martedì 11 settembre 2007

Su Antonino Cremona e Aldo Grienti



di Marco Scalabrino


ANTONINO CREMONA

La notizia della scomparsa di Antonino Cremona (Agrigento 1931-2004) si diffuse nell’Autunno tra gli amici e negli ambienti della poesia dialettale siciliana.
Sedato lo sgomento, acquisito il dato della ineluttabilità della morte, la prima autorevole sentita testimonianza è stata la “Lettera per Antonino Cremona” di Salvatore Di Marco, datata 10 Febbraio 2005.
“Lettera”, pubblicata quindi sul numero 78 de LA NUOVA TRIBUNA LETTERARIA di Giacomo Luzzagni, di cui si riportano alcuni estratti: «Il fatto è che questa diceria della tua morte (e ti prego di smentirla) risale al 25 Settembre dell’anno scorso con tanto di necrologio sui giornali. Anch’io lessi a suo tempo, ma vai a fidarti dei giornali! Io penso, infatti, che se tu fossi morto, la città di Agrigento ti avrebbe in qualche modo commemorato. E invece, dal 25 Settembre 2004, ogni mattina Agrigento si sveglia e dice al mondo: “Niente di nuovo, non è successo nulla di rilevante”. Se muore un personaggio come Nino Cremona, poeta di razza e di lunghe stagioni, filologo e scrittore, critico letterario e intellettuale di pregio, Agrigento sicuramente avrebbe versato lacrime sincere. Un Personaggio come te, caro Nino, non può morire nel silenzio generale, soprattutto in quello crudele della tua terra. Perciò dico che se tu fossi veramente morto me l’avresti comunicato.»

Il convegno di studi avente per tema L’OPERA DI ANTONINO CREMONA E IL NOVECENTO SICILIANO si è svolto il 27 Gennaio 2006 ad Agrigento. Relatori: Sergio Spadaro, Giovanni Occhipinti, Antonio Liotta e Salvatore Di Marco. E giusto dalla relazione di quest’ultimo, L’ANIMA GIRGENTANA NELLA POESIA DIALETTALE SICILIANA DI ANTONINO CREMONA, pubblicata nel 2007 dalla ASSOCIAZIONE CULTURALE “NINO MARTOGLIO” GROTTE AG, e dal volume LETTERE PER UN POETA, carteggio Salvatore Di Marco – Sergio Spadaro su Antonino Cremona e altre carte, EDIZIONI ACCADEMIA DI STUDI “CIELO D’ALCAMO” 2006, traiamo gli appunti a fondamento di questo elaborato.

Leonardo Sciascia, avendone apprezzato gli esordi «dal 1952 ha cominciato a scrivere poesie nel dialetto agrigentino in cui la vocazione lirica si accompagna ad una costante e acuta vigilanza critica», curò che Antonino Cremona entrasse a far parte (nel Giugno 1953) della redazione de IL BELLI. E nel Giugno 1954 su IL BELLI, il bimestrale di letteratura dialettale fondato e diretto in Roma da Mario Dell’Arco, apparvero tre liriche di Antonino Cremona, LAMENTU PI LA MORTI DÔ ME SCIATU, LI CANZUNA e LU SCANTU.

OCCHI ANTICHI è la prima opera di Antonino Cremona, portata alle stampe quando ancora non aveva compiuto i venticinque anni di età. È la sola silloge dialettale che egli abbia prodotto (dopo infatti non volle più scrivere poesia in dialetto – tranne che per talune traduzioni – sostenendo semplicemente che non ne avvertiva lo stimolo): una raccolta di diciassette liriche, pubblicate nel 1957 per le edizioni Sciascia di Caltanissetta, scritte tra il 1953 e il 1954; alcune «vergate su carta igienica perché me n’era finita ogni altra».
Tutte e diciassette le liriche di OCCHI ANTICHI sono state poi riproposte ne L’ODORE DELLA POESIA (Sciascia, 1980), edizione nella quale è stato aggiunto un diciottesimo testo UN MORTU, del 1953, inizialmente incluso nella antologia POETI SICILIANI D’OGGI, curata nel 1957 da Aldo Grienti e Carmelo Molino, Reina Editore in Catania, e progettata e realizzata allo scopo di tirare una sorta di bilancio dell’attività intensa di promozione del rinnovamento della poesia dialettale siciliana del dopoguerra di cui erano stati protagonisti un gruppo di poeti palermitani e un gruppo di poeti catanesi.
Le liriche di Antonino Cremona presenti nella antologia POETI SICILIANI D’OGGI sono: OCCHI ANTICHI, LA PENA, UN MORTU e LI PINZERA. Antonio Corsaro, che ne redige introduzione e note critiche, nei suoi riguardi così si pronuncia: «Antonino Cremona possiede una conoscenza critica dei problemi che oggi si dibattono sulla corrente dialettale moderna e si occupa di questioni filologiche con risultati degni d’attenzione. Questa sua base di cultura non frena però l’irruenza dei sentimenti, anzi gli giova benissimo a controllare gli interessi della sua poesia». Importante inoltre la sua affermazione: «I dialettali non sono mai stati estranei alle vicende della cultura nazionale» poiché coglieva uno dei motivi centrali del movimento.
E a sostenere quasi questa ultima asserzione, Gian Luigi Beccaria, in LETTERATURA E DIALETTO, editore Zanichelli 1983, ribadisce: «Nel corso dei secoli la letteratura dialettale non conosce eclissi salvo che nel Rinascimento. L’esperienza storica più complessa è negata a quella letteratura. Ciononostante non è affatto letteratura subalterna di interesse locale. Coesiste, con pari diritto, accanto alla nazionale con la quale forma cordiale e ricca unità, feconda di scambi.»

