giovedì 22 marzo 2007
Intervista a Carla De Angelis (Stefano Martello)
Sono lieto di riprodurre questa intervista apparsa in Diritto.it
15/03/2007
Stefano Martello intervista Carla De Angelis, autrice di Diversità apparenti – Un’esperienza, una prospettiva, Fara Editore, Santarcangelo di Romagna, 2007
Carla, hai deciso di mettere su di un foglio di carta quella che è la tua esperienza quotidiana; da che cosa è nato questo desiderio e, soprattutto, quale è l’obiettivo di un testo come il tuo?
Carla De Angelis: Non so se era un desiderio quello di mettere su carta la mia esperienza quotidiana, forse o quasi certamente la mia necessità di scrivere è prevalsa sul riserbo di un privato speciale; spero di non aver superato quel filo sottile che separa uno scritto che vuole suscitare curiosità e domande da un noioso diario.
Infatti l’obiettivo è proprio quello di indurre chi legge a porre altre domande e, dopo aver letto il libro, avere una visione non buonista nei confronti della diversità.
In un solo anno hai pubblicato ben due libri (il primo, Salutami il mare, di poesie ed edito da Fara; una scelta apparentemente rischiosa, ma anche vantaggiosa se si riesce a configurare questi due testi (che parlano dello stesso argomento, sia pure con modalità di scrittura diverse) in maniera sinergica. Ne vuoi parlare?
C.D.A.: Salutami il mare mi emoziona. Ero al telefono con una cara amica di Rimini, mi raccontava che chiusa la telefonata sarebbe andata a fare una passeggiata al mare, le ho detto: “Salutami il mare”. Tornata a casa non ho potuto fare a meno di pensare agli anni nei quali passeggiavamo lungo il mare di Rimini e al porto, lei con le ciabatte in mano ed un sorriso che ho portato con me negli anni. Così è nato il libro che insieme alle emozioni di questa amicizia ha catalizzato tutto il resto. I due testi sono complementari, nella poesia c’è la necessità di dire e non dire, lasciare che il lettore intuisca e conformi secondo la propria personalità ed esperienza le parole che legge. Diversità Apparenti è scritto in forma di dialogo e, anche se appare semplice, pone interrogativi rispetto alla società e alle priorità che attualmente viviamo. Ho la sensazione che non ci stiamo preoccupando troppo del domani, ma stiamo vivendo pensando all’immediato; questo non facilita, ma soprattutto non promuove i rapporti tra la gente. Mentre il primo libro ha una espressione poetica che nasce spontanea, il secondo pur essendo dialogato è estremamente sincero sia nelle richieste che nelle risposte e pertanto si integra perfettamente con il primo. Il filo conduttore, in fondo, è identico.
Nella tua sfera artistica non c’è solo la scrittura lettura ma anche la ceramica, ad esempio. In che modo ritieni che diverse forme artistiche possano essere veicolate per aiutare un unico argomento?
C.D.A.: La scrittura è stata la mia prima espressione artistica, l’ho lasciata in disparte per molti anni e mi sono rivolta alla terra che mi permetteva di plasmarla in quello che volevo; in più insegnandola ad altri ho avuto modo di stare a contatto con la gente, e da quello che fa, per esempio, o dai colori che usa ho imparato molto, anche ad aiutare chi aveva problemi. Qualsiasi forma di arte permette all’individuo di esprimersi senza freni, anche se l’autore ritiene di essere cosciente e padrone delle proprie creazioni. Quindi, ritornando alla scrittura, spesso le mani o la penna vanno per proprio conto e svelano molto più di ciò che si vorrebbe. E’ in questo senso - facendo conoscere agli altri realtà diverse - che si può aiutare un unico argomento.
Andremo a presentare il libro nelle scuole di Roma; è una cosa che mi entusiasma e mi spaventa nello stesso momento. Come credi sarà possibile riuscire a trasmettere un argomento così vasto e doloroso e delicato ad un giovane di 17 anni che – e forse è giusto così – pensa solo a come “svoltare” la propria serata?
C.D.A.: Stefano hai ragione, è entusiasmante, ma anche molto impegnativo andare a presentare il libro nelle scuole di Roma. Sono convinta che i giovani non hanno solo il problema della “serata”, sacrosanto diritto per la loro età. Sono lontano dalla loro età e per ragioni oggettive non ne frequento molti, ma per quel poco che vedo sono curiosi. Le associazioni di volontariato sono piene proprio di ragazzi che vanno dai sedici in su; trasmettere un argomento così vasto serve loro per fotografare una realtà che li coinvolge anche perché, terminati gli studi, dovranno affrontare un mondo del lavoro che in questo momento non sembra offrire molte occasioni. Forse alcuni dovranno tenere ciò che hanno imparato con lunghi anni di fatica solo come bagaglio culturale e poi svolgere un lavoro diverso; dovranno confrontarsi con un mondo che non mai regalato (soprattutto ora) niente a nessuno, e nel libro ce n’è per tutti. Non mi porrò certo come portatrice di chissà quali verità o soluzioni di vita, saranno invece - loro non ancora smaliziati dall’esperienza della vita - ad offrirmi motivi e parole per raccontare differenze, esperienze e scelte operate nel corso degli anni.
Il libro è uscito a dicembre; cosa ti ha stupito, in questi primi mesi di promozione del testo?
C.D.A.: Devo essere sincera? L’interesse forte delle associazioni che si occupano del problema: in alcuni casi hanno fatto una intensa autocritica e non si sono mai sottratte al dialogo ed al confronto[1]. Ma anche – sia pure in negativo – il disinteresse delle istituzioni. Già ti vedo sorridere, ma non è una questione di ego così cara alla categoria degli scrittori o degli artisti; è solo che pensavo ad un cenno, ad un incoraggiamento. Chissà, forse questo incoraggiamento verrà nel futuro e comunque non vorrei che il Lettore pensasse che ho scritto questo libro per ricevere complimenti.
Le ragioni – e tu lo sai – sono molto più complesse così come complessi e a medio lungo termine sono gli obiettivi.
È un inizio, tutto qui.
[1] Presentazione di Diversità apparenti alla Culture Factory di Roma della Fondazione Eni Enrico Mattei, 19 gennaio 2007. Alla presentazione sono intervenuti, oltre all’Autrice, Stefano Martello (curatore del testo), Angelo Liscia (Counselor delle famiglie degli utenti nel Centro Sperimentale per l’Autismo) e Oliviero Mascarucci (medico).
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