mercoledì 2 maggio 2007
Su Verrà l'anno
recensione di Alessio Brandolini
in «ALMANACCO DEL RAMO D’ORO» (quadrimestrale di poesia e cultura)
anno III, numero 8
http://www.ilramodoroeditore.it
(pp. 211-213)
Vera Lúcia de Oliveira, Verrà l’anno, Fara, Santarcangelo di Roma-gna 2005, pp. 78, € 8,00
Vera Lúcia de Oliveira è nata in Brasile nel 1958, la madre è figlia di immigrati italiani. L’esordio poetico risale al 1983, anno in cui in cui vince una borsa di studio e si trasferisce a Perugia, dove tutt’ora vive. È ricercatrice di Letteratura Portoghese e Brasiliana presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Lecce. Scrive (e traduce) sia in portoghese che in italiano. Tra i molti riconoscimenti il Premio di Poesia dell’Accademia Brasiliana di Lettere. È presente in antologie poetiche italiane e straniere. Ha pubblicato le raccolte di poesia: A porta range no fim do corredor (1983); Geografia d'ombra (1989); Pedaços / Pezzi (1992); Tempo de doer / Tempo di soffrire (1998); La guarigione (2000); Uccelli convulsi (2001); No coração da boca / Nel cuore della parola (2003); A chuva nos ruídos (2004). Ha pubblicato inoltre il saggio Poesia, mito e história no Modernismo brasileiro (2002).
Verrà l’anno (2005) è il suo ultimo lavoro poetico, scritto direttamente in italiano. È una specie di denso poemetto, dove i testi – come quelli della precedente raccolta – si susseguono senza titolo, né punteggiatura, né maiuscole (restano solo i punti interrogativi). Nel cuore della parola (2003, Adriatica - traduzione di Guia Boni) contiene un saggio di Luciana Stegagno Picchio in cui la studiosa sottolinea il forte legame della poesia di Vera Lúcia de Oliveira al senso dell’udito (la sua grande capacità d’ascoltare le voci del mondo), all’oralità e alla tradizione popolare. Per questo i suoi testi sono liberi d’ogni eccesso di retorica, d’enfasi, di metafisica e puntano dritto al cuore, all’essenza delle cose, e della vita. Una poesia quotidiana, quindi, eppure che si spinge in avanti, si dirama e abbraccia l’universale. Così la voce del singolo diventa una voce collettiva, che può essere di ciascuno di noi, o di tutti insieme, una voce corale:
la mia storia non la racconto ma se vuoi invento
ho storie dentro di me che nascono e restano
a rimuginare ho un sacco di storie tanto
più le racconto più diventano vere
c’è gente che piange e chiede dove le vado a prendere
rispondo che stanno dentro ognuno di noi
Poesia tratta da Nel cuore della parola, raccolta tra l’altro arricchita da un acuto commento del grande poeta brasiliano Lêdo Ivo che di questi versi apprezza il “lirismo coagulato” che supera le tradizionali misure metriche “per imporre, in un’apparente decostruzione, una realtà che ferisce e inquieta”.
Il bilinguismo di Vera Lúcia de Oliveira, e potremmo anche aggiungere il biculturalismo, si traduce in un ampliamento degli strumenti per comprendere il mondo, per penetrare i segreti della vita dell’uomo, della sua anima e – soprattutto – del suo dolore, in capacità di accogliere le voci che ci stanno intorno senza rinchiudersi nel proprio io. La lingua semplice e parlata, quella di tutti i giorni che evita ogni parola difficile o aulica, è il filo con il quale il poeta tesse il “discorso comune”: la voce intensa e pacata che parla per ogni uomo, così com’era all’origine della poesia. Allora il trascorrere della vita e della storia si fa materia lirica, nutrimento di queste poesie che talvolta sembrano racconti in miniatura:
il bosco è una casa di occhi
li vedevo nascosti e mi vedevo
a guardarli rompersi dai gusci
e venire fuori a salutare il giorno
Se la grande tradizione della poesia in lingua portoghese è ovviamente presente in quella di Vera Lúcia de Oliveira – si pensi a Carlos Drummond de Andrade, a Murilo Mendes, al citato Lêdo Ivo di cui qui da noi la de Oliveira ha curato una stupenda antologia, o allo stesso Pessoa, in quel desiderio dell’autrice d’immedesimarsi in personaggi diversi, di riuscire dal di dentro ad esprimerne la passione, il dolore – come non pensare all’Ungaretti che in pochi versi descrive tutto un mondo di passioni, alla sua misura, alla cura maniacale per ogni singola parola. Inoltre la lingua della poeta brasiliana (o brasilo-italiana?), il tono basso e insie-me la tenacia nel resistere alla degradazione del linguaggio comune, così come le tante domande presenti in Verrà l’anno, fanno venire in mente il primo Palazzeschi (di “I cavalli bianchi” e “Lanterna”) e i poeti dialettali italiani del novecento, soprattutto Raffaello Baldini.
Il rapporto con il Brasile lontano è fortissimo, e struggente. Per questo la parola “casa”, è la più usata (sognavo una casa sulle spalle/ come una lumaca dicevo). Un alloggio sobrio e piccolo, perché bisogna essere sempre pronti a spostarsi, a fare e disfare le valigie, a portarsi dietro poche cose: quelle necessarie, indispensabili. Soprattutto il ricordo, e la presenza e l’amore degli altri. Normalmente la poesia si nutre di silenzio, qui è il contrario: la casa-poesia di Vera Lúcia de Oliveira è fitta di voci e rumori, e affollata di volti.
Verrà l’anno (come inedito ha vinto il premio “Popoli in cammino”) si com-pone di 59 brevi testi: è un piccolo libro che però contiene grandi cose. Dal taglio o-riginale per via di quel surrealismo dimesso, fatto di versi quasi sussurrati, privi di toni retorici e declamatori. Dalle poesie di questo poemetto che si proietta verso il futuro – eppure legatissimo al passato e alla memoria – emerge un mondo fiabesco e altamente lirico, legato alla purezza, al candore, alle portentose visioni dell’infanzia:
c’era un vento leggero
lo sentivo sul tetto
sfregarsi alle tegole
strusciarsi pare
avesse preso gusto
ad annusarle
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