Il poeta e letterato Vittorio Clemente, nel 1957, commenta: «La cultura del poeta, lo studio dei testi, il suo gusto lo hanno portato a scoprire valori e bellezze mai prima sospettati nel dialetto. Poesia vera siciliana e non in siciliano.»
Felicissime altresì le considerazioni di Giuseppe Angelo Peritore: «L’uso del dialetto in questi componimenti è la parlata di ogni giorno, scavata nel vivo della pietra, nel dolore e nella passione amorosa, nella sofferenza della storia e delle idee. Una particolare morfologia assiste Cremona nella creazione dialettale; la pagina gli è nata nel suo dialetto agrigentino non in un siciliano generico e compromesso.»
Vincenzo Di Maria, nel 1971, segnala alcuni aspetti illuminanti della scrittura dialettale del poeta agrigentino: «La parola subisce certamente la distillazione più oculata e severa, l’empito viene concentrato sino a prosciugarsene d’ogni umore superfluo». E il volume II di ANTIGRUPPO 73 ideato da Nat Scammacca e Santo Calì e introdotto dallo stesso Di Maria offre due testi di Antonino Cremona: A LA SAGRA DI LI MÉNNULI SCIURUTI e LAMENTU PI LA MORTI DÔ ME SCIATU.
Pietro Amato inoltre, nel Maggio 1977, riconosce, nel dialetto di OCCHI ANTICHI, il «girgentano nativo» egregiamente «acculturato nello scrupolo filologico e accresciuto nella invenzione linguistica».
Il MANIFESTO DELLA NUOVA POESIA SICILIANA, edizione Arte e Folklore di Sicilia, Catania 1989, a cura di Salvatore Camilleri, pubblica quattro componimenti di Antonino Cremona, S’ANNIVISCI GARCÌA, GODOT, LI PINZERA, OCCHI ANTICHI, e una breve chiosa: «In termini poetici, Antonino Cremona è un anarchico, un irregolare, un cavallo che non soffre freno. È stato uno dei primi a rompere con la tradizione.»
Antonino Cremona venne antologizzato nel volume IL DIALETTO DI POETI, Edizioni Piovan del 1988, a cura di Giacomo Luzzagni, e in seguito nei due volumi POESIA DIALETTALE DAL RINASCIMENTO AD OGGI, a cura di Giacinto Spagnoletti e Cesare Vivaldi, Garzanti Editore 1991, in cui venne definito «autentico poeta nel panorama dialettale degli ultimi anni».
Fu uno dei protagonisti di quel movimento del secondo Novecento denominato RINNOVAMENTO DELLA POESIA DIALETTALE SICILIANA, che, sottolinea Salvatore Di Marco, è storia interessante di idee e di poeti, di mutazioni culturali e inquietudini sociali, di sperimentazioni e di esiti anche importanti però rimasti sconosciuti a chi ha ritenuto che il solo pannello solare capace di dare nuova energia alla letteratura siciliana dialettale fosse quello esclusivo di Ignazio Buttitta, è ciò semplicemente perché lo si trovava già collocato più in alto degli altri.

