C’è un serbatoio inesauribile di energie non ancora impiegate da investire nella semina e nell’attesa. C’è un’Energia creatrice e amante all’opera, che cova nel tempo, nei corpi, nell’immaginazione, nei cuori, e ciascuno è chiamato ad accoglierla, a farsene tramite perché diventi pensiero, decisione, accoglienza, ascolto, servizio, dono da offrire. E questo non perché viene da noi, ma perché la Sorgente di quella eco, di quella vibrazione luminosa è molto più profonda e ricca di quanto noi possiamo immaginare.
Così il corpo di Gesù si apre senza riserve alla forza creatrice dell’Amore che egli chiama Abbà, e la immette nell’esistenza, la fa fluire attorno a sé, rendendo possibile che i ciechi vedano, cioè che le persone che percepiscono il mondo solo come tenebra e disperazione inizino a percepire dei raggi di luce. Egli opera perché i prigionieri delle proprie gabbie psichiche, mentali o culturali siano liberati. Egli ridona dignità a tutti i rifiutati, gli esclusi, gli scarti delle nostre società. Egli dona la capacità di ascolto a chi è diventato ormai sordo all’invocazione o al silenzio. Egli non spegne il lucignolo fumigante ma lo alimenta di felicità; non proferisce condanne ma beatitudini…
La salvezza, con Gesù, viene nel mondo non come una Presenza giudicante e incombente, che incute timore e senso di colpa, ma come invito ad acquisire fiducia di sé e degli altri come semi che Dio stesso ha seminato; semi di pace e di giustizia, di felicità e di condivisione che egli sparge e coltiva nel tempo con grande speranza.
Dio spera in noi. Si addolora quando invece spargiamo il sangue di Abele. Egli ha una pazienza geologica nei confronti dei tempi lunghi e travagliati delle nostre crescite, evoluzioni, involuzioni, riprese… Egli viene confidando nella nostra accoglienza. Si affida nelle nostre mani perché conduciamo una lotta coraggiosa contro le pulsioni di morte, di distruzione, di violenza e di paura.
Il Signore viene. Inaugura le sue venute come quella di Gesù, che libera dal male e dalle oppressioni. Il Battista stesso, che pure è il suo precursore, pensava che l’inviato di Dio che stava per venire si sarebbe abbattuto sul mondo come una scure sulle radici degli alberi, come fuoco sulla pula, come trebbia sul grano… ma non si sente né si vede nulla di tutto questo in Gesù a proposito di scure, giudizio, tono aspro, fuoco e trebbia… e Giovanni si chiede perplesso: “Sei tu colui che deve venire, o dobbiamo aspettare un altro? È questa la salvezza che si può e si deve attendere?”. Anche lui, il più grande, resta sulla soglia. Dissoda il terreno per l’imprevedibile cosa nuova che Dio compie in Gesù.
Anche ciascuno di noi potrebbe chiedersi se le venute del Signore oggi non ci colgano di sorpresa, ci lascino perplessi come lasciarono il Battista:
Se Dio venisse nella secolarizzazione, sciogliendo le separazioni fra un mondo sacro e un mondo profano?
Se Dio venisse nella morte di Dio come garante dell’ordine morale, politico o religioso; morte di un Dio impugnabile come spada per difendere valori che invece fanno soffrire moltitudini?
Se Dio venisse nelle potenzialità conoscitive che abbiamo acquisto, che ci mettono in grado di sovvertire l’ordine della natura e perfezionare altri mondi?
Se Dio venisse nelle religioni degli altri, mostrandosi incontenibile da ogni religione?
Se Dio venisse nel pensiero diffuso “debole”, segnato dal relativismo e contaminato, per intaccare i punti fermi e i valori non negoziabili per piegarli a compassione sull’umanità abbattuta?
“Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”
Oggi siamo invitati a non cercare le venute del Signore in gesti eclatanti e mozzafiato, ma ad investirci nei miracoli quotidiani che irraggiano carità, vicinanza, gratuità… che tutti possiamo compiere ogni giorno, ogni attimo della nostra vita.

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