Antonino Cremona privilegiava le coordinate di un testo poetico, ritenendo che «il testo è il suo stile, mai il suo argomento, giacché il contenuto viene determinato dalle esigenze della scrittura». E se accadde l’inverso, «non si avverte nemmeno l’odore della poesia». Soleva dire che come poeta amava «esprimersi più che comunicare>, e ammetteva che la scelta dialettale era motivata dalla «accortezza di esprimere i propri sentimenti e i propri concetti nel modo più acconcio alla sensibilità». Volle scommettere adottando il “girgentano” (un “proprio” girgentano) pur sapendo bene che Alessio Di Giovanni lo aveva stigmatizzato come «la via più spiccia» («Due vie s’aprono oggi ai degni cultori del nostro dialetto: o scrivere nel vernacolo natio o seguire, rendendola più moderna, più colorita e più mossa, quella nostra vecchia e scaltrita lingua siciliana. I nostri poeti e drammaturghi contemporanei ha seguito la via più spiccia scrivendo quasi tutti o in palermitano o in catanese o in agrigentino», Alessio Di Giovanni nel saggio del 1896 SARU PLATANIA E LA POESIA DIALETTALE IN SICILIA), e questa fu la ragione – insieme al suo fisiologico rifiuto di associarsi a gruppi e scuole letterarie – per la quale egli non volle mai essere incluso organicamente nel GRUPPO ALESSIO DI GIOVANNI, al quale tuttavia lo legarono sempre sia comuni e condivisi progetti di rinnovamento letterario, sia forti e duraturi sentimenti di fraternità (specie con Pietro Tamburello e Salvatore Di Marco).
La “lezione” tenuta all’Istituto di italianistica dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, in data 11 Aprile 2003, ci aiuta a intendere più compiutamente il pensiero di Antonino Cremona: «Ai sentimenti sostituisco le sensazioni, ai valori preferisco le virtù, la morale non mi garba perché tendo all’etica. Rinunziando a concetti che hanno del molliccio, dell’appiccicoso, preferisco la limpidezza luminosa di quanto è netto. Oggettivizzo quanto più possibile. Ho fatto un lungo, faticoso, dolorante, percorso dall’io al tu e al noi sino a pervenire magari a una assenza grammaticale del soggetto.»
Componente fondamentale della sua personalità – annota Sergio Spadaro nel saggio L’ESPRESSIONISMO MEDITERRANEO DI ANTONINO CREMONA – era la sua ironia, che egli faceva discendere direttamene dal suo conterraneo Empedocle, del quale aveva tradotto LE PURIFICAZIONI. Antonino Cremona al riguardo riferisce: «Studiandolo, mi sono rafforzato del suo pacifismo, dell’ira laica avversa ai sacrifici, della sua ironia e autoironia, della sua contrarietà assoluta alla pena di morte. L’ironia non è solo un modo di resistere ma pure uno strumento di conoscenza. L’autoironia è una possibilità di autoispezione, per conoscere se stessi e per difendersi da se stessi.»

OCCHI ANTICHI è un’opera significativa della poesia dialettale del secondo Novecento siciliano. I temi protagonisti sono la memoria amorosa, le tensioni della nostalgia, il segno dei destini ultimi dell’uomo contemporaneo e delle sue sofferte futilità, la presenza di figure di uomini e di donne il cui richiamo insiste sulla amarezza della loro condizione sociale. Se ne riportano, in calce, alcuni componimenti nella traduzione dell’Autore, tra i quali A LA SAGRA DI LI MÉNNULI SCIURUTI che fu il primo («su commissione di Mario Dell’Arco», precisa il poeta) e l’omonimo OCCHI ANTICHI.
La memoria di Nino Cremona, poeta dialettale, autore teatrale, saggista e critico letterario, redattore di riviste italiane ed estere, merita di essere onorata, come convenientemente hanno fatto Salvatore Di Marco e Sergio Spadaro nei saggi L’ANIMA GIRGENTANA NELLA POESIA DIALETTALE SICILIANA DI ANTONINO CREMONA e LETTERE PER UN POETA sopra menzionate. E ciò nel tentativo di smentire lo stesso Antonino Cremona che, a proposito del poeta niscemese Mario Gori in una lettera del 21 Aprile 1997, aveva amaramente rilevato che «la Sicilia è un cimitero di dimenticati».

A LA SAGRA DI LI MÉNNULI SCIURUTI

Suli ammatina supra di li mennuli
e cantanu l’oceddri a tutta l’ura.
Lu viddranu, curcatu nô carrettu,
s’annaculìa. Cangia la vintura
pi un sciuri di li mennuli all’oricchia?
Pinniculia, tuttu stinnicchiatu
(la vampa di lu suli ca lu scorcia);
senti li forti strepiti d’Orlannu
câmmazza i saracini e ca Rinallu
suspira e chianci, biancu arrussittatu.
Cu la mula parata a festa granni,
lu carrettu lucenti cu li pinni,
a passu a passu mezzu u pruvulazzu.
E la mula nun senti chiù la via.
Ci penni la cuperta mmezzu i gammi.
Li mennuli e l’olivi, tornu tornu,
ci fannu strata. Sbatti ni un pitruni,
isa la testa, curri; sata, abballa,
“Stoccati u coddru”, a zotta a vastunìa.
Vittivìtti, ca sona u mancarrùni.


Nella sagra dei mandorli fioriti. Sole di mattina sopra i mandorli / e cantano gli uccelli a distesa. / Il villano, coricato nel carretto, / dondola. Muta la ventura / per un fiore di mandorlo all’orecchia? / Ondeggia, tutto sdraiato / (la vampa del sole che lo scortica); / sente i forti strepiti di Orlando / che ammazza i saraceni e che Rinaldo / sospira e piange, bianco e imbellettato. / Con la mula parata a festa grande, / il carretto lucente coi pennacchi, / passo passo nel polverone. / E la mula non sente più la via. / Le pende la coperta tra le gambe. / I mandorli e gli olivi, torno torno, / le fanno strada. Sbatte in un macigno, / alza la testa, corre; salta, balla, / “Rompiti il collo”, la frusta la bastona. / Presto, che suona il marranzano.


UN MORTU

Ora ch’è mortu si mancia la terra.
La malasorti lu fici piniari
senza lu vinu
e un pugnu di furmentu
e na mnuzza ca coci a minestra.
Morti di longu cu li fasci nivuri
ci fici li banneri nâ la porta.
Finì lu diavuluni e la Madonna,
ca s’arriposa
ad occhi chiusi.
Li figli ca nunn’appi nun li cerca
vermi vermi, ca prima li tantiàva
nê mura dô pagliaru; e nun la canta
la zappa ntra li timpi î malandata.
Li caddi di li manu arripudduti,
e li nasu affilatu. Bona paci.


Un morto. Ora ch’è morto si mangia la terra. / La malasorte lo fece penare / senza il vino / e un pugno di frumento / e una mano che cuoce la minestra. / Morte a lungo con le fasce nere / gli fece le bandiere nella porta. / Finì il Diavolone e la Madonna, / ché riposa / ad occhi chiusi. / I figli che non ebbe non li cerca / fra i vermi, ché prima li annaspava / ai muri del pagliaio; e non la canta / la zappa fra le zolle della malannata. / I calli delle mani / e il naso afflato. Buona pace.


OCCHI ANTICHI

Resta nall’ortu l’ecu dê canzùna
(comu t’accùpa stu suli, st’arsura
ca conza li canti dê griddi)
li rami di l’àrbuli pénninu nterra.
Cca, fumannu li pinzéra,
sugnu na lampa ca s’astuta.
Cuntu li pidàti ni sta càmmara bianca,
cu i manu nsacchetta.
Ma ti viu lìbbira e nuda.
Muta
tinni isti. E ttu gattìi
a cu ti teni mmrazza e ‘un ti canusci.
Siddu arrìdi. Ca forsi ti spunta
la me facci nguttàta.


Occhi antichi. Resta nell’orto l’eco delle canzoni / (come ti soffoca questo sole, quest’arsura / che orchestra i canti dei grilli) / i rami degli alberi pendono a terra. / Qui, fumando i pensieri, / sono un lume che si spegne. / Conto i passi in questa camera bianca, / con le mani in tasca. / Ma ti vedo libera e nuda. / Muta / te ne sei andata. E tu fai la gattina / a chi ti tiene in braccio e non ti conosce. / Se ridi. Ché forse ti spunta / la mia faccia che trattiene il pianto.


GODOT

En attendant Godot sta morti
ca ‘un meni ti dassi vampi di focu,
friddulina; ti calliassi nê manu
l’occhi di vitru. T’arriparassi
nô fazzulettu di sita.
O morti
e bita. Sti manu friddi
longhi, sti taliatùri d’ogliu
ca mi sciddricanu ncoddru
mentri avvampi, stu coddru tisu
cu la testa ô ventu. Tutta
t’arriparassi nê me iunti.
Ti quadiassi cû sciatu.
Tu ’un ci senti.


Godot. En attendant Godot questa morte / che non viene ti darei vampe di fuoco, / freddolosa; ti scalderei nelle mie mani / gli occhi di vetro. Ti riparerei / nel fazzoletto di seta. O morte / e vita. Queste mani fredde / lunghe, questi sguardi d’olio / che mi scivolano addosso / mentre avvampi, questo collo dritto / con la testa al vento. Tutta / ti riparerei nelle mie mani giunte. / Ti scalderei col fiato. / Tu non ci senti.



ALDO GRIENTI. IL RINNOVAMENTO DOVE PASSA IL SIMETO


“E così un altro protagonista del RINNOVAMENTO della poesia siciliana ci ha lasciato: protagonista di un rinnovamento fondato sui testi e non sugli oziosi proclami, sugli esiti artistici individuali e non su qualche manifesto. Ma se n’è andato senza lasciarci una raccolta organica delle sue poesie in siciliano”, leggiamo in un pezzo di Paolo Messina, in ricordo di Aldo Grienti, pubblicato nel Febbraio 1988 a Palermo, sul numero ZERO di quello che fu l’effimero ritorno - ad opera di Salvatore Di Marco - del PO’ T’Ù CUNTU!

Aldo Grienti nasce a Catania nel 1926.
Nel 1957 - insieme a Carmelo Molino - Aldo Grienti è il curatore della Antologia POETI SICILIANI D’OGGI, Reina Editore in Catania. L’antologia, con introduzione e note critiche di Antonio Corsaro, raccoglie, in rigoroso ordine alfabetico, una esigua quanto significativa selezione dei testi di 17 Autori: Ugo Ammannato, Saro Bottino, Ignazio Buttitta, Miano Conti, Antonino Cremona, Salvatore Di Marco, Salvatore Di Pietro, Girolamo Ferlito, Aldo Grienti, Paolo Messina, Carmelo Molino, Stefania Montalbano, Nino Orsini, Ildebrando Patamia, Pietro Tamburello, Francesco Vaccaielli e Gianni Varvaro.
Ma già prima - corre l’anno 1955 allorché a Palermo, a cura del GRUPPO ALESSIO DI GIOVANNI, con la prefazione di Giovanni Vaccarella, vede luce l’Antologia POESIA DIALETTALE DI SICILIA - Aldo Grienti è tra i protagonisti: U. Ammannato, I. Buttitta, M. Conti, Salvatore Equizzi, A. Grienti, P. Messina, C. Molino, N. Orsini, P. Tamburello.
Le due sillogi, che all’epoca ebbero vasta eco, testimoniano il primo atto di quel processo appellato il RINNOVAMENTO della Poesia Dialettale Siciliana.
“Oggi la poesia dialettale - scrive tra l’altro Giovanni Vaccarella nella prefazione a POESIA DIALETTALE DI SICILIA - è poesia di cose e non di parole, è poesia universale e non regionalistica, è poesia di consistenza e non di evanescenza. Lontana dal canto spiegato e dalla rimeria patetica, guadagna in scavazione interiore quel che perde in effusione. Le parole mancano di esteriore dolcezza e non sono ricercate né preziose: niente miele e tutta pietra. Il lettore di questa poesia è pregato di credere che nei veri poeti la oscurità non è speculazione, ma risultato di un processo di pene espressive, che porta con sé il segreto peso dello sforzo contro il facile, contro l’ovvio. Perché la poesia non è fatta soltanto di spontaneità e di immediatezza, ma di disciplina. La più autentica poesia dei nostri giorni è scritta in una lingua che parte dallo stato primordiale del dialetto per scrostarsi degli orpelli e della patina che i secoli hanno accomunato, per sletteralizzarsi e assumere quella condizione di nudità, che è la sigla dei grandi.”
“I dialettali - afferma Antonio Corsaro, in prefazione a POETI SICILIANI D’OGGI - non sono mai stati estranei alle vicende della cultura nazionale, anche se disuguale è il loro piano di risonanza. Nell’ambito di una lingua, per dire, ufficiale, che assorbe e trasmette tutte le vibrazioni di un’epoca, il dialetto si presenta come una fuga regionale. Ma in un periodo come il nostro che nella poesia ha versato gli stati d’animo, l’essenza umbratile e segreta dello spirito attraverso un linguaggio puro da ogni intenzione oratoria, i poeti dialettali si trovano nella identica situazione dei loro compagni in lingua, senza che neppure la difficoltà del mezzo espressivo costituisca ormai una ragione valida di isolamento. Tanto più che i nostri lirici in dialetto sono già arrivati a un tal segno di purezza e a una tale esperienza tecnica da non avere nulla da perdere nel confronto con i lirici in lingua. Anzi, in un certo senso, i dialettali ne vengono avvantaggiati per l’uso che possono fare di una lingua meno logora, attingendola alle sorgenti che l’usura letteraria suole meglio rispettare.”

“Abbiamo la data dell’inizio del movimento rinnovatore - prosegue Paolo Messina nel suo pezzo - quella del Primo raduno di poesia siciliana svoltosi a Catania il 27 Ottobre 1945, e la cito perché proprio in quella occasione conobbi Aldo Grienti diciottenne”.
E, nel saggio LA NUOVA SCUOLA POETICA SICILIANA, così ricorda: “Nel 1946, alla scomparsa di Alessio Di Giovanni, quel primo nucleo di poeti, che già comprendeva le voci più impegnate dell’Isola, prese il nome del Maestro e si denominò appunto GRUPPO ALESSIO DI GIOVANNI. Occorre però dire che non ci fu un manifesto, né l’ausilio di un apparato critico, né un riscontro adeguato sulla stampa, se si esclude la pubblicazione di alcuni testi significativi sui fogli catanesi a cura di Aldo Grienti: TORCIA A VENTU e LA SORGIVA.”
E, riprendendo questo ultimo punto, in un articolo datato 3 Aprile 1986 su LA SICILIA di Catania, aggiunge: “Aldo Grienti, ancora ventenne, non esitò a pubblicare sui fogli letterari catanese TORCIA A VENTU e LA SORGIVA (1946-47) i primissimi esiti artistici che avrebbero rivoluzionato il modo di poetare in Sicilia. E non inganni la modestia tipografica di quelle pubblicazioni, poiché dalle loro pagine provinciali i testi più significativi dovevano confluire, nel volgere di pochi anni, sulla più qualificata rivista romana IL BELLI diretta da Mario Dell’Arco e curata da Pier Paolo Pasolini.”
Nella prima delle due antologie menzionate, POETI SICILIANI D’OGGI, Aldo Grienti è presente con quattro componimenti: SINTIRIMI CELU, BIZZOCCA, OGNINA e MI SCANTU.
Antonio Corsaro, nella nota critica in prefazione a POETI SICILIANI D’OGGI, nei riguardi di Aldo Grienti così si pronuncia: “La sua liricità meglio si attua quando è volta alla composizione di un conflitto ... misurando il tono sintetico interiore nella felice corrispondenza del mezzo espressivo. Egli sa creare di colpo un’atmosfera, evocare un dato e subito investirlo di luce sofferta.”
Liricità realizzata da Aldo Grienti con termini, espressioni, situazioni del tutto siciliani; che pienamente combina una forma autenticamente originale, innovativa e uno spirito genuinamente siciliano:
“Stancari l’occhi stunati / ni l’acqua affarata di li zotti / (unni li stiddi sciacquanu la luci) / pi sintìrimi celu comu a tia … / Cusà ni quali funnu di jisterna / s’affuca lu me ruttami di suli?”;
“‘N cappeddu viola a nnocchi di villutu / t’appara du’ occhi micciusi: / sgagghi appuntati ni la peddi arrappata ... Lu to tuppu biancu si ‘nzerta / sutta li merguli e li frinzi …”;
“E l’unni si spirtusanu di scogghi, / si stràmmanu, / si sfrìnzanu a linzudda … La varca è sula: / li rimi abbannunati a li du’ stroppi / sunnu du’ vrazza ciunchi …”;
“Mi scantu / di li to’ capiddi bianchi / lavati cu acqua di luna …”.
Un linguaggio, questo di Aldo Grienti, ricco di strutture analogiche e simboliche, che vuole essere percepito piuttosto che spiegato; imbastito com’è di splendide pennellate: il sole che si affoga in fondo a una cisterna, le onde che si bucano di scogli, i capelli lavati con l’acqua di luna.
“Pochi i versi, è vero - si legge in un articolo firmato da Nicolò D’Agostino, pubblicato a Palermo sul numero di Aprile 1990 del Mensile di Letteratura Dialettale GIORNALE DI POESIA SICILIANA diretto da Salvatore Di Marco - perché in effetti Aldo Grienti non fu poeta di lunga militanza nell’area del dialetto siciliano, avendo trasferito, soprattutto negli anni Sessanta, nella poesia in lingua italiana e principalmente nelle arti figurative, le proprie vocazioni artistiche. Ma questo non inficia il valore letterario della sua opera di poeta dialettale. Aldo Grienti - prosegue D’Agostino - era «generazionalmente» nuovo, rispetto alla poesia dialettale degli anni Trenta-Quaranta. Egli era soggettivamente nuovo, e praticò subito (senza bisogno di rinnovarsi perché né aveva sostenuto o praticato poesia vecchia, né aveva nulla da aggiornare ad un modello poetico che in lui, giovanissimo autore, andava per la prima volta prendendo forma) un suo modo di fare poesia prima ancora che il vecchio, che la tradizione, lo contagiassero.”
Ecco ci sovviene Aldo Grienti pittore; ma ne parleremo più avanti. Troviamo piuttosto - e riportiamo - ulteriori testimonianze circa Aldo Grienti e i suoi testi.
“ARIU DI SICILIA - osserva Salvatore Di Marco in un pezzo pubblicato sul numero di Settembre 1988 di GIORNALE DI POESIA SICILIANA titolato UNA OCCASIONE MANCATA - fu fondato nel 1954 da Pietro Tamburello che ne assunse la redazione. Era un foglietto di quattro pagine, che usciva ogni mese e che durò esattamente da Marzo a Ottobre di quell’anno.” E, in prosieguo, quanto ai testi letterari pubblicati aggiunge: “In tutto si trattò di 115 poesie di 41 autori. Tra questi c’erano tutti i poeti che si riconosceranno quanto prima nel GRUPPO ALESSIO DI GIOVANNI. Parlo di Ugo Ammannato, Miano Conti, Aldo Grienti, Paolo Messina, Carmelo Molino, Pietro Tamburello e Gianni Varvaro.”
Il MANIFESTO DELLA NUOVA POESIA SICILIANA del 1989, nella sezione I POETI, propone quattro componimenti di Aldo Grienti: ROBBI DI SICCIA, OGNINA, SIRA E RABI.
ARTE e FOLKLORE di SICILIA di Catania (Alfredo Danese direttore) pubblica sul numero di Maggio-Giugno 1996 la poesia di Aldo Grienti ROBBI DI SICCIA che, col titolo FRULLARE D’ALI NERE, figura nella traduzione - proiezione preferisce Paolo Messina - italiana su DOVE PASSA IL SIMETO, opera alla quale ci siamo progressivamente accostati.

Riproponiamo ROBBI DI SICCIA, SIRA e RABI:

ROBBI DI SICCIA

Li mari s’accavarcanu affarati.
Si stiranu
s’arrappanu
si storcinu
si scorcianu di biancu;
e lassanu a li scirbi sdirrubusi
pruvulazzu di sali.

Lu celu s’accupuna
a li negghi c’arrancanu.

Sciurniari ntall’aria d’ali niuri
comu sti robbi di spiranzi nchiusi
fatti di siccia.

SIRA

Pi lu celu abbruscatu
sciddica
‘n occhiu sbarratu di suli.

Sfilazzi stanchi di nuvuli
mpinti a li crucifissi di li crèsii
si vannu nsanguniannu di tramuntu.

E lu silenziu scotula
supra la vita di cimentu armatu
lu so passu di cinniri
mentri lu scuru s’abbrancica
nta lu celu di ruggia.

RABI

Spazzi funnali d’acqua
trasparenti di stiddi
su’ l’occhi toi
Rabi
ca tremanu di chiantu.

E lu suli li nfoca
e lu ventu li lava
e la notti li nfascia
di scuru e di disìu.

Ti vogghiu beni, Rabi:
comu lu suli ca ti fa annurbari
di focu e di amuri
comu lu ventu ca ti fa lavari
di lacrimi e di celu
comu la notti
ca li suspiri abbrazza
strincennuti di sonni vagabbunni.

Rabi:
figghiu di la me notti
occhi ntrusciati di mari e di favula.


La rivolta, la rivoluzione alla quale a più riprese si è fatto riferimento, ha spazzato via la ridondanza dell’aggettivazione, l’oleografia dei vezzeggiativi, la sclerosi della tradizione.

DOVE PASSA IL SIMETO contempla 19 poesie.
Colpisce, non appena ci arriva tra le mani, la veste editoriale elegante e ricercata, il carattere dorato sul campo rosso (che all’interno poi si invertiranno), la riproduzione, in copertina, di uno dei dipinti di Aldo Grienti.
Perché Aldo Grienti è, negli anni della maturità, pittore. Salvatore Lo Presti lo definisce “pittore di schietto sentimento. Un sentimento che trasfonde nei suoi dipinti con serena compostezza, in una orchestrazione di colori che trasmutano in romantiche dissolvenze, soprattutto di grigi e verdi, creando visioni quasi irreali. Egli sente dentro di sé la nostalgia di un bene irraggiungibile e sogna la conquista di un felice approdo in cui bontà e amore affratellino veramente gli uomini. E così le sue «nature morte» (le quali sono piuttosto «personificazione» di oggetti) e i suoi «paesaggi» si illuminano di una tenue luce che carezza e assorbe il disegno culminando in quieti rossori. Luce che conferisce nobiltà e bellezza a «visioni» tenaci e suggestive, colte nelle assolate campagne di Sicilia, tra impervi sentieri, filari di alberi svettanti, casette sorridenti tra le lave dell’Etna.”
Sono presenti in questo volume, ad opera di Andrea Ciravolo, le riproduzioni a colori di ben undici tavole di Aldo Grienti; lavori eseguiti con svariate tecniche (pastello, olio, china, disegno, tecnica mista, sanguigna, cera) ricompresi però tutti - a eccezione di uno LA CASA ROSSA - nel lasso di anni intercorrente tra il 1982 e il 1986.
Introduce questa pubblicazione, voluta da Fosca Laila Grienti (la figlia di Aldo) all’indomani della morte del genitore avvenuta il 12 Marzo 1986 a Catania, una autorevole testimonianza di Paolo Messina, dalla quale traiamo: “Qualcuno (uno storico della nostra letteratura) prima o poi dovrà pure far piena luce anche su quella nuova ouverture siciliana. Qui ne parlo perché Aldo Grienti vi esercitò una funzione di primissimo piano e perché la sua personale poetica (visione generale e prassi) cominciò a prendere forma allora nelle opere in siciliano di cui molte liriche di questo libro sono la proiezione. La prima impressione di lettura dei suoi testi, infatti, è quella di una insolita laconicità, di una concisione spartana, pur nella sufficienza espressiva che non lascia fuori pagina alcun residuo immotivato. L’ombra, i punti oscuri, semmai, sono tematici, sono altrove, nella sua visione prospettica del mondo … Aldo Grienti era un poeta di rara coerenza filosofica (ma non prigioniero di astratte convinzioni o di dogmi), egli non correva dietro alle mode, né mai si concedeva ai capricci della tribu, ma sperimentava la sua propria vita nell’arte senza mai farne spettacolo. Occorre anche precisare che le poesie qui raccolte nella loro più recente proiezione in lingua italiana furono composte nell’arco di un decennio (fra il 1945 e il 1955).”
E continua Paolo Messina, nell’articolo cui s’è fatto cenno in apertura di questo viaggio “balza subito in evidenza che lo scarto fra i testi originali in siciliano e questa «proiezione» in italiano risulta minimo, che il dialetto non era più portatore di una «cultura subalterna», ma si era innalzato alla ricerca di «contenuti» (e quindi di forme) su più vasti orizzonti di pensiero. Sicché con lui (e con gli altri poeti definiti allora “neoterici”) la poesia siciliana toccava il punto di non ritorno, aboliva ogni pregiudiziale etnografica, pur restando (linguisticamente) siciliana.”

Ben oltre l’omaggio filiale - di cui pure ha insiti i tratti del dovere e dell’orgoglio e dell’amore - questa silloge, allora, perviene!
La sua trama soffusa accomuna natura, sogno, angoscia del vivere … la sintesi tutta della fatica e della grazia di essere uomini:
“Il mare sorregge / una curva tagliente di cielo. / … voglio smorzare / le stelle con le dita / voglio posare sul palmo aperto / una lacrima di luna”;
“m’illudo / e prendo a calci / un brandello di sogno / per interrompere / l’angoscia di vivere. / È inutilmente giorno / con un cielo così.”;
“se non c’è più una stella / dove appendere i miei sogni?”,
“tutto è rimasto com’era / le case che sembrano stalle / la gente coi volti di lava / … il sole che brucia la carne / la piana che t’entra nel sangue.”

Il Simeto sfocia alfine nello Ionio.

NON HAI ALI CHE PER TE

Lune accese
e notti sempre chiare
tu vuoi
uccello vagabondo
per le tue ciglia piagnucolose.
Ma stasera la luna
rompe i cerchi gialli
dentro lo stagno della noia.

E tu non hai ali
che per te.

So che rubi
il tuo pianto alle stelle
so che racconti
alle crepe infocate delle rupi
pene che non sono tue
so che …
(Negli occhi tuoi d’azzurro
non hanno senso i ricordi.)

E piagnucoli.

Dio quant’acqua stasera
nei tuoi occhi
uccello bugiardo ...

Tu che non hai ali
che per te.



Aldo … nella Poesia.